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Lunedì 26 MARZO 2018
Epatite C: obiettivo eliminazione e cure a 80mila pazienti l’anno ancora lontano. Regioni a macchia di leopardo. Rapporto Epac Onlus 

A un anno dalla rimozione delle restrizioni per l’accesso ai farmaci antivirali innovativi garantiti a tutti i pazienti con epatite C cronica, in Italia meno di un malato su due è stato avviato alle cure. Le criticità più rilevanti riguardano difformità regionali nell’accesso ai farmaci innovativi; difficoltà tra le Regioni a reperire atti amministrativi e documenti che il cittadino/paziente ha diritto di conoscere; disomogeneità nella selezione dei Centri autorizzati. con problemi di distanza per i pazienti e di allungamento dei tempi d’attesa. E le risorse per i farmaci innovativi rischiano di andare perdute. IL RAPPORTO EPAC ONLUS.

L’obiettivo eliminazione dell’infezione da virus HCV, curando 80.000 pazienti l’anno nel triennio 2017-2019, è ancora lontano.

A un anno dalla rimozione delle restrizioni per l’accesso ai farmaci antivirali innovativi garantiti a tutti i pazienti con epatite C cronica, in Italia meno di un malato su due è stato avviato alle cure.

Il Fondo per i farmaci innovativi non viene utilizzato a sufficienza dalle Regioni, non c’è un protocollo diagnostico di diagnosi e cura (PDTA) condiviso e mancano all’appello decine di strutture autorizzate alla prescrizione e distribuzione degli antivirali.

La situazione, con forti differenze regionali, emerge dal dossier “Epatite C - Indagine conoscitiva sull’accesso ai farmaci nelle regioni italiane”, realizzato da EpaC Onlus, grazie a un contributo liberale di MSD, da oggi disponibile online anche sul sito dell’Associazione (www.epac.it).

Secondo il rapporto una rivoluzione epocale negli ultimi anni ha riguardato le persone affette da epatite C, prima con l’arrivo di diversi nuovi farmaci antivirali, i cosiddetti DAAs (Direct Antiviral Agents), efficaci per quasi tutti i pazienti, poi a marzo 2017 con i nuovi criteri di trattamento per l’epatite C cronica, che hanno consentito l’accesso universale alle nuove terapie in regime di rimborsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale.

Questa decisione è stata possibile anche grazie alla riduzione del prezzo degli antivirali e il finanziamento di 1,5 miliardi nel triennio 2017-2019 per i farmaci innovativi e, parallelamente, Aifa ha annunciato una serie di obiettivi: eliminazione dell’infezione da virus HCV dall’Italia entro il 2020, trattamento di almeno 80.000 pazienti l’anno e aumento del numero dei Centri autorizzati di 50 unità.

Attualmente però secondo il rapporto solo il 52% delle Regioni, nel passaggio da DAAs di prima generazione a DAAs di seconda generazione, ha incrementato il numero di Reparti prescrittori (Veneto +22, Puglia e Sicilia +7, Toscana +10), il 28% lo ha lasciato invariato mentre il 20% ha operato tagli anche drastici (Lazio -8, Campania -53).

Da marzo 2017 poche Regioni hanno ampliato il numero dei Centri prescrittori: Veneto +4, Piemonte +3, Molise +3, Puglia +1, Friuli Venezia Giulia +1, e altrettanto esigue sono le Regioni che hanno incrementato il numero dei reparti: Toscana +1, Lazio +1, Calabria +1. Nel complesso il numero delle strutture autorizzate è cresciuto di 15 unità da parte di 8 Regioni (meno di un terzo di quanto annunciato). 

Il numero dei pazienti avviati alle cure è in aumento, ma lentamente: dai 30.874 pazienti trattati nel 2015 si è arrivati ai 44.795 pazienti trattati nel 2017, con un incremento negli ultimi mesi dell’anno (da gennaio 2017 al 31 luglio 2017 erano stati trattati 20.474 pazienti, ancora meno rispetto allo stesso periodo del 2016).

Un incremento tuttavia ancora distante dal target mensile di 6.667 pazienti da avviare al trattamento per raggiungere gli 80.000 pazienti/anno. 
Non va meglio nell’organizzazione dei percorsi di presa in carico. Solo il 24% delle Regioni ha realizzato un PDTA (Lombardia, Umbria, Campania, Basilicata, Sicilia), un altro 24% ha redatto Documenti d’indirizzo, nulla di fatto nelle restanti Regioni. Tuttavia, solo la Sicilia ha predisposto percorsi di presa in carico che coinvolgono sistematicamente i medici di famiglia e prossimamente anche carceri e SerD, e anche il Veneto si sta organizzando allo stesso modo.

Le criticità più rilevanti evidenziate nell’indagine riguardano difformità regionali nel governo dell’accesso ai farmaci innovativi; difficoltà reale tra le varie Regioni a reperire atti amministrativi e documenti che il cittadino/paziente ha diritto di conoscere; disomogeneità nella selezione dei Centri autorizzati riguardo a quantità e loro distribuzione, tanto che le differenze macroscopiche che si registrano nelle varie Regioni circa la presenza di strutture autorizzate causano in alcuni casi problemi di distanza per i pazienti e di allungamento dei tempi d’attesa.

Oltre alla mancanza di un PDTA unico nazionale, è assente la presa in carico di popolazioni speciali di pazienti (cosiddetti hard to reach) ed è assente il coinvolgimento dei medici di medicina generale e manca un modello di integrazione preciso per una collaborazione tra Centri autorizzati e non.

Alle criticità diffuse si contrappongono esempi di best practice, che pure non mancano come la rete HCV Sicilia, la rete provinciale bergamasca integrata a quella regionale nell’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII della Lombardia e l’esempio del Veneto, che ha più che raddoppiato il numero dei reparti autorizzati alla prescrizione dei nuovi antivirali di seconda generazione.

Segnali d’allarme anche sul fronte del Fondo farmaci innovativi: stando all’Art. 30 del Decreto legge 50/2017, le risorse non utilizzate tornano al Fondo sanitario nazionale, liberando il vincolo di utilizzo esclusivo per i farmaci innovativi. Una norma che il rapporto giudica disincentivante, quando invece le risorse non impiegate potrebbero essere destinate a potenziare con personale aggiuntivo alcuni Centri autorizzati che sono al limite della loro capacità prescrittiva, oppure utilizzati per effettuare screening, o comunque reinvestire quelle risorse per accelerare il piano di eliminazione.
 

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