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Martedì 10 OTTOBRE 2017
Ricerca. Cimo-Cida: “Necessario uno ius soli per i ricercatori”

“L’Italia è al 30° posto per numero di addetti alla ricerca e all’8° per produzione scientifica. Se non si interviene subito si perde sia il capitale investito in formazione, sia il valore aggiunto legato al lavoro che questi ricercatori svolgeranno all’estero”. L'avvertimento arriva da Sergio Barbieri, vicepresidente vicario Cimo-Cida che provoca: “serve uno ius soli”.

“Anche di fronte a ‘sentieri stretti’ e ‘risorse scarse’ è essenziale che “la legge di bilancio finanzi la stabilizzazione dei ricercatori, come proposto dal ministero della Salute, e che riconsideri la decisione di limitare al 60% i fondi della ricerca corrente, destinati al personale”. E’ quanto sostiene Sergio Barbieri, vicepresidente vicario Cimo-Cida, che chiede provocatoriamente uno ‘ius soli’ per i ricercatori, spinti a lasciare il Paese a causa di un quadro legislativo e retributivo inadeguato.
 
“Se non si interviene subito – ha specificato  Barbieri – si perde sia il capitale investito in formazione, sia il valore aggiunto legato al lavoro che questi ricercatori svolgeranno all’estero. I dati parlano chiaro: l’Italia è al 30° posto per numero di addetti alla ricerca ed al 31° per percentuale di Pil investito in ricerca, ma è all’8° posto per produzione scientifica (fonte, Ocse 2016). Questo significa che i ricercatori italiani lavorano molto bene con pochi mezzi e con pressoché nessun riconoscimento”.
 
“Oltre un anno fa –  ha spiegato  il vicepresidente Cimo - al ministero della Salute era stata definita una proposta per inquadrare con contratti a tempo determinato e con una progressione di carriera legata alla produttività scientifica, il personale che attualmente lavora negli Ircss con contratti di collaborazione continuativa e professionale o con borse di ricerca. Ad oggi non si è ancora ottenuto nulla, stretti tra vincoli di bilancio e decisioni su capitoli di spesa che non contribuiscono certo allo sviluppo del paese e ne compromettono la capacità di generare ricchezza”.
 
“Più recentemente ed in prossimità delle scadenze prefissate, è stato deciso dal ministero della Salute che solo il 60% dei fondi dedicati alla ricerca possa essere impiegato per il personale. La logica dietro questa decisione- ha detto ancora Barbieri - non tiene conto della realtà. Certamente un’attività di ricerca si basa anche su investimenti in tecnologia e materiali di consumo. Certamente personale amministrativo che si occupa di mandare avanti anche l’attività assistenziale è impropriamente retribuito attraverso questo strumento. Riteniamo che sia inutile nonché dannoso eliminare i contratti atipici o le spese sul personale ritenute improprie, se non si provvede per tempo a preparare qualche altro strumento che eviti di mettere in ginocchio la ricerca biomedica italiana, condannandola alla marginalità più assoluta”.

“Ci sono 3.300 persone - ha concluso Barbieri - che hanno dato al Paese più di quello che hanno ricevuto e che hanno il diritto di vedere riconosciuto il proprio contributo alla ricchezza nazionale”.

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