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Mercoledì 05 OTTOBRE 2011
Fisioterapisti: “Attenzione ai massaggi e agli esercizi in palestra”. Serve Ordine per vigilare

Allarme delle associazioni di categoria: "Si fa troppa confusione tra riabilitazione e potenziamento muscolare". In Italia si stimano 100-120 mila operatori non abilitati a fare il fisioterapista mettendo a rischio la salute di molte persone. Arriva un vademecum per riconoscerli.

Svolgere prestazioni altrui o inventarsene nuove di sana pianta per bisogni o patologie inesistenti, che al massimo dovrebbero essere curate da altri specialisti: sono queste le 'tecniche' adottate da operatori non abilitati che operano in Italia, circa 100-120mila, secondo le stime dell'Associazione italiana di fisioterapisti (Aifi). Spesso si tratta di laureati in scienze motorie o personal trainer che vanno oltre le loro funzioni, facendo massaggi o assegnando esercizi di riabilitazione, oppure di persone senza alcun tipo di preparazione, che si improvvisano o propongono prestazioni in ambulatori con apparecchi elettromedicali fai-da-te dell'ultim'ora per bisogni non reali o addirittura per curare l'impotenza. L'Aifi, insieme alla Sif (Società italiana di fisioterapia), alla vigilia dei loro rispettivi congressi, ha voluto richiamare l'attenzione su questo problema, proponendo anche alcuni interventi.
“C'è molta confusione tra riabilitazione e potenziamento muscolare – spiega Paolo Pillastrini, presidente della Sif – Ecco dunque che nelle palestre è facile incorrere in trainer e laureati in scienze motorie che fanno massaggi o assegnano esercizi di stretching o sollevamento pesi, che spesso producono danni e protrusioni discali”. E la soluzione contro l'abusivismo, di cui non si hanno cifre certe ma solo stime, non può essere rappresentata, secondo gli esperti, dall'aumento dei posti nei corsi di laurea a numero chiuso in fisioterapia. In Italia infatti ci sono circa 1343 posti a disposizione l'anno nelle varie università, contro 28mila domande. “Ma i posti a disposizione sono quelli giusti – continua Pillastrini – perché calcolati sull'effettivo fabbisogno territoriale e  l'assorbimento occupazionale. Tanto è vero che trova una collocazione lavorativa in linea con il suo profilo il 97,3% di coloro che escono dall'università, il 60% privatamente, il 40% distribuito tra strutture pubbliche o private convezionate. Se si aumentassero i posti, non solo non ci sarebbe una collocazione lavorativa di questi professionisti, ma calerebbe anche la qualità della formazione offerta”.
La strada da percorrere invece deve essere quella di istituire un ordine professionale, come avviene già per i medici. “La nostra non è una richiesta corporativa – precisa Antonio Bortone, presidente Aifi – ma risponde all'esigenza di garantire la qualità professionale e orientare l'utente, che non ha alcuno strumento per identificare l'identità professionale di chi gli mette le mani addosso”. E a chi obietta che in tempo di liberalizzazioni e facilitazioni nell'accesso alla professioni gli ordini non sono proprio la soluzione migliore, Bortone ribatte che “dove la liberalizzazione delle professioni è già realtà, come in altri Stati europei, non ha coinvolto le professioni della salute, proprio per i rischi di danni, a volte irreversibili, cui possono andare incontro gli utenti”.
Nell'attesa che si arrivi all'istituzione di un ordine professionale, Aifi e Sif hanno stilato una sorta di vademecum con alcuni consigli per riconoscere i veri fisioterapisti da quelli abusivi. Prima di tutto controllare che il titolo di laurea sia stato rilasciato da un'università italiana o, in caso di titolo estero, sia stato riconosciuto dal Ministero della Salute; poi verificare se durante la visista viene richiesta la documentazione clinica esistente e in caso di libero professionista farsi rilasciare la ricevuta fiscale (esente da iva in caso di prestazione sanitaria diretta alla singola persona).
“Pur sapendo che un fisioterapista abilitato non è obbligato ad iscriversi ad alcuna associazione – conclude Bortone - può essere utile e tranquillizzante sapere che è iscritto ad una delle due principali associazioni autorizzate per decreto ministeriale. Certo, se ci fossero gli ordini professionali, al cittadino basterebbe un semplice click, per accedere ad un data base e accertarsi della titolarità del professionista che sta per riceverlo”.
 
Adele Lapertosa


 

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