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Venerdì 14 LUGLIO 2017
Pronto Soccorso milanesi. Inutile trovare capri espiatori nei Direttori generali e sanitari. Occorrono correttivi organizzativi

Pur essendoci delle difficoltà locali, trovare nelle figure della Direzione generale o della Direzione sanitaria i capri espiatori appare azione per lo meno strumentale e poco razionale. Per la sofferenza delle aree di ps, e del personale che vi lavori, qualche tentativo di correttivo locale andrà pur trovato. Correttivi organizzativi per migliorare la qualità del lavoro e detendere per quanto sia possibile il livello di stress 

Purtroppo le lamentele sul funzionamento delle unità di pronto soccorso a Milano sono frutto di una scarsa conoscenza del funzionamento e delle risorse a disposizione. Chiunque infatti abbia un minimo di dimestichezza con le questioni della sanità dovrebbe avere chiaro in mente che le regole dettate dal governo, giuste o sbagliate che siano in un momento di palese trasformazione del SSN, mettono alla frusta tutte le unità operative di prima accettazione e pronto soccorso. E’ evidente e palese anche ai meno informati che la nuova realtà territoriale al momento non è in grado di affrontare i compiti che le sono stati attribuiti.
 
Non stiamo parlando di demeriti stiamo parlando di integrazione dei servizi e pianificazione razionale dell’organizzazione evitando doppioni e dispersioni. A fronte di questa evidenza vi è invece una maggiore distribuzione delle risorse proprio dove l’offerta, peraltro evidentemente ancora poco organizzata, non è in grado di dare risposta ai bisogni di salute della popolazione.
 
Quando dico maggiore distribuzione intendo dire che le risorse, una volta distribuite per circa il 55 % agli ospedali e 45 % al territorio, attualmente hanno visto una inversione netta della quota per cui il 56% delle risorse è destinato al territorio (44% ospedale, 51% territorio e 5 % assistenza collettiva ovvero dell’ambiente e dei luoghi di lavoro).
 
Per chi non ne avesse idea, i miliardi di euro che la regione Lombardia riceve dallo Stato per il servizio sanitario sappia che sono quasi 18 maggiorati della inclusione delle passività, per prestazioni effettuate sui non residenti, da altre regioni che il “gran tecnico” Monti ha fatto considerare come attive nel bilancio (dato che è una regola di formazione dei bilanci per le aziende ma poco si correla al sistema sanitario nel quale vi è un obbligo assoluto di “prestazione” nei confronti dei pazienti tutti e quindi non è possibile attuare politiche aziendali, oneste, di contenimento dei costi).
 
Per spiegarmi meglio se mi vengono dati 18 miliardi e dalle altre regioni c’è un credito, non riscosso ed in alcuni casi non riscuotibile, questo non viene considerato come una passività ma concorre come quota attiva ulteriore. Peccato che i soldi già spesi, per la doverosa cura di altri cittadini italiani, difficilmente verranno recuperati, nonostante i tentativi di riscossione che anch’essi hanno dei limiti. Più ragionevole sarebbe un piano di rientro stabilito a livello nazionale ma così è più semplice, tanto paga sempre Pantalone (cioè noi tutti abitanti in regione Lombardia). Soldi regalati? In altri tempi non avrebbero suscitato il minimo interesse (nei tempi delle “vacche grasse”) ora invece sì.
 
Chiaramente la definizione che vorrebbe i ps e gli ospedali in genere attivi solo per gli acuti rappresenta un bel profilo teorico (nato su tavoli di illuminate teste d’uovo) che si scontra quotidianamente con la realtà che tutti noi viviamo e che ci mette in frizione costante con i pazienti. Cronici mal curati, pazienti con molteplici patologie concomitanti ai quali presti soccorso spesso in modo inadeguato, i sine cura (su questo si potrebbe aprire un capitolo intero: il mondo degli affetti contro il mondo della razionalità della cura). La medicalizzazione della morte quanto costa in termini economici e di cattivo utilizzo delle risorse? E’ un tema che stante la crisi attuale ed anche dei fondamenti ideologici che sorreggono il SSN dovremo pur porci prima o poi.

Un dato illuminante è quello della percentuale di popolazione di Milano che abbia superato i 60 anni, sono circa 400.000 su circa 1.370.000 residenti ai, quindi poco meno del 30% della popolazione, ai quali si aggiungono circa 260.000 stranieri residenti (fonte Comune di Milano 2016: cifre approssimate all’intero più vicino). 246.000 oltre i 70 anni (18%). La prevalenza di copatologie e fattori di rischio in queste fasce di età è tale da giustificare degenze più prolungate e dimissioni più difficoltose dovendo spesso raggiungere un equilibrio tra le diverse patologie contemporaneamente presenti e spesso, ad ulteriore ostacolo, anche la collocazione fisica dei pazienti in dimissione quando non possano essere semplicemente reinviati al domicilio.

A questo dobbiamo aggiungere, pur non scordando che il nostro compito in primo luogo è curare, il fenomeno migratorio o di prestazioni effettuate su non residenti (ufficialmente) in città. Fenomeno che ha differenti portate nelle varie regioni a seconda degli insediamenti di queste persone. Ovviamente si fa riferimento a coloro che non contribuiscono in alcun modo al fondo sanitario. E’ del tutto evidente che, mantenendo un sistema universalistico, una cifra fissa se suddivisa per un numero maggiore di persone, rispetto a quello teoricamente previsto, porterà ad una naturale contrazione/impoverimento delle prestazioni.

Purtroppo al posto di una azione di razionalizzazione del sistema (ad esempio mettere una rete unica per le prenotazioni, anche se nell’era dello web sembra impossibile che i sistemi degli ospedali non “colloquino” tra loro e con il sistema regionale o entrare in una reale ottica di concentrazione delle competenze anche a seconda dell’epidemiologia) si è da tempo preferita la scelta, con vari metodi, di ridurre il costo fisso del personale. Scelta che appare, a mio avviso, scientemente funzionale ad un progressivo impoverimento del sistema stesso. Potrebbe essere una visione miope e per dar evidenze di risultati a breve termine (i tempi dei mandati politico-amministrativi) oppure, come temo, una scelta di demandare alla lunga le cure sanitarie ad altri che non siano il SSN.

Quindi se non può esistere una sorta di “difesa” all’assalto dei codici bianchi e verdi e quasi verdi sarà molto difficile non fornire prestazioni a questi pazienti e sarà impossibile rispettare il canone di acuzie e di urgenza emergenza. I pazienti vedono tuttavia nell’ospedale/ps l’unico baluardo nel quale trovare risposte ai bisogni di salute. L’unico luogo nel quale fare diagnosi, se non di certezza almeno di approssimazione o di esclusione, in tempi rapidi ed a bassissimo costo per i pazienti. Soprattutto se la somma totale, intesa come ticket di prestazioni in ps, equivale a poco più di un terzo di una qualsiasi singola prestazione strumentale ambulatoriale che peraltro si ottiene in tempi “lunghi” (es ticket eco vs ticket ps).

Veniamo al nocciolo del problema. Tutti i centri di pronto soccorso cittadini sono in crisi non solo il nostro, quindi voler affrontare l’argomento come se fosse un problema esclusivo del Policlinico e colpa della Direzione Strategica appare nella sostanza un’azione di strumentalizzazione, poco attenta al quadro globale in cui versa la nostra sanità, ed ad uso locale.

Quindi l’ipotesi di incremento dell’offerta (incremento di organico o di creazione di OBI o similari: azioni tutte meritorie) se anche fosse possibile subito nella Fondazione non arresterebbe il flusso di pazienti che potremmo definire, nella maggior parte dei casi, improprio. (rispetto alle indicazioni di prestazioni in urgenza-emergenza).
 
Abbiamo potuto spesso verificare questa realtà quando siano state aperte liste di prestazioni aggiuntive su richiesta regionale. C’è una legge economica che descrive benissimo il modello: a fronte di un incremento dell’offerta ci sarà una rapida saturazione delle disponibilità ed un incremento della domanda, senza che il problema di fondo venga risolto. Questa scelta (di incremento dell’offerta), se non obbligatoria in tutti i presidi cittadini, porterebbe solo ad un trasferimento di attività da un centro all’altro. L’esemplificazione più semplice è quella delle vasche comunicanti.
 
Se in un dato bacino idrico vi siano vasche comunicanti svuotandone una non si modificherebbe il livello generale del bacino se non in modo marginale. L’esempio calzante è quello dell’apertura di ambulatori in ore serali e nel week end avvenuta in passato. A fronte di un costo certo si è potuto notare quasi esclusivamente uno spostamento dei pazienti (da un centro “geografico” ad un altro) senza che si verificasse un sostanziale incremento di prestazioni. Quindi aumento dei costi senza incremento delle prestazioni.

Il vero dato da osservare è quello fotografato dalla CIA (si proprio quella) che evidenzia come l’offerta di posti letto per mille abitanti in Italia rappresenti un dato estremamente basso che pone l’Italia stessa nelle retrovie al 62 mo posto con 3.7 letti per mille abitanti al confronto dei primi 12 che ne hanno da 7 in su con i primi 5 oltre i 10 posti letto. Noi ci confrontiamo invece, senza offesa, con paesi quali Libia, Seychelles, Grenada e tra gli europei il Portogallo. (Fonte: CIA World – Factbook).

Questa classifica dovrebbe essere confrontata con l’aspettativa di vita nel nostro paese (tra le più alte, undicesimi nel mondo, sempre su 189 paesi, e primi tra i paesi della UE, ed è palese che le malattie, per fortuna, non si concentrano tra i giovani). Le cure migliori poi hanno cronicizzato le malattie ed hanno con ciò incrementato automaticamente i costi delle cure. Per fare un esempio banale l’altra notte avevo un familiare di 54 anni in osservazione in ps. Bene nell’area internistica era il quarto, in ordine crescente di età, tra i 30 pazienti in osservazione, la maggior parte si collocavano nella fascia 70 anni ed oltre. Questa non è certo una sorpresa per chi lavori in ps ed abbia a che fare quotidianamente con una larga fetta di residenti anziani.

Questa scarsa disponibilità, di posti letto, blocca il sistema e ci obbliga a fare scelte, a volte difficili ed imprecise, ed a tenere i pazienti in attesa in pronto soccorso ed è qui che si creano i problemi. Sono infatti i pazienti in attesa di ricovero quelli che sostanzialmente inceppano il sistema ps a volte semplicemente per occupazione degli spazi nelle aree visita.
 
Quindi in sintesi, pur essendoci delle difficoltà locali, trovare nelle figure della DG o della DS i capri espiatori appare azione per lo meno strumentale e poco razionale.

Tuttavia proprio in considerazione della sofferenza delle aree di ps, e del personale che vi lavori, qualche tentativo di correttivo locale andrà pur trovato; correttivi organizzativi per migliorare la qualità del lavoro e detendere per quanto sia possibile il livello di stress. Non c’è volontà di fare sconti all’amministrazione, per quanto sia di specifica competenza, ma razionalmente ed al di là di logiche esclusivamente settoriali.
 
Sergio Costantino
Anaao Assomed Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano IRCCS

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