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Martedì 07 NOVEMBRE 2017
Pubblicità in sanità. La sentenza del Tar non convince, così come le dichiarazioni di Renzo



Gentile Direttore,
si è scritto molto nei giorni passati sulla sentenza del Tar Genova 802/2017 in materia di pubblicità sanitaria. Secondo le dichiarazioni del presidente della CAO nazionale, Giuseppe Renzo, la sentenza avrebbe fatto chiarezza sulle regole da applicare in materia di pubblicità sanitaria, imponendo nuovamente la disciplina e (soprattutto) il regime sanzionatorio della legge 175/’92. Tali affermazioni sono scorrette e, soprattutto, fuorvianti: in primo luogo perché non tengono conto che la sentenza decide solo sul caso di specie, e in secondo luogo perché si tratta di una decisione fortemente discutibile, che è sottoposta ancora al vaglio del Consiglio di Stato, e che contrasta con diverse sentenze che già in passato avevano statuito, invece, l’abrogazione implicita della legge 175/’92.

C’è da evidenziare inoltre la totale sproporzione della pena (sospensione dell’autorizzazione sanitaria) in relazione alla possibile violazione amministrativa (nome non presente del Direttore Sanitario su un cartello pubblicitario, mentre è presente in clinica e sul sito web).

Allora, partiamo dall’inizio per capire il quadro giuridico.
La materia della pubblicità delle professioni (in generale) è stata da sempre regolata solamente dai diversi Codici deontologici delle diverse professioni
Unica eccezione la sanità che dal 1992 aveva una legge specifica: la legge 175/’92.

Dal 2006 in avanti il legislatore nazionale è dovuto intervenire legislativamente - su spinta della Comunità Europea - per liberalizzare (in generale) la disciplina che regolava in Italia il mondo delle professioni. Ne sono scaturite diverse discipline che hanno ridisegnato il mondo professionale:
•    la prima è stata la legge 248/2006 (c.d. Legge Bersani) che - intervenendo solo sulla pubblicità -  abrogava le disposizioni che contenevano divieti di svolgimento di pubblicità informativa;
•    la successiva legge 148/2011, chiamando gli ordinamenti professionali a ridisegnare le regole delle diverse professioni, definiva i principi generali ai quali ci si doveva attenere (tra cui anche la sottoposizione della pubblicità ai soli principi di trasparenza e veridicità del Codice del Consumo);
•    in attuazione poi di tale ultima legge veniva emanato il DPR 137/2012 che, ribadendo che i principi da applicare per valutare la pubblicità sono solo la funzionalità all’oggetto, la veridicità e la correttezza, è anche intervenuto a stabilire che le sanzioni da applicare sono quelle disciplinari del Codice deontologico da parte degli ordini professionali e quelle del Codice del Consumo da parte dell’AGCM.

La domanda giuridica da porsi è dunque la seguente: il nuovo quadro normativo ha abrogato implicitamente la legge 175/’92 oppure la stessa è ancora in vigore (in tutto o in parte)?

Come sappiamo, secondo il Tar di Genova, la legge 175/’92 sarebbe ancora in vigore, ma tale decisione è limitata solo al caso deciso e non è per nulla condivisa da altre sentenze che già in passato avevano statuito - invece - l’abrogazione implicita della legge 175/’92. Per prima la Cass. civ. Sez. III Sent., 15/01/2007, n. 652 poi il TAR Emilia-Romagna, con la sentenza Sez. II Sent. n. 16 del 12/1/2010 e infine la Corte di Cassazione Civile Sez. III, 09/03/2012, n. 3717 nella quale si legge che “ L'abrogazione generale contenuta nell'art. 2, lett. b, della legge n. 248 del 2006, nella quale è sicuramente compresa l'abrogazione delle norme in materia di pubblicità sanitaria, di cui alla legge n. 175 del 1992, prescinde dalla natura (individuale, associativa, societaria) dei soggetti rispetto ai quali rileva l'esercizio della professione sanitaria, atteso che la stessa è attuativa dei principi comunitari volti a garantire la libertà di concorrenza e il corretto funzionamento del mercato”.

Non solo perché altre sentenze - tra cui la suprema Corte di Cassazione - hanno invece statuito esattamente il contrario, ma soprattutto perché non ci si può non rendere conto della totale incongruenza e contrarietà di una legge - nata ben  25 anni fa - con l’attuale quadro normativo e sociale. Adesso la decisione passa al Consiglio di Stato, avanti al quale la decisione è stata appellata.

Avv. Silvia Stefanelli

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