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Venerdì 09 FEBBRAIO 2018
Ovociti umani maturi sviluppati in laboratorio per la prima volta

Un team di ricercatori scozzesi e americani è riuscito a sviluppare degli ovociti umani a partire da precursori immaturi. Un risultato che potrebbe aiutare le ragazze prepuberi trattate per un tumore a diventare madri una volta archiviata la malattia insieme a chemio e radioterapia. Ma è ancora presto per parlare di applicazioni in clinica; prima bisognerà dimostrare che gli ovociti di laboratorio non abbiano alterazioni cromosomiche e che siano in grado, insieme ad uno spermatozoo, di dar vita ad un embrione sano.

Il risultato, ottenuto nei laboratori di Evelyn Telfer (Institute of Cell Biology, Università di Edinburgo) è uno di quelli che gli addetti ai lavori etichettano come ‘breaktrhough’, un punto di svolta, una rivoluzione nella storia della medicina riproduttiva.
 
Il gruppo di ricercatori dell’Università di Edinburgo, insieme a colleghi del Centre for Human Reproduction di New York, è riuscito a ‘convincere’ degli ovociti umani immaturi (di stadio primordiale/unilaminare) a svilupparsi completamente in laboratorio fino a raggiungere lo stadio maturo (cioè ad arrivare alla meiosi – metafase II – ed emettere un globulo polare) in appena 22 giorni. L’organismo di norma ci mette 5 mesi per raggiungere lo stesso risultato.
 
Stiamo parlando di un esperimento di laboratorio, con delle potenzialità straordinarie di applicazione in clinica, ma ancora tutte da verificare. A mancare in questo momento è la dimostrazione che questi ovociti ‘maturati’  artificialmente abbiano la capacità, unendosi ad uno spermatozoo, di dar vita ad un embrione sano da impiantare in una donna con problemi di fertilità.
 
Tra le candidate ideali per questa tecnica innovativa spiccano le donne trattate per una qualche forma di tumore con agenti chemioterapici che, danneggiando gli ovociti, precludono loro la possibilità di diventare madri dopo la malattia.
 
Molte ricorrono al congelamento degli ovociti prima di sottoporsi a chemioterapia, ma quando la paziente è una ragazzina prepubere con cellule uovo immature, l’unica alternativa è prelevare e conservare un pezzetto di tessuto ovarico. Questo può essere reimpiantato una volta archiviata la malattia, ma la procedura è considerata rischiosa; questa nuova tecnica potrebbe consentire un giorno di utilizzare gli ovociti immaturi contenuti nel pezzetto di organo criopreservato per farli maturare in provetta e procedere dunque alla fertilizzazione in vitro.
 
Gli autori dello studio hanno prelevato dei campioni di tessuto ovarico (biopsie corticali) da 10 donne sottoposte a taglio cesareo; da questi sono stati isolati 87 follicoli, messi in brodo di coltura. Il passo successivo è consistito nell’estrarre dai follicoli le cellule uovo immature e una parte del tessuto circostante; queste sono state poste su un supporto membranoso e ‘nutrite’ con delle proteine speciali.
 
Nove cellule uovo hanno tagliato il traguardo della maturità (sono state cioè in grado di dividersi e di dimezzare il numero dei loro cromosomi così da essere pronte a ricostituire il corredo completo con la metà proveniente da uno spermatozoo). Un successo pieno dunque.
 
Ma c’è chi getta acqua sul fuoco. Lo studio pubblicato su Molecular Human Reproduction – fa notare Mitinori Saitou, biologo delle staminali presso l’Università di Kyoto (Giappone) intervistato da Science -  non fornisce alcuna analisi genetica di queste cellule uovo ‘maturate’ in laboratorio in grado di confermare il loro stato di salute; in particolare, fa notare lo scienziato, i globuli polari (cellula aploide originata dalla prima divisione meiotica, insieme all’ovocita secondario) originati da questo esperimento erano abnormemente grandi e questo starebbe a dimostrare che la maturazione dell’uovo non è stata normale.
 
In altre parole, la scienza ha sicuramente compiuto un enorme passo avanti. Ma il fine tuning di tutto il processo va ancora messo a punto. Presto dunque per parlare di applicazioni cliniche. Sono gli stessi autori ad ammettere che questo studio fornisce il ‘proof of concept’ che si possa ottenere lo sviluppo completo degli ovociti umani in vitro; ma è necessario tuttavia ancora lavorare per ottimizzare la metodica con una  valutazione morfologica degli oociti e del loro potenziale di fertilizzazione.
 
Lo studio, portato avanti presso il Royal Infirmary Edinburgh, il  Centre for Human Reproduction di New York (professor David F. Albertini) e il Royal Hospital for Sick Children di Edinburgo è stato supportato dal Medical Research Council.
 
(Foto credits: Prof Evelyn Telfer and Dr Marie McLaughlin)

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