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Mercoledì 10 GENNAIO 2018
Assenze per malattia. Un certificato su tre cade di lunedì

L'aneddotica dei professionisti deputati alle visite fiscali è ricchissima di conferme del cosiddetto “week end allungato”: con oltre il 50% sul totale, l’Italia è il primo Paese in Europa per incidenza delle cosiddette “malattie brevi”, il 15% in più della media europea. Secondo diversi studi autorevoli, se riuscissimo a riportare il tasso di assenteismo sui livelli delle principali economie, il beneficio sarebbe stimabile nell’ordine dei 15-20 miliardi di euro l’anno

Nelle scorse settimane l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale ha rilasciato l'aggiornamento dell'Osservatorio statistico sulla certificazione di malattia. Si tratta di un ampio ventaglio di indicatori relativi ai comportamenti di lavoratori privati e dipendenti pubblici nell’ultimo anno oggetto di monitoraggio, il 2016, disaggregati per età e sesso, settore economico, area geografica, giorno di inizio e durata dell'evento.
 
L’operazione trasparenza promossa dall'Istituto con i servizi di Osservatorio va riconosciuta come una delle eredità più interessanti della presidenza Boeri: rendere accessibili e consultabili le informazioni, anche se in modalità aggregata, ha infatti l’obiettivo di consentire una analisi permanente dei fenomeni e la loro evoluzione nel corso del tempo. Un elemento conoscitivo imprescindibile per il decisore politico, per le rappresentanze dei soggetti interessati e più in generale per chiunque si approcci alla materia. Il settore della medicina fiscale è stato profondamente inciso nel corso dell’ultimo anno e mezzo, a partire dall’istituzione del Polo unico che attribuisce all'INPS la competenza esclusiva ad effettuare le visite mediche di controllo: le statistiche che si verranno a rendere disponibili dal nuovo anno rappresenteranno un primo strumento utile per valutare l’efficacia della nuova normativa, che ha l’obiettivo di sostenere l’attività ispettiva esercitata dai medici fiscali.
 
Come da più parti sottolineato, il valore aggiunto di questi dati va tuttavia ben oltre la semplice quantificazione degli eventi di malattia: posta l’elevata correlazione tra i due fenomeni, l’andamento del rilascio dei certificati può infatti essere considerato con buona approssimazione una misura indiretta del tasso di assenteismo. In generale, le evidenze che si ricavano dai dati dell’Inps confermano le regolarità proposte dalla letteratura economica: il tasso di assenteismo è correlato positivamente con l’età, la localizzazione geografica (Centro e Sud), la dimensione dell’organizzazione, il settore economico di riferimento, la presenza di figli ed anziani a carico, mentre risulta correlato negativamente con grado di istruzione, mansione e qualifica professionale.

Alcuni numeri: nel 2016 sono stati trasmessi 12,6 milioni di certificati medici per il settore privato e 6,3 milioni per la pubblica amministrazione. Come atteso, gli eventi tendono tipicamente a concentrarsi nei mesi invernali, quando l’incidenza dei casi influenzali raggiunge il picco e, nell'arco della settimana, il lunedì, che da solo copre circa un terzo dei referti. Si è molto discusso sul significato e sulle implicazioni di questa evidenza: insieme ad una considerazione di carattere probabilistico (la probabilità che la malattia si manifesti è uguale tutti i giorni della settimana, eppure gli eventi del sabato e della domenica vengono registrati il primo giorno utile, il lunedì), è indubbio che esistano pratiche elusive che tendono a rendere più appetibili i giorni prossimi al fine settimana.
 
Sotto questo punto di vista, l'aneddotica dei professionisti deputati alle visite fiscali è ricchissima di conferme del cosiddetto “week end allungato”: con oltre il 50% sul totale, l’Italia è il primo Paese in Europa per incidenza delle cosiddette “malattie brevi”, il 15% in più della media europea. Secondo diversi studi autorevoli, se riuscissimo a riportare il tasso di assenteismo sui livelli delle principali economie, il beneficio sarebbe stimabile nell’ordine dei 15-20 miliardi di euro l’anno.

Persiste inoltre una propensione ad ammalarsi che tra i dipendenti pubblici ha una frequenza più elevata ma una durata minore: a parità di altre condizioni, questo “gap” tra pubblico e privato si traduce in un rapporto tra numero di eventi di malattia e lavoratori pari a 3 a 1 nella PA contro 2 a 1 nel mondo dell’impresa, anche per effetto della diversa composizione per classe anagrafica dei lavoratori. Ancor prima dei comportamenti individuali, è utile ricordare a questo proposito che nel nostro Paese l’età media dei pubblici dipendenti resta quella più elevata d’Europa, in conseguenza delle misure straordinarie di finanza pubblica che hanno bloccato il turn over e rallentato il ricambio generazionale.

D’altro canto, la durata media della malattia è più contenuta negli uffici pubblici (6,6 giorni contro 8,8 di media), un differenziale da ricondurre tra le altre cose anche alle diverse peculiarità dell’attività lavorativa nei due comparti. Una altra chiave di lettura di grande interesse è quella territoriale: normalizzando le statistiche per tenere conto del diverso tessuto produttivo, emerge una forte frattura tra regioni settentrionali e regioni meridionali. Il tasso di assenteismo totalizza il livello massimo in Campania, Sicilia, Calabria e Lazio e quello minimo in Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Marche e Molise.

L’aspetto più preoccupante è che queste distanze tenderanno ad acuirsi se si tiene conto che livelli di partenza e dinamiche risultano solidali e palesano la medesima direzione di marcia. In altre parole, i certificati di malattia crescono di più proprio dove già se ne contavano un numero più elevato: guardando al solo ultimo anno, nel settore privato si evidenzia l’incremento massimo proprio in Sicilia (+6,3%) e quello minimo in Valle d’Aosta (+1,4%).

Nella pubblica amministrazione, data una sostanziale stabilità del numero dei certificati medici trasmessi nell’anno 2016 rispetto al 2015, si registra un incremento in Calabria del 7,5% e in Puglia del 4%, a fronte di un arretramento in Molise superiore al 4%. Per completezza, alle medesime conclusioni è arrivato anche l’ultimo rapporto Ermes, che ha censito i conti annuali di oltre 2 mila enti locali, quantificando in 50 i giorni medi di assenza dall’ufficio (oltre a quelli relativi alla malattia, 31 giorni di ferie, 3,4 per l’applicazione della Legge 104/1992, cui si sommano quelli previsti in occasione di maternità, congedo parentale, concorsi, esami, lutti, eccetera). Più nel dettaglio, valori medio-bassi sono riconducibili a Lombardia, Veneto, Toscana e Molise (45-50 giorni/anno) a fronte di indicatori decisamente più consistenti (55-60) per Calabria e Sicilia.

Tutto ciò premesso, l’elemento più significativo che si può desumere dal patrimonio informativo disponibile attiene certamente alla dinamica:nel solo ultimo anno si rileva infatti un incremento del 4,3% del numero di referti trasmessi per il settore privato a fronte di una sostanziale stabilità in quello pubblico. Una progressione che si somma a quella anche superiore relativa all’anno precedente (+5%). Più in generale, si tratta di un fenomeno di lungo corso se si considera che negli ultimi cinque anni l’aumento è stato pari al 14% (da 16,4 a 18,7 milioni di certificati), in un contesto in cui solo di recente il numero degli occupati è tornato sui livelli della fase antecedente la recessione economica.
 
La lettura è che il taglio alle risorse disposto negli ultimi anni abbia contribuito a depotenziare il valore di deterrente esercitato dall’accertamento fiscale sui lavoratori: del resto, nel 2015 il rapporto tra visite e certificati è stato pari ad 1/20, contro una percentuale consigliata ben più elevata, compresa tra 1/5 e 1/6.

Le peculiarità del quadro tracciato rappresentano un punto di partenza essenziale di cui è bene tenere conto: monitorare l’andamento dei fenomeni, anche con l’ausilio della rendicontazione della categoria dei medici fiscali e delle sue rappresentanze, è la premessa essenziale per misurare gli effetti delle politiche. Anche l’attenzione alla materia è una azione preventiva che spesso vale più di tanti interventi.
 
Fulvio Bersanetti
Economista, Ref Ricerche

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