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Lunedì 24 LUGLIO 2017
Bonaccini chiede più autonomia per le Regioni. Ma per fare cosa?

In una recente intervista a Repubblica il presidente dell’Emilia Romagna  ci propone “la terza via al federalismo” ma senza sentire l’obbligo morale di fare un bilancio su come sia andata l’esperienza del federalismo messa in pista con la riforma del Titolo V del 2001

Stefano Bonaccini, il governatore dell’Emilia Romagna in una intervista a tutta pagina, su “La Repubblica” (21 luglio 2017) ci propone “la terza via del federalismo” vale a dire una “svolta autonomistica “da applicarsi in vari campi, tra i quali  la sanità.
 
Non chiedo più soldi allo Stato” ha dichiarato il nostro presidente “ma più libertà di gestirli su alcune precise competenze”.
 
Fatemelo dire, ma per una regione orgogliosa di aver aperto la strada per ripristinare gli obblighi vaccinali, questo richiamo alla libertà mi fa un certo effetto.
 
La proposta, del presidente Bonaccini, sembra essere un federalismo a costo zero come sono ormai tutte le cose che riguardano la sanità e viene dopo quella sul referendum della Lombardia e del Veneto, quasi in modo reattivo, proponendosi come una sorta di federalismo moderato di sinistra.
 
Resta il fatto che, sia a destra che a sinistra, si cerca autonomia per avere le mani più libere. Ma per farne che?
 
Chiedere autonomia senza prima chiarire il programma per il quale essa si renderebbe necessaria, convinti che il programma non serva perché l’autonomia vale come una parola magica che tutto risolve, nasconde delle fregature.
 
La storia della sanità ci insegna che, in nome dell’autonomia, si sono fatte le peggio cose a partire tanto per fare un esempio (a caso), dalla riforma del Titolo V, un capolavoro di idiozia istituzionale che ha sicuramente fatto girare nella tomba il povero Montesquieu vale a dire la teoria dello Stato come equilibrio tra poteri.
 
L’ autonomia in sanità in questi anni è stata un alibi dietro il quale si sono nascosti i limiti di pensiero di coloro che senza idee e per stare con i pedi per terra hanno fatto più danni della grandine.
E’ quella che io chiamo “l’autonomia dello sfascia carrozze” cioè di colui che senza alcuna parvenza di immaginazione riformatrice non può fare altro che sfasciare quello che c’è.
 
L’autonomia, lo dico a tutti i governatori di destra e di sinistra, è certamente un valore ma solo se essa rispetto ai problemi dello status quo, è una garanzia di miglioramento, di sviluppo, di maggiore felicità sociale.
 
Facendo il verso a Berlin, che distingueva la “libertà negativa” da quella “positiva” distinguerei a mia volta “l’autonomia per fare” e “l’autonomia per disfare”.
 
Ecco due esempi molto diversi ma anche incredibilmente speculari nelle loro logiche di fondo.
 
Il primo riguarda i vaccini (con il presidente Bonaccini di recente ho avuto, in televisione, un confronto ma senza confronto), cioè la differenza che c’è, a parità di scopo profilattico, tra l’uso dell’autonomia per obbligare e l’uso dell’autonomia per promuovere.
 
Nel primo caso non serve una idea riformatrice ma contro riformatrice (si torna agli obblighi, tutto diventa tso, si ricorre alle sanzioni, i diritti non contano perché prevale l’interesse generale, gli effetti collaterali non sono un problema, ecc.).
 
Nel secondo caso invece serve un’idea riformatrice perché si tratta di fare profilassi in un altro modo, di usare la libertà e la responsabilità delle persone, quindi di fare i conti con questa società, definendo un dovere morale alla salute (Kant direbbe un obbligo morale che in quanto tale non può essere imposto per legge perché dipendente dalla autonomia della razionalità) che non si limiti solo ai vaccini ma si allarghi alla salute primaria e quindi  organizzare un programma di deontologia sociale che si basi sull’alleanza non il conflitto  tra diritto individuale e interesse collettivo.
 
A parità di scopo, nel primo caso, l’autonomia è quella dello “sfascia carrozze” nel secondo caso è quella di un riformatore,
 
Il secondo esempio riguarda il lavoro.
In Emilia Romagna come altrove, le professioni, in particolare quella medica sono fortemente amministrate e per questo fortemente frustrate, a causa di un gestionismo oppressivo stupido e ottuso. Di contro a questo fenomeno da tempo ho proposto di ripensare il lavoro e quindi la figura classica del dipendente, cioè di definire l’auto-re, (auto-nomia in cambio di re-sponsabilità misurando il salario sui risultati).
 
Nel caso della professione amministrata l’autonomia della regione è usata per sottomettere, per obbligare, assumendo, come per i vaccini, le persone come delle controparti, cioè dei problemi e dei disvalori.
 
Nel caso dell’autore gli operatori sono invece assunti come dei valori, addirittura degli alleati, quindi come un capitale su cui investire, (management diffuso e shareolders) usando anche in questo ambito il valore della libertà e della responsabilità con lo scopo di realizzare le professioni per fare di più e meglio e produrre sostenibilità.
 
Chiarita la differenza tra “autonomia per fare” e “autonomia per disfare”, presidente Bonaccini, vorrei chiederle: in sanità quale è il suo pensiero riformatore, se ne ha uno, e le ragioni per le quali dovremmo darle più autonomia?
 
Nella sua recente proposta di piano sanitario lei ci ricicla la vecchia idea di “welfare di comunità la stessa che a grandi linee ci propone da tempo la Fondazione Cariplo (QS 24 maggio 2017), bene…prima di darle l’autonomia che ci chiede, ci vuole spiegare con parole sue cosa intende l’Emilia Romagna per welfare di comunità? Le mutue regionali sulle quali state lavorando rientrano nel welfare di comunità?
 
Veda presidente, la Lombardia sempre in nome dell’autonomia si è inventata una controriforma sanitaria, secondo me anticostituzionale, cioè una mutua ma finanziata dallo stato in aperta violazione di tutte le leggi nazionali, che riduce la tutela della salute a menù fisso a costo fisso? (QS 18 luglio 2017)
 
Se l’autonomia che chiedete è per fare la festa alla sanità pubblica, personalmente sarei per togliervela del tutto, cioè per commissariarvi per manifesta incapacità di governo. Perché se vi siete ridotti a fare le mutue per rimediare un po’ di soldi allora vuol dire che non avete alcuna idea riformatrice per governare il problema della sostenibilità. Cioè non siete le Regioni che dite di essere.
 
Come regioni, di patto per la salute in patto per la salute, avete dato mediamente una pessima prova di governo. A fare i macellai (compatibilità) son bravi tutti, il difficile, mi creda, è cercare di far coesistere i diritti con i limiti economici (compossibilità) cioè di essere dei veri riformatori.
 
Lei presidente Bonaccini oggi ci propone “la terza via al federalismo” ma senza sentire l’obbligo morale di fare un bilancio su come sia andata l’esperienza del federalismo messa in pista con la riforma del Titolo V.
 
Lei ci propone un Titolo V bis dimenticando che solo pochi mesi fa il governo, di cui lui è ovviamente e legittimamente uno dei massimi sostenitori, ha messo in pista un referendum per fare esattamente il contrario di quello che lei chiede, cioè per ricentralizzare una parte della sanità, per superare la legislazione concorrente, per restituire allo Stato le prerogative perdute.
 
E tutto questo, come si evince bene dalla sua intervista, con le stesse motivazioni di tanti anni fa: prima bisognava dare con il federalismo una risposta alla avanzata leghista, oggi dovrebbe essere la risposta alle iniziative referendarie della Lega.
 
Ma diamine presidente mutatis mutandis ma con quale faccia?
 
L’ho già scritto tante volte ma lo ripeto: le regioni sulla sanità pur avendo a disposizione una grande autonomia, non sono riuscite, a diventare regioni Esse hanno ripiegato su un compatibilismo suicida e, patto dopo patto, hanno perso sempre più l’autonomia che la riforma del Titolo V aveva dato loro, fino a bere tagli lineari, espropri di competenze, controlli di ogni sorta, commissariamenti. Ora l’immagine che date di voi è quella di istituzioni del tutto supine al governo cioè senza alcuna autonomia intellettuale.
 
Oggi lei ci propone un federalismo a costo zero ed ho notato che sul de-finanziamento del sistema sanitario, a parte le dichiarazioni di rito, lei ci ha fatto rimpiangere Errani che almeno protestava testardo per avere più soldi. E rispetto al sotto-finanziamento dei Lea lei ha addirittura applaudito il governo.
 
Ma di questo “costo zero” la sanità non ne può più e lei dovrebbe chiedere al contrario un rifinanziamento ma non per conservare lo status quo e tirare a campare, ma per riformarlo anche profondamente mantenendo intatti i suoi postulati universalistici quindi per dare delle contropartite di vera sostenibilità cioè intendendo la sostenibilità in un altro modo rispetto a quello che ci propone il governo.
 
Ma per governare in modo diverso il problema della sostenibilità ci vuole un pensiero riformatore che lei non ha come i suoi colleghi governatori.
 
Sto parlando di riforme non di riordini o di riorganizzazioni o di tagli ai posti letto.
Voi emiliani che in sanità vi sentite l’ombelico del mondo, che avete fatto tutto prima degli altri, e che non dovete imparare mai niente da nessuno, quelle “invarianze” di cui parlo nella mia “quarta riforma” ce l’avete tutte esattamente come gli altri.
 
Allora mi scusi presidente Bonaccini ma se le cose stanno così perché dovremmo darle più autonomia?
 
In sanità in nome dell’autonomia, soprattutto la sua “grande“ regione, sono state fatte cose molto discutibili, vuole che gliene ricordi qualcuna? Cominciamo con l’azienda, la sua regione fu anticipatrice rispetto alla legge 502, tutto si basava sulla distinzione gestione/politica quindi sulla autonomia della gestione, ebbene, può dire davanti a “Dio e al popolo” che questa autonomia c’è stata? In tutta sincerità ci dica: perché oggi la tendenza è di marginalizzare oltremisura l’azienda se essa nel ‘92 avrebbe dovuto risolvere tutti i mali della sanità?
 
Vogliamo parlare, sempre in nome dell’autonomia, dello scorporo degli ospedali dalle Usl per poi continuare a parlare paradossalmente di integrazione ospedale territorio? E ancora sempre per restare nella sua Regione, vi siete inventati in nome dell’autonomia la gestione delegata al distretto poi vi siete accorti che era una stupidaggine è l’avete ritirata.
Di nuovo le ripropongo la domanda: autonomia per fare o per disfare?
 
Un’ultima questione presidente Bonaccini.
Lei nell’intervista ci indica una metodologia che riassume con l’espressione “all’emiliana” come con se fosse un tempo musicale, alludendo ad una autonomia sostenuta con il “coinvolgimento sindacati e imprese” cioè ad una metodologia consociativa fatta con i poteri che contano.
 
A parte il fatto, come hanno dimostrato i vaccini, che esiste una società civile che non è rappresentata né dai sindacati e né dalle imprese, che esistono soggetti sociali altri dai soliti consociati, movimenti politici, ma, se mi permette una battuta, lei ci propone come garanzia i ciechi che tra loro fanno a sassate.
 
Sui sindacati sospendo il giudizio per affetto (amo il sindacato resto fin nel midollo un sindacalista della sanità pubblica e mi sento di appartenere alla cultura riformatrice del sindacato). Le imprese al contrario sulla sanità hanno le idee più chiare di tutti nel senso che vogliono rimettere i diritti a mercato.  Avendo lei l’Unipol in casa in particolare Unisalute le tralascio i dettagli.
 
Insomma “all’emiliana” che cosa è? Un rondò, una ciaccona o la solita tarantella? O che altro?
 
La saluto signor presidente con un aneddoto che la riguarda.
 
Quando pubblicai su questo giornale l’e book “la quarta riforma”, con una mail, chiesi all’assessore Venturi, che conosco da anni, se poteva fare da tramite con il presidente Bonaccini per un incontro informale, e quindi per spiegare le mie proposte. Per me, l’Emilia Romagna è la regione della mia famiglia e alla quale la mia formazione professionale deve non molto ma moltissimo. Mi fu risposto che “Stefano” non aveva tempo.  
 
Se Stefano non ha tempo per incontrare le idee di riforma brutte o belle che siano, ma perché mai dovrei fidarmi di Stefano e dargli addirittura più autonomia? Per farne che?
 
Ivan Cavicchi

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