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Mercoledì 11 OTTOBRE 2017
Noi osteopati vogliamo solo vedere regolamentata la nostra professione



Gentile Direttore,
colgo con favore gli elementi a sostegno del riconoscimento degli osteopati più qualificati, come segnalati nel recente intervento da voi pubblicato. La collega Michela Podestà ha contribuito a squarciare il velo sulla reale condizione degli osteopati in Italia. Dimostrando che questi professionisti non siano tutti uguali, ella ha contribuito a fornire importanti elementi di giudizio a sostegno della regolamentazione delle nuove professioni, rispondendo in tal modo ai medici che richiedono garanzie sui ruoli e sulle competenze dei futuri colleghi sanitari.
 
Gli osteopati, in particolare, hanno più volte annunciato di non pretendere alcuna deroga dal rispetto delle regole prestabilite allo scopo di vedere regolamentata la propria professione. Essi hanno accolto con favore la ridefinizione dell'art. 7 del DDL 3868, ribadendo così la medesima disponibilità. E' lecito, tuttavia, aspettarsi che il legislatore non ceda ad alcun ricatto corporativo e ingiustificabile che tende artatamente a "fare di tutta l'erba un fascio", analizzando invece nel dettaglio i requisiti migliori della nuova professione e dei nuovi professionisti a beneficio immediato della sicurezza, dell'innovazione e della legalità.
 
Personalmente sono titolare di una laurea europea conseguita al termine dei cinque anni di studi in osteopatia, conferitami da un Istituto riconosciuto ai sensi della legge del paese in cui viene autorizzata la formazione. La certificazione europea del mio titolo di studio corrisponde al livello 7, ovvero a un insegnamento a tempo pieno di 4528 ore di corsi e stage: dieci semestri di tredici settimane ciascuno, composti da un primo triennio corrispondente a 180 crediti formativi europei e da un secondo biennio di 120 crediti. Ho iniziato questi studi internazionali dopo un esame di ammissione e ho concluso gli stessi con la dissertazione di una tesi al termine di una sperimentazione durata circa un anno e autorizzata in due ospedali della Lombardia. Nel corso dei miei studi, oltre agli stage ospedalieri, ho affrontato 1000 ore di tirocinio clinico supervisionato in Istituto, corsi magistrali in materia medica e in materia caratterizzante per un totale di oltre 50 esami. Attualmente, ho iniziato un rapporto professionale in qualità di osteopata esclusivo presso un noto ospedale del sud Piemonte in cui ho recentemente superato il colloquio di ammissione.
 
Gli obiettivi pedagogici, in base alle indicazioni legislative vigenti, mi hanno consentito di: "assumere la responsabilità della cura autonoma del paziente; raccogliere informazioni sulla salute; realizzare test per identificare le disfunzioni somatiche; analizzare le informazioni a fini diagnostici; determinare ed applicare una strategia di trattamento; adeguaguarmi alle linee guida professionali definite; sviluppare un approccio critico e riflessivo a partire dalle evidenze descritte nella bibliografia di settore". Quanto citato è notificato nel certificato descrittivo del mio titolo di studio (Diploma Supplement Europass).
 
Come me, vi sono molti giovani osteopati e chiropratici che hanno studiato all'estero in prestigiose scuole legalmente riconosciute o in corsi autorizzati in Italia, assumendo un onere non indifferente per loro e per le rispettive famiglie. Essi non hanno effettuato studi "part time" essendo contemporaneamente fisioterapisti o altro, ma si dedicano a tempo pieno a questa professione così come si sono dedicati allo studio, forti della domanda di serietà pedagogica riscontrata in sede sanitaria. L'art. 4 del DDL 3868 in discussione parlamentare in questi giorni prevede per gli osteopati e i chiropratici la definizione di "criteri di valutazione dell'esperienza professionale nonché i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti". Trovo utile riaffermare la correttezza di questa nuova versione del testo di legge finalizzata a garantire le qualifiche più alte dei neo-professionisti, ma anche nuove occasioni di cooperazione tra osteopati e professionisti della salute in favore dello sviluppo preventivo e interdisciplinare delle cure: una cooperazione che ha riscontrato i gradimento di milioni di italiani (dato ISTAT a. 2010).
 
Dire che gli osteopati non siano tutti uguali in riferimento alla tracciabilità della formazione e dell'esercizio non vuol dire, tuttavia, che si debbano discriminare tutti coloro che non possano certificare un corso di studi autorizzato e una laurea riconosciuta. Costoro potranno regolarizzare la loro posizione mediante corsi abilitanti ad hoc, come accade per numerose altre professioni nel nostro Paese. La stessa riformulazione del DDL Lorenzin cita la possibilità di "eventuali percorsi formativi integrativi".
 
Tutto ciò premesso, vorrei riferire questa mia modesta testimonianza a chi ha espresso critiche dell'ultima ora in riferimento alle nuove professioni. Costoro fanno bene a dubitare circa l'utilità di sanare un numero imprecisato di osteopati di cui non è verificabile la formazione, ma dovrebbero altresì discriminare il valore delle competenze reali in un settore non regolamentato negli ultimi trent'anni. Un'approfondimento preliminare che sono certo potrà essere effettuato dagli Enti individuati dal DDL ma che nessuno impedisce di effettuare anche alle maggiori rappresentanze sanitarie, specie se realmente animate da interesse sanitario sociale e attitudine scientifica nell'esaminare gli elementi oggettivi di valutazione.
 
Stefano Margara
Osteopata D.O. 

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