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Mercoledì 16 MAGGIO 2018
L’Italia è un paese per “vecchie” imprese. Assobiotec: “Siamo frenati da un forte ritardo normativo e culturale”

Il settore biotech italiano comprende 571 imprese del settore delle biotecnologie, 13.000 addetti e 11,5 miliardi di fatturato, la Lombardia prima su tutte le regioni. Gli investimenti in ricerca e sviluppo biotech tra il 2014 e il 2016 sono aumentati del 22%, ma anche se i numeri sembrano essere positivi, l’Italia è ultima tra i paesi europei nella classifica degli investimenti R&S in relazione al Pil. Questi i numeri del settore biotech italiano, presentati stamattina all’assemblea nazionale Assobiotec. LA RELAZIONE DEL PRESIDENTE

“Il Futuro è già qui, siamo pronti ad accoglierlo?” è lo slogan che ha aperto stamattina a Roma l’assemblea nazionale Assobiotec, l’associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie aderente a Federchimica. Protagonisti della ricerca, delle istituzioni e delle imprese hanno dato vita ad un dibattito sulle più recenti innovazioni nel settore biotech, confrontandosi e avanzando proposte su possibili nuovi modelli di sostenibilità e di supporto dell’innovazione.

“Quella che stiamo vivendo oggi grazie alle più moderne innovazioni biotecnologiche è una vera e propria rivoluzione che apre scenari ancora inesplorati in settori come quello della salute, alimentazione, ambiente e ci avvicina sempre più al raggiungimento di traguardi fino a qualche tempo fa totalmente inimmaginabili – dichiara Luca Benatti componente del Comitato di Presidenza di Assobiotec (asente invece per un impegno imprevisto il presidente Palmisano, vedi relazione allegata) -. Ma il problema è che il nostro paese è in ritardo rispetto a tutto il resto del mondo e quindi è necessario e ci auguriamo che la politica cominci a trovare nuovi strumenti e nuovi investimenti”.

“Le 570 imprese biotech che operano in Italia costituiscono un comparto di indiscussa eccellenza, sia scientifica che tecnologica in tutti i settori di applicazione delle biotecnologie - ci ha spiegato stamattina Gaetano Coletta, ricercatore Enea e membro osservatore del WP-Ocse, a margine dell’assemblea -. Hanno una buona produzione scientifica di base ma dimensioni troppo piccole e che stentano a crescere”.
 
La grande maggioranza delle imprese biotech italiane (76%) - si legge nel rapporto 2018 Assobiotec-Enea - è costituita da aziende di dimensione micro o piccola. Il comparto della salute genera quasi tre quarti del fatturato biotech totale, che supera gli 11,5 miliardi di euro con un incremento del 12% tra il 2014 e il 2016. Il 68% di questo fatturato è generato dalle imprese a capitale estero, che rappresentano solo il 13% delle imprese censite. Il numero degli addetti sfiora le 13.000 unità registrando un + 17% nelle imprese dedicate alla R&S biotech a capitale italiano. Gli investimenti in R&S biotech superano i 760 milioni, con una crescita del 22% tra il 2014 e il 2016.
 
Il Rapporto evidenzia inoltre che il biotech nazionale è un settore con un’elevata proiezione sui mercati esteri. La quota di imprese esportatrici (38% nel 2015) risulta in tendenziale aumento negli ultimi anni rilevati ed è pari mediamente a più di una volta e mezza quella del comparto manifatturiero (23% delle imprese nel 2015) e sette volte quella relativa all’industria italiana nel suo complesso, sostanzialmente ferma a poco meno del 5%. La Lombardia si conferma la prima regione in Italia per numero di imprese (162 pari al 28% del totale), investimenti in R&S (23% del totale) e fatturato biotech (32% del totale). Seguono Lazio (58) ed Emilia Romagna (57) per numero di imprese. Guardando invece agli investimenti in R&S, dopo la Lombardia, è la Toscana la regione che più investe nel biotech, seguita dal Lazio.
 
“Il settore, quindi, sembra pronto ad offrire grandi opportunità al Paese, ma al tempo stesso ha urgente bisogno di una strategia nazionale di medio-lungo periodo a favore di innovazione e ricerca – continua Benatti - Serve una regia unica a livello nazionale che preveda misure stabili nel tempo, che permettano alle imprese di superare il limite di una dimensione spesso troppo piccola, e di rendere più attrattivo il Paese per gli investimenti sia di capitale che industriali. Così da poter garantire ricadute potenzialmente importanti in termini di sviluppo economico, occupazione, crescita e competitività”. 
 
Daniela Robles

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