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Giovedì 13 LUGLIO 2017
Doppia “A” della Commissione Europea alla sanità italiana

La valutazione Ue si basa su diversi indicatori: efficienza e spesa media pro capite (pubblica e privata), mortalità evitabile, mortalità infantile, aspettative di vita alla nascita, aspettative di vita a 65 anni. La spesa sanitaria italiana ha ottenuto un duplice giudizio positivo, sia sotto il profilo dell’efficacia che dell’efficienza. Valutazione massima che condivide anche con Francia e Spagna, mentre la Germania ha avuto un rating positivo per l’efficacia dei servizi, ma non per l’efficienza.

Doppia “A” per la sanità italiana al pari solo di Francia e Spagna in Europa. Il “voto “ è della Commissione europea, ma la Corte dei conti lo ribadisce e lo rafforza nella sua Relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni.
 
La valutazione Ue è stata ottenuta incrociando cinque indicatori: un indicatore di efficienza, relativo alla spesa media pro capite degli ultimi dieci anni (pubblica e privata, in termini reali e a parità di potere di acquisto, inclusi gli investimenti), e quattro indicatori di risultato del Servizio sanitario nazionale: indice di mortalità evitabile, tasso di mortalità infantile, aspettative di vita alla nascita, aspettative di vita a 65 anni. La spesa sanitaria italiana ha ottenuto un duplice giudizio positivo, sia sotto il profilo dell’efficacia che dell’efficienza. Valutazione massima che condivide anche con Francia e Spagna, mentre la Germania ha avuto un rating positivo per l’efficacia dei servizi, ma non per l’efficienza.
 


La Corte dei Conti aggiunge anche che considerate le variazioni medie e cumulate nel quadriennio 2013-2016, la spesa sanitaria mostra di avere raggiunto un livello di sostenibilità nell’ambito del quadro finanziario e macroeconomico: l’incidenza sul Pil, pari al 6,7% nel 2016, è stimata, dal Def 2017, in progressiva riduzione nel prossimo triennio, fino a raggiungere il 6,4% del Pil nel 2020.
 
Già ora, in ambito europeo, la quota di spesa sanitaria italiana in termini di Pil si rivela superiore solo a quella di Polonia, Spagna, Grecia e Portogallo, mentre è la più bassa tra le maggiori economie dell’area euro, risultando inferiore di quasi due punti percentuali a quella di Francia (nel 2015, 8,6% del Pil) e di quasi tre punti percentuali a quella di Germania (nel 2015, 9,4%).
 
Nel 2016, la spesa pro capite sanitaria italiana è stata pari a 1.858 euro, in aumento dell’1,3% rispetto al precedente anno, ma comunque inferiore al livello del 2010 (1.866 euro), mentre quella del 2015, pari a 1.834 euro, risulta inferiore di circa il 35% alla spesa pro capite francese (2.840 euro)304 e di quasi il 50% a quella tedesca (3.511 euro)305.
 
E spiega l’incremento della spesa privata avuto nel quadriennio 2001-2014, caratterizzato da una stagnazione dei redditi. L’aumento, scrive la Corte, può essere letto sia come il risultato indiretto delle compartecipazioni sulle prestazioni sanitarie pubbliche, che, visti anche i tempi di attesa, hanno reso, nelle Regioni a più alto reddito, equivalenti, se non più “concorrenziali”, le prestazioni da privato, sia come un indicatore, nei territori a più basso reddito disponibile (soprattutto, meridione ed isole), di una minore copertura dei fabbisogni assistenziali.
 
Fatto sta che in Italia, nel 2014, la spesa out of pocket è stata pari al 22% della spesa sanitaria complessiva, una delle percentuali più alte tra le maggiori economie dell’area euro, mentre, nel 2015, le risorse pubbliche per l’assistenza sanitaria hanno coperto il 75,5% della spesa complessiva321, meno di Germania (85%) e Francia (78,6%); nel 2014, la spesa sanitaria media pro capite per cure sanitarie a totale carico dei cittadini è stata, in Italia, di 706 dollari, mentre in Francia e Germania si è fermata, rispettivamente, a 305 e 664 dollari.
 
Il confronto con Germania e Francia (in base alle funzioni Cofog, Classification of the Functions of Government) sulle principali prestazioni sociali erogate dal bilancio pubblico nel 2014, evidenzia, in Italia, una spesa per sanità, istruzione e protezione sociale spesso inferiore a quella dei nostri principali partner europei, oppure sbilanciata a favore delle prestazioni pensionistiche, mentre si spende relativamente più dei nostri vicini per il funzionamento degli Organi esecutivi e legislativi.
 
La spesa pubblica italiana è condizionata dalla congiuntura economica negativa e dal vincolo finanziario delle uscite per il pagamento degli interessi sul debito pubblico, che nel bilancio italiano incidono in misura più che doppia rispetto agli oneri per il servizio del debito pagati da Francia e Germania. Nel quadriennio 2012/2015 l’Italia ha mantenuto un saldo primario e corrente sempre positivo, spesso superiore anche a quello della Germania (mentre la Francia ha accumulato saldi primari negativi), ma una quota consistente del risparmio pubblico è finalizzata non agli investimenti ma al servizio del debito: secondo recenti stime Ocse, Francia e Italia hanno ridotto, nel periodo 2000/2015, gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo (rispettivamente, -0,68% e -0,33%), mentre la Germania li ha incrementati dello 0,23%331. Si fornisce, di seguito, una sintetica descrizione dei principali aggregati di spesa considerati, esaminandone l’incidenza sia in rapporto alla spesa totale, sia al Pil.
 
La spesa sanitaria pubblica italiana, pari, nel 2014, al 14% delle uscite totali (7,2% in rapporto al Pil), risulta inferiore sia alla media dei paesi dell’area euro, pari al 14,8% (7,3% sul Pil), sia a quella francese (14,3%, 8,2% in rapporto al Pil), e tedesca (16,3%, 7,2% in rapporto al Pil).
Interessante, secondo la Corte, è notare la diversa incidenza, nel bilancio italiano e tedesco, dei consumi intermedi sanitari e dei Fondi di sicurezza sociale sulla spesa funzionale pubblica, che riflette le diverse forme di organizzazione e finanziamento dei servizi sanitari pubblici, riconducibili, essenzialmente, a due modelli: il “modello Beveridge”, e il “modello Bismark”; nel primo (nato in gran Bretagna, cui si è ispirato il Ssn italiano), il sistema sanitario è finanziato prevalentemente con il gettito fiscale pubblico.
 
Nel modello Bismark, invece, nato in Germania, e adottato anche in Francia, i servizi sanitari sono finanziati prevalentemente con risorse provenienti da contributi obbligatori per l’assicurazione sociale, versati da datori di lavoro e dipendenti; se si esaminano le fonti di finanziamento della spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata).
 
L’Italia, nel 2014, ha coperto il 75,5% di tale spesa con risorse fiscali a carico dello Stato e degli Enti territoriali, lo 0,3% mediante forme obbligatorie di contribuzioni e assicurazioni sanitarie, l’1,5% attraverso coperture assicurative volontarie e ben il 22% attraverso spesa out of pocket.
 
Viceversa, la Germania ha finanziato con risorse fiscali pubbliche solo il 6,6% della spesa sanitaria, il 78% con contributi sanitari obbligatori, l’1,5% con contributi sanitari volontari, e solo il 13% con spesa out of pocket.
 
La Francia, nel 2014, ha finanziato solo il 4,1% della spesa totale con risorse fiscali statali, il 74,5% con contributi sanitari obbligatori, il 13,7% con coperture assicurative volontarie e solo il 7% con spesa out of pocket.
 
Di seguito, lo schema completo delle fonti di finanziamento della spesa sanitaria totale in Italia, Francia e Germania.
 


 
Rispetto al report di dicembre 2016 della Commissione europea sull’efficienza e la qualità dei servizi pubblici, la Corte evidenzia l’affermazione Ue che la valutazione della spesa è fondamentale proprio in un contesto di limitati spazi fiscali a disposizione dei bilanci pubblici.
 
Il report sottolinea che la valutazione sistematica dei servizi dovrebbe essere messa al servizio della politica fiscale per migliorare il welfare e sviluppare il potenziale di crescita dell’economia, riconoscendo, tuttavia, la problematicità dei concetti utilizzati: la spesa potrebbe rivelarsi efficiente in un paese con un livello relativamente mediocre di servizi erogati se prodotti con costi contenuti, viceversa, un paese con un alto livello di servizi potrebbe essere giudicato inefficiente se utilizza combinazioni di fattori produttivi molto più costosi. Si espone, di seguito, una sintetica descrizione del report della Commissione europea, relativamente a sanità, istruzione e servizi generali delle pubbliche amministrazioni, avvertendo che la valutazione è espressa attraverso due gradi di giudizio: “alta” oppure “bassa”. Si evidenzia che tra le funzioni di spesa del bilancio italiano esaminate dalla Commissione europea334, solo la Sanità e le Infrastrutture ottengono una duplice valutazione positiva, in termini di efficacia ed efficienza.
 
E c’è di più. In base agli indicatori Ocse sull’efficacia delle prestazioni sanitarie, l’Italia consegue risultati quasi sempre migliori della media dei paesi monitorati, classificandosi sistematicamente meglio di paesi con una spesa pro capite (come Francia, Germania, Paesi bassi o Danimarca), nettamente superiore alla nostra. 
 
Gli indicatori Ocse, quindi, confermano il giudizio di efficienza ed efficacia del sistema sanitario nazionale riportato nel paper della Commissione europea sulla qualità della spesa pubblica in Europa.
 
Si espone, di seguito, una sommaria sintesi per alcuni di tali indicatori.
 
Indicatore di mortalità evitabile
L’indicatore di mortalità evitabile335 è composto da due dimensioni, l’indicatore di mortalità “prevenibile” e di mortalità “trattabile”, in entrambi dei quali l’Italia consegue ottimi risultati:
 
Mortalità prevenibile (anno 2013)
L’Italia registra il tasso più basso, pari a “soli” 143 casi di mortalità prevenibile ogni 100.000 abitanti, a fronte di una media di 28 paesi dell’Unione europea pari a 204; anche Francia, Germania, Paesi Bassi e Danimarca sono sotto la media europea, ma con tassi meno positivi dell’Italia, pari, rispettivamente, a 174, 199, 202 e 174/100.000 abitanti.
 
Mortalità trattabile (anno 2013)
Francia (73 casi /100.000 abitanti) e Spagna (73 casi /100.000 abitanti) in questo caso fanno meglio dell’Italia, che però si colloca subito dopo, al terzo posto (85 casi /100.000), a fronte di una media europea pari a 119 per 100.000 abitanti. Anche Germania e Danimarca sono sotto la media europea, ma con tassi meno positivi dell’Italia (pari, rispettivamente, a 107 e 94). Risultato peggiore della media è invece conseguito dalla Polonia (167/100.000 abitanti).
 
Tasso di ricoveri ospedalieri per patologie respiratorie e polmonari (anno 2013)
Tale indicatore, che misura non l’esito delle cure, ossia la qualità, ma l’appropriatezza dell’assistenza primaria e territoriale, e quindi, indirettamente, l’inappropriatezza dei ricoveri ospedalieri, segnala che l’Italia ha il più basso tasso di ricoveri ospedalieri per tali patologie, inferiore a 100 ogni 100.000 abitanti, mentre tassi superiori si registrano, tra l’altro, in Francia, Paesi Bassi, Spagna, Germania e Danimarca.
 
Tasso di mortalità per ischemia cardiaca entro trenta giorni dal ricovero ospedaliero (anno 2013)
Il tasso medio europeo dell’indicatore è stato pari al 9,4%, rispetto al quale il miglior risultato è conseguito dalla Finlandia (5,1%), mentre l’Italia si colloca al secondo posto (6,2%). Germania, Francia, Danimarca e Spagna registrano tassi di mortalità superiori.
 
Tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi di cancro alla cervice dell’utero (2008/2013)
Il report dell’Ocse considera tale indicatore fondamentale per valutare l’efficacia dell’assistenza sanitaria per tale patologia, perché implica tempestività della diagnosi ed efficacia del trattamento terapeutico. L’Italia ottiene la migliore classificazione, con una percentuale di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi pari al 70,6% dei casi trattati. Il dato peggiore, invece, in Polonia (54,5% dei casi trattati).
 
Mortalità per il cancro alla cervice dell’utero (2013)
L’Italia registra il tasso più basso di mortalità per tale patologia, inferiore a due casi ogni 100.000 donne, a fronte di una media europea pari a 4 casi per 100.000.Germania e Francia si collocano tra 2 e 4 casi (ogni 100.000 donne), mentre l’incidenza più alta si registra in Romania (19 casi ogni 100.000).
 
Sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di cancro polmonare
Il tasso medio di sopravvivenza dei malati di cancro polmonare a cinque anni dalla diagnosi è pari, in 18 paesi dell’Unione europea, all’80%, e Italia Francia e Germania superano, di poco, tale valore, mentre risultati migliori sono ottenuti dai paesi scandinavi.
 
Screening mammografico (anno 2014)
A fronte di una media europea di circa il 60% di donne (nella classe di età da 50 a 69 anni) sottoposte a screening mammografico, l’Italia si pone poco al di sotto di tale media, ma in posizione migliore di Francia e Germania. Risultati superiori alla media, invece, in Portogallo, Danimarca, Finlandia Paesi Bassi.
 
La Corte dei conti ricorda poi anche l’analisi della mortalità evitabile di Eurostat, che differenzia tra  morti trattabili e quelle prevenibili. L’Italia, dopo Spagna e Francia, ottiene il miglior risultato in Europa, pari, per il 2013, ad un tasso di “soli” 85 casi di mortalità trattabile e 143,5 di mortalità prevenibile ogni 100.000 abitanti (la media europea, rispettivamente, di 119,5 e 204,0 casi ogni 100.000).
 
La buona performance internazionale del sistema sanitario italiano, sottolinea la Corte, è però composta da esiti anche molto diversificati sul piano regionale, che sono evidenziati dall’indicatore di mortalità evitabile elaborato dall’Istituto Nebo sulla base dei dati Eurostat e Istat.
In base a tale classifica, a fronte di una media nazionale di 24,30 giorni perduti pro capite per mortalità evitabile nella popolazione maschile, tutte le Regioni meridionali, ad eccezione della Puglia, e, tra quelle settentrionali, solo il Piemonte, si collocano al di sopra di tale valore, con valori superiori a 26 giorni pro capite in Calabria (26,80), Sardegna (27,71), Campania (29,24).
 
I risultati migliori nelle Marche (21,34), Trentino-Alto Adige (21,60), Veneto (21,80), Toscana (21,96), Emilia-Romagna (22,14) Lombardia (22,82). Per la popolazione femminile, invece, a fronte di un valore medio nazionale di 13,91 giorni perduti pro capite, Sicilia e Campania risultano avere il valore più alto (rispettivamente, 15,74 e 17,14), mentre valori inferiori a 13 sono stati rilevati in Veneto, Trentino-Alto Adige, Marche, Toscana, Umbria.

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