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Sabato 05 MAGGIO 2018
La sfida della legge Gelli-Bianco

La riforma ha tre obiettivi fondamentali difficilmente conciliabili tra loro: incrementare la tutela dei pazienti; tutelare gli operatori sanitari che rispondono in ragione del cd. “contatto sociale”; limitare la spesa pubblica ed in particolare i costi correlati alla cd. “medicina difensiva”. Ci riuscirà?

Con l’emanazione della legge 24/2017, la cosiddetta “Gelli - Bianco” emergono significative novità sul piano dell’agere dell’esercente la professione sanitaria.

In particolare questi i quattro grandi temi afforntati:
- sicurezza delle cure e del rischio sanitario;
- responsabilità dell'esercente della professione sanitaria e della struttura sanitaria pubblica o privata;
- modalità e caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria;
- obbligo di assicurazione e l'istituzione del Fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria.

Pregi e difetti
L’articolo 1 della legge 24/2017 qualifica la sicurezza delle cure come parte costitutiva del diritto alla salute e precisa che essa si realizza anche mediante l'insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e mediante l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche ed organizzative. Le attività di prevenzione del rischio - alle quali concorre tutto il personale - sono messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private.

L’erogazione di cure sicure che non causino danni al cittadino, in accordo con quanto stabiliscono i codici deontologici del medico e dell’infermiere, rappresenta un principio fondamentale del diritto alla salute.

La legge 24/2017, all’art. 1 assume i principi della Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 9 giugno 2009 sulla sicurezza dei pazienti, comprese la prevenzione e il controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria. Tale raccomandazione prende atto che la sicurezza dei pazienti rappresenta questione fondamentale per la sanità pubblica e un elevato onere economico per la collettività e stabilisce una serie di misure per la prevenzione e controllo del rischio.

L’aspetto meritevole della riforma è rappresentato dall’applicazione dei principi del clinical risk management che è definibile come “un approccio al miglioramento della qualità delle cure dedicato all’identificazione delle circostanze che mettono il paziente a rischio di danno e al controllo di queste circostanze”. Si è già dimostrato come all’interno delle organizzazioni sanitarie, in quanto organizzazioni di tipo complesso, spesso al loro interno l’errore è multifattoriale, venendo generato dalla interazione tra diverse componenti del sistema: tecnologica, umana ed organizzativa.

I principi ispiratori della riforma della responsabilità civile in ambito sanitario hanno, invece, profili interpretativi assai controversi. In particolare per quanto riguarda l’efficacia delle norme nel tempo, sia avuto riguardo alle norme di diritto sostanziale che alle norme di diritto processuale e non trascurabili sono i problemi di natura interpretativa che si pongono gli operatori del diritto.

Emerge in maniera evidente che la riforma ha tre obiettivi fondamentali difficilmente conciliabili tra loro:
1)
incrementare la tutela dei pazienti;
2) tutelare gli operatori sanitari che rispondono in ragione del cd. “contatto sociale”;
3) limitare la spesa pubblica ed in particolare i costi correlati alla cd. “medicina difensiva”.

La legge nel cercare di conciliare tutela del paziente e tutela del personale sanitario segue due linee peculiari:
a)
utilizza norme già operanti in tema di responsabilità civile da circolazione stradale;
b) crea un sistema di tutela del personale sanitario, precedentemente chiamato a rispondere da “contatto sociale”, che in parte è modellato sui sistemi di tutela previsti per talune categorie di soggetti “esposti” al rischio di rivendicazioni risarcitorie (es. insegnanti).

Numerosi sono i richiami al modello di tutela risarcitoria previsto in tema di circolazione stradale:
a)
il richiamo alle tabelle previste dagli artt. 138 e 139 C.d.A. in caso di cd. “lesioni micropermanenti” (art. 7);
b) l’obbligo di assicurazione (art. 10);
c) la determinazione “autoritativa” dei requisiti minimi delle polizze assicurative con obbligo di creare classi di rischio e massimali differenziati, dei requisiti minimi di garanzia (art. 10);
d) l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa di assicurazione; limiti alla possibilità di opporre eccezioni al danneggiato; litisconsorzio necessario della struttura sanitaria (art. 12);
e) Fondo di Garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria (art. 14).

Il modello r.c.a. applicato alla responsabilità civile in ambito sanitario rischia di portare con sé alcuni effetti distorsivi.
Uno di questi è sicuramente la deresponsabilizzazione del danneggiante-assicurato, il quale, a fronte della segnalazione di un sinistro:
a) si limita a trasmetterla alla propria compagnia di assicurazione con una succinta comunicazione di adesione e/o contestazione della stessa;
b) omette di costituirsi in giudizio;
c) omette di fornire alla compagnia di assicurazione tutta la collaborazione necessaria per strutturare una difesa efficace.

In particolare il difetto di cooperazione e coordinamento nell’approccio difensivo può condurre ad un incremento di ipotesi di soccombenza. Si può verificare la tardiva e/o incompleta trasmissione della documentazione e l’assenza di una istruttoria interna che non trova riscontro nella cartella clinica. Infatti uno dei principali elementi di difficoltà nello strutturare una valida difesa da parte della struttura è il tempo trascorso dall’evento, che determina la dispersione del patrimonio conoscitivo utile a supportare una richiesta di rigetto della domanda e tale difficoltà risulta ancor più reale in caso di difesa delegata alla compagnia assicuratrice.

La legge di riforma ha un esplicito obiettivo: tutelare gli operatori sanitari chiamati in passato a rispondere a titolo contrattuale da “contatto sociale” e, conseguentemente, tutelare la finanza pubblica con la riduzione dei costi ricollegati alla cd. “medicina difensiva” (attiva e passiva). Infatti è sancita l’espressa previsione della natura extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) della responsabilità in capo a detti operatori sanitari (art. 7) ed il rilievo, anche in sede risarcitoria, dell’essersi uniformato alle linee guida e raccomandazioni di cui all’art. 5 (art. 7).

Altro punto importante è la disciplina afferente l’azione di rivalsa di cui all’art.9, ovvero:
a)
azionabilità solo in caso di dolo o colpa grave;
b) obbligo di esercizio postumo della rivalsa, se l’operatore non è convenuto dal danneggiato, e limite temporale (un anno dal pagamento) per l’esercizio;
c) obbligo della struttura di copertura assicurativa anche in ordine all’ipotesi di azioni ex art. 2043 c.c.

Occorre interrogarsi, infine, se alcuni profili della riforma sono di reale innovatività e/o utilità in chiave deflattiva della norma di cui all’art. 8, alla luce della alternatività tra rimedio ex art. 696 bis e procedimento di mediazione.

Non va sottaciuto che già prima dell’introduzione della legge Gelli - Bianco era prevista, per i giudizi risarcitori in tema di “responsabilità medica”, la condizione di procedibilità rappresentata dal previo esperimento del procedimento di mediazione di cui all’art. 5 comma 1 - bis del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

Uno dei motivi di scarsa utilità, in chiave conciliativa, del procedimento di mediazione è rappresentato dal fatto che le cause risarcitorie derivanti da prestazioni sanitarie necessitano quasi sempre di una autorevole valutazione medico-legale e che le amare vicende (malpractice medica) che caratterizzano le dramatis personae necessitano preliminarmente di una sentenza di accertamento della responsabilità e solo per l’effetto di una condanna e, quindi, di una corretta quantificazione delle poste risarcitorie.

Tale valutazione quasi mai può avvenire nell’ambito della procedura di mediazione, tal per cui il ricorso ex art. 696 bis può costituire l’unico strumento deflattivo del contenzioso in oggetto.

Appare evidente, quindi, l’inopportunità di aver previsto l’alternatività tra i due strumenti (mediazione; ricorso ex art. 696 bis c.p.c.), risultando ben più efficace il solo procedimento ex art. 696 bis c.p.c. quale condizione di procedibilità.
 
Pasquale Mautone
Avvocato Cassazionista - Docente SSPL “Federico II” Napoli e Dottore di ricerca in “Economia e management delle aziende e delle organizzazioni sanitarie” Federico II Napoli

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