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Venerdì 15 DICEMBRE 2017
Peste suina. Allarme in Sardegna: situazione critica a Desulo con oltre l’80% di campioni sieropositivi

La Regione comunica che i risultati dei test di laboratorio sui campioni prelevati dai tre gruppi di 210 suini abbattuti lo scorso 8 dicembre nelle campagne di Arzana, Desulo e Orgosolo. Sieropositivo oltre il  75% dei maiali. “La peste suina africana in Sardegna non potrà essere eradicata se l’allevamento brado del maiale, praticato in forma illegale e al di fuori di ogni controllo sanitario, non viene superato”.

I risultati dei test di laboratorio sui campioni prelevati dai tre gruppi di 210 suini abbattuti lo scorso 8 dicembre nelle campagne di Arzana, Desulo e Orgosolo, durante un intervento dell’Unità di Progetto per l’eradicazione della Peste suina africana in Sardegna, non solo confermano una elevata presenza di maiali sieropositivi (oltre il 75%), ma dimostrano la contemporanea presenza del virus in 9 campioni. Il picco di maggior criticità sanitaria è rappresentato dagli animali depopolati a Desulo dove oltre l’80% sono risultati sieropositivi e diversi casi virologici positivi, a conferma della reale presenza della malattia in maiali apparentemente sani. A comunicarlo è la Regione in una nota.

“Tale situazione – spiega la Regione - suggerisce che, nei maiali bradi, virus e animali-ospiti abbiano raggiunto un perfetto equilibrio, ossia, purtroppo, una perfetta endemicità e quindi una pericolosità molto elevata per i suini sani, sia domestici che selvatici. Questi dati e queste valutazioni dell’Istituto Zooprofilattico della Sardegna, condivisi e diffusi dalla stessa UdP, dimostrano che la Peste suina africana in Sardegna non potrà essere eradicata se l’allevamento brado del maiale, praticato in forma illegale e al di fuori di ogni controllo sanitario, non viene superato e confermano la necessità degli interventi di depopolamento effettuati nei giorni scorsi dalla Regione”.

In questi territori i suini allevati allo stato brado rappresentano il principale serbatoio del virus e una fonte di contagio non solo per gli altri suini ma anche per le popolazioni dei cinghiali selvatici. “Questo – spiega la Regione - è dovuto anche al fatto che i suini sopravvissuti all’infezione, per la particolare natura del virus che ‘si maschera’ dentro l’organismo, possono fungere da portatori sani e diffusori del virus per diversi mesi e settimane (fino a 6 mesi). Pur sieropositivi quindi, a differenza di altre malattie infettive, non guariscono completamente, ma continuano a poter eliminare il virus e quindi a diffondere la malattia. La cosa più allarmante è tuttavia data dal fatto che questi animali non vengono controllati neanche per malattie potenzialmente letali per l’uomo come la trichinella, che in questi territori è presente anche nel cinghiale selvatico”.

Per la Regione l’attenzione deve concentrarsi, quindi, “sulla reale problematica legata alla convivenza di queste specie, domestiche e selvatiche, alle cattive abitudini radicate nel tempo e sulle attività illecite che non permettono neanche alle aziende regolari di poter svolgere la propria attività in modo ottimale e realmente competitivo. Difficile parlare, infatti, di prodotti locali genuini e venduti come tali, di animali sani allevati in maniera naturale se la garanzia per il consumatore non viene fornita prioritariamente da chi offre il prodotto e da chi continua in maniera illegale a tenere in ostaggio l’intera economia suinicola della Sardegna. La sicurezza alimentare va garantita infatti su tutta la filiera e se questa inizia con una produzione primaria non sottoposta ai controlli ufficiali, difficilmente potrà fornire produzioni di qualità”.

“Realtà come quelle della Barbagia e dell’Ogliastra – conclude la nota regionale - devono caratterizzarsi per prodotti tipici di grande qualità anche sotto l’aspetto della sicurezza alimentare, e provenire possibilmente da produzioni locali e materie prime a km 0. Troppi imprenditori e salumifici sono costretti a fregiarsi di prodotto sardo solo perché vengono preparati in loco, ma fatti con carni di provenienza nazionale o estera. Bisogna quindi uscire da tale circuito vizioso e favorire lo sviluppo economico anche di questo importantissimo comparto che per qualche anno, purtroppo, dovrà fare a meno dell’allevamento brado”.

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