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Lunedì 02 APRILE 2018
Mai pentito di aver contribuito alla costruzione del Ssn



Gentile Direttore,
l'articolo di Ivan Cavicchi sul "cambio di passo della FNOMCeO" e il mio successivo intervento hanno suscitato discussione, e questo mi fa piacere, e forse qualche fraintendimento. Un caro e stimato amico fiorentino mi definisce "muratore indefesso della costruzione del servizio". Troppo onore.
 
Tuttavia, per quel che c'è di vero in questo, non sono un pentito anzi sono orgoglioso per chi, sia pur maldestramente, ha lavorato alla costruzione del servizio sanitario. In questo nostro dissennato, sconsiderato e stravagante paese, la sanità pubblica è forse il miglior residuo bastione contro le disuguaglianze, anche se vorremmo  lo fosse assai di più. Confrontiamoci con gli altri paesi OSCE: i risultati non sono da buttar via anche se, ripeto, potrebbero essere migliori.
 
Il collega afferma che solo ora che il sistema "fa acqua da tutte le parti" mi proclamo riformatore. Al di là del fatto, del tutto personale e quindi ininfluente, che mi sono sempre ispirato a idee riformatrici, mi sembra ovvio che l'edificio, progettato nell'immediato dopoguerra (la Consulta Veneta è del '45), tradotto in legge nel '78, poi mille volte adattato, necessiti, di fronte all'evoluzione della medicina e della società, di essere riformato.
 
Ma attenzione, dividiamo i riformatori tra chi surrettiziamente, lo ricorda Cavicchi, vorrebbe cambiare alla radice la sanità e chi, al contrario, cerca di distinguere tra le molte soluzioni proponibili quelle che mantengono fermi i valori dell'uguaglianza del diritto alla tutela della salute e all'accesso alle prestazioni.
 
Molte sedicenti riforme, vedi l'ottima analisi dei programmi politici pubblicata su questo giornale, non danno affidamento su questo punto dirimente. Comunque il servizio sanitario è in crisi e sotto finanziato, quindi deve essere riprogettato. Tuttavia diffido di chi sostiene che "peggio di così non si può andare" che "non c'è nulla da fare", oppure non perde occasione per offrire una sua personale palingenesi. La sanità non funziona peggio della scuola, della giustizia o dei trasporti.  Pensare di cambiare la società attraverso la sanità mi sembra azzardato.
 
Infine c'è la questione medica. Cavicchi vorrebbe i medici capaci di "auto cambiamento mediato con le trasformazioni e le esigenze della società". Ho già espresso il mio pensiero: concordo pienamente per quanto non sia impresa facile. Ora, nell'articolo citato, si muovono critiche ai medici, cui si attribuiscono molte colpe per il conflitto di interesse e per anteporre la carriera al merito. Dal momento che tutta la mia vita professionale mi tiene esente da questi vizi, non posso che essere d'accordo, con l'unico auspicio di non costruirsi un medico astratto. I medici sono uomini come gli altri e hanno pregi, tanti, ma anche difetti e sono allergici alle regole eccessive.
 
Sono più preoccupato dei medici che guardano a un passato che non può tornare e si creano una sorta di utopia retrograda per un'epoca che forse non è mai esistita. La scienza e il mondo cambiano troppo velocemente, ecco perché si deve restare ancorati ai valori fondamentali. Difenderli, a mio avviso, è mantenere viva la razionalità che sta a base della scienza e della democrazia. 
 
Importante è che la "questione medica" sia posta al centro del problema della sanità, come puntualmente ci ha ricordato il Presidente della FNOMCeO. Un medico a disagio è un danno per i pazienti, questo è il vero problema. Finché chi soffre cercherà l'aiuto di un altro la sanità si fonderà sui medici e su tutti i professionisti sanitari. Il medico è l'intermediario tra la medicina e la società: per questo occorre partire da lui.
 
Antonio Panti

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