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Giovedì 14 GIUGNO 2018
Responsabilità professinale. Lo spostamento dell’asse da rapporto medico-paziente a rapporto utente-struttura. Il rapporto di fiducia

Più il sistema sarà in grado di generare fiducia, interna ed esterna, più breve sarà il tempo di ritorno dei nostri investimenti in innovazione, più questi saranno sostenibili. In alternativa, se il sistema Sanità non riuscirà a generare fiducia attorno a se, a prescindere dalle risorse che riuscirà ad allocare, si rischia un ritorno addirittura negativo degli investimenti fatti che si ridurranno in semplici “spese” in formazione, assunzioni, tecnologie. 

Al giro di boa dell’anno, dalla riforma della responsabilità medica, si impongono alcune riflessioni svolte dall’interno del sistema sanitario. Le analisi, in questo anno e poco più dall’avvio della riforma, sono state, quasi sempre, condotte sotto l’angolo visuale del medico - in primo luogo - dell’utente, del giurista, dell’assicuratore, ma forse troppo poche sono state le indagini condotte, dall’interno delle aziende, dando voce ai manager che quelle riforme hanno l’onere di applicare.
 
L’affermazione di cui sopra è, volutamente, generica: quale punto di vista del medico, dell’utente, etc, si è fin qui privilegiato?
 
Sarà, infatti, interessante comprendere quali benefici reali e quali benefici percepiti siano il frutto della riforma per gli utenti, se la posizione del malato sia stata, di fatto, maggiormente garantita dalla riforma, se sia migliorata la sicurezza del paziente, se si siano velocizzate o meno le procedure di ristoro del danno subito e come tutto questo sia stato percepito dall’utente medio.

Sarà altrettanto interessante leggere le prime sentenze redatto sulla base della nuova norma, assistere alle elaborazioni giudiziarie, giurisprudenziali.
Sarà certamente importantissimo assistere alla evoluzione del mercato assicurativo che sta reagendo alla Riforma in modo, forse, inatteso: é di pochi giorni fa l’allarme suscitato dal moltiplicarsi delle denunce di sinistro dovuto, però, non al moltiplicarsi dei sinistri, in quanto tali, ma al numero dei soggetti (medici e sanitari) coinvolti dal meccanismo di “avviso” previsto dalla Legge Gelli/Bianco.

L’elemento focale della riforma non è emerso, forse, con sufficiente evidenza nel l’ampio dibattito sollevato: la centralità del diritto alla sicurezza delle cure.
L’articolo 1 della legge n. 24 dell’8 marzo 2017, titolato “sicurezza delle cure in sanità” recita: “La sicurezza delle cure e' parte costitutiva del diritto alla salute ed e' perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività”.

È nella compenetrazione del “diritto alla sicurezza delle cure” nel “diritto alla salute”, -quest’ultimo garantito dal dettato costituzionale - in questa riaffermazione del diritto, non solo a ricevere un trattamento di diagnosi e cura, ma di riceverlo anche in modo “sicuro” - che il portato innovativo della Legge Gelli/Bianco esplicita tutta la sua forza propulsiva.

La Riforma rientra in un solco già tracciato, invero, da taluni altri sistemi sanitari nel mondo, noti come sistemi “no fault”.
Se il diritto dell’utente non è più solo quello a ricevere le cure, ma anche quello a rientrare in un percorso assistenziale “sicuro” cioè studiato per non nuocere, è evidente come la vecchia logica del “paziente” che, fiducioso, si rivolge al medico in una posizione di piena asimmetria informativa, sia quasi definitivamente travolta e, forse, addirittura ribaltata.

Talune conseguenze discendono logicamente dalla suddetta compenetrazione dei due diritti.
La prima conseguenza è che l’errore non è più un fatto episodicamente possibile e - quasi scaramanticamente - esorcizzato: è un fatto.
Un fatto, un accadimento (per usare una terminologia cara agli aziendalisti) studiato, previsto nella sua probabilità statistica , nelle sue conseguenze, in una logica circolare del tipo:
....disegno del sistema > calcolo probabilità accadimento > messa in opera dei sistemi di riduzione del rischio > messa in opera dei sistemi di attenuazione delle conseguenze del rischio > riconoscimento dell’errore> ri-progettazione del sistema...

Una logica di marchio aziendalista che comporta necessariamente una fredda analisi dei costi e dei benefici attesi e che riporta drammaticamente al problema della allocazione delle risorse in sanità: non vi è dubbio che assegnare un infermiere ad ogni anziano in pronto soccorso eliminerebbe il rischio cadute dalle barelle, ma sarebbe insostenibile dal sistema. Il problema si traduce, quindi in un calcolo del mix sostenibile di tecnologia impiantata (telecamere, allarmi, barelle specifiche etc), formazione del personale addetto e numerosità del personale assegnato per ridurre la probabilità del manifestarsi dell’evento e comunque attenuarne gli effetti (procedure di allarme ed immediato intervento).

Il paradigma di fondo di questa logica è che una percentuale di accadimenti negativi è comunque atteso ed “accettabile”, se pure il sistema tenda, appunto, alla minimizzazione di questa percentuale ed alla attenuazione degli effetti conseguenti all’accadimento stesso.
Ne consegue, quindi, che le strutture di erogazione di “sanità” devono dotarsi di percorsi e setting appositamente studiati per non nuocere, in grado di riconoscere l’errore ed il “quasi errore” (il near miss), in grado di studiare il meccanismo che ha portato all’errore o al quasi errore e di proporre e mettere in atto le necessarie misure correttive.

È la nascita dei sistemi aziendali di Gestione del Rischio (Risk Management), che negli ultimi anni abbiamo visto evolversi fino a trovare catalogazione e declaratoria autonoma nella organizzazione delle strutture sanitarie.

La seconda conseguenza di rilievo riporta al tema dei risarcimenti: se la sicurezza nella erogazione delle cure è un diritto al pari delle cure stesse, il danno (statisticamente) patito deve trovare un giusto indennizzo: il concetto è correttamente declinato nella riforma in termini di:
- Iter di determinazione del quantum: saldamente ancorato a tabelle,
- Iter di accertamento e definizione del nesso di causalità
- Iter di liquidazione

Rimane da capire se il complesso meccanismo, che la Riforma codifica, sia stato in grado di assolvere - sotto i tre profili - la sua funzione.
Ma, ritengo, sia nella terza conseguenza, che la norma evidenzia tutto il suo portato innovativo: se il danno è un evento statisticamente probabile (per cui la struttura deve farsi carico di prevedere e ridurre la probabilità dell’accadimento, pur cosciente della permanenza del rischio), se l’utente ha diritto al risarcimento inteso come monetizzazione di quel diritto costituzionalmente (per traslato) garantito, alla sicurezza delle cure, allora tutto il sistema vira dalla “caccia al colpevole” alla “caccia all’errore”.

In un sistema come quello che si delinea non ha più senso, cioè, perseguire il “colpevole”, ma, salvo i casi limite di dolo o colpa grave, la struttura accetta il rischio, se ne fa carico, lo gestisce e, in ultimo, accetta il fallimento dei suoi sistemi di gestione ed attenuazione dei rischi e paga, salvo, in una logica circolare, fare tesoro di quegli accadimenti per evitarne il ripetersi.

Uno stravolgimento quasi copernicano che porta al rafforzamento della logica “Struttura-Paziente”, colta oggi (come definitivamente acclarato dalla legge di Riforma), nella dimensione contrattuale del rapporto, con tutto ciò che ne consegue in termini di onere della prova, prescrizioni e meccanismi risarcitori.

Il paziente che reclama il risarcimento non costituisce più, quindi, la patologia del sistema, ma un dato statistico, in relazione al quale è necessario - dopo l’accertamento della dinamica dei fatti - liquidare con la massima tempestività per non comprimere quel diritto alla sicurezza delle cure che, leso una volta dall’accadimento infausto (ma statisticamente probabile), sarebbe definitivamente travolto da una ingiusta resistenza al pagamento del quid.
 
Il ruolo delle Aziende è evidentemente mutato da quello di contenitori e spettatori della liturgia del rapporto Medico-Paziente ad un ruolo attivo di gestione che configura un autonomo rapporto Ospedale/Utente.

Il sistema sanitario pubblico nel farsi carico della nuova declinazione del “diritto alla salute” trova, però, un forte vincolo economico: tutto il sistema della Riforma (sia sul fronte dei meccanismi e delle strutture di gestione del rischio, sia sul fronte dei risarcimenti) è infatti impostato su un modello isorisorse.
Se il Drg, la tariffa o la quota capitaria possono essere assunti, grossolanamente, a parametro di remunerazione della prestazione sanitaria resa, è evidente come detto parametro non subisce un incremento per far fronte ai “nuovi” compiti, semplicemente perché il Legislatore non percepisce dette attività di gestione del rischio e dei risarcimenti come “nuovi” gravami, ma solo come nuove modalità organizzative per l’erogazione di prestazioni sanitarie.
 
Anzi, il Legislatore si aspetta una economia dal Sistema Sanitario per l’auspicato comprimersi di quei costi da “medicina difensiva” che l’indiscriminato attacco alla classe medica, sommersa da valanghe di richieste risarcitorie, stava facendo gonfiare.
In questo quadro i sistemi di accertamento delle colpe e delle responsabilità mediche si attenuano conseguentemente.

L’obiettivo dell’Azienda è sempre più quello - più nobile - di migliorare i sistemi di sicurezza, di assicurare la serena fruizione di un diritto, di risarcire prontamente e tempestivamente gli utenti che quel diritto hanno visto leso, monetizzando il diritto stesso.

Non certo quello di perseguire - sotto il profilo disciplinare, civilistico, patrimoniale - i propri operatori sanitari che, anzi, da questa forma di “assicurazione aziendale”, da questo interporsi dell’Azienda (sotto il profilo della organizzazione e della responsabilità), nel loro rapporto coi pazienti, dovrebbero ricavare una maggiore serenità nella propria attività lavorativa e, per questo verso, un minore stimolo a ricorrere allo scudo della medicina difensiva.
Il sistema, quindi, pur in modo ancora embrionale, si avvicina ai sistemi “no fault” tipici delle realtà Anglosassoni.

«No Fault», letteralmente la traduzione consisterebbe in «nessuna colpa». Nello specifico e declinandolo in termini sanitari, indica precipuamente un risarcimento per determinate casistiche di eventi senza ricerca della colpa, vale a dire che la professione medica anziché cercare a tutti i costi il ‘colpevole’ di un evento avverso, predilige sanare la vittima dell’infortunio, comprendendone le cause e prevenirne di analoghi.

Il modello in discorso muove i primi passi nel 1974 in Nuova Zelanda, laddove si risolve attualmente in un sistema pubblico di indennizzo globale degli infortuni per tutti i cittadini, finanziato mediante la tassazione generale, le accise sulla benzina, le imposte sulle licenze di guida, et cetera. Il Programma viene gestito dall’ACC (Accident Compensation Corporation), corrispondente (con le dovute proporzioni) alla italica INAIL, la quale costituisce delle ‘riserve’ che permettono di stanziare fondi per le richieste di rifusione annuali. Lo schema si diffonde successivamente nel continente europeo, attecchendo ante omnia nell’emisfero scandinavo – Svezia, Danimarca e Finlandia. Nel rimanente territorio continentale e negli Stati Uniti la responsabilità civile clinica risulta in continua evoluzione. La responsabilità medica: un sistema no fault. Andreoli su aiop.it 11/02/2016
 
Sistemi appunto dove il concetto stesso di “colpa medica” è riscritto in logica aziendalistica.
Il medesimo criterio per cui se, facendo pieno affidamento sulla sicurezza della mia auto, percorro a velocità una curva e mi si rompe lo sterzo, provocandomi un danno, non cerco il montatore che non ha ribattuto il bullone, ma cerco l’azienda automobilistica e questa, a sua volta, non fa il processo al suo operaio, ma si preoccupa dei suoi sistemi di total quality.

È assolutamente evidente che questo copernicano spostamento dell’asse della responsabilità impatta direttamente sulla fiducia e sulla reputazione aziendale.

Se il rapporto principale non è più quello medico/paziente ma è quello struttura/utente, bisogna riscrivere la storia recente degli studi di economia sanitaria.
La stessa asimmetria informativa che permea necessariamente il rapporto fra il medico, portatore della scienza medica, ed il paziente, che supinamente riceve le cure, inconscio, financo del suo stesso bisogno - che assurge al rango di “bisogno di salute” solo allorché un medico, sulla base delle evidenze mediche e diagnostiche, lo qualifica come tale-, risulta oggi da rivedere.

L’utente nei confronti della struttura, dell’Ospedale, ha una posizione ben diversa: è informato, consapevole dei suoi diritti, tutelato da una specifica produzione normativa che negli ultimi decenni lo hanno reso parte attiva nel processo di erogazione di salute.

La Riforma, nel disegnare il rapporto con la struttura secondo i canoni del rapporto contrattuale (al contrario del rapporto col medico che rimane regolato, sotto il profilo della responsabilità, dalla extracontrattualità), accentua da un lato gli obblighi di questa di approntare un sistema di erogazione delle cure sicuro e potenzialmente in grado di non nuocere, dall’altro facilita la riscossione del diritto, una volta monetizzato, sotto forma di risarcimento.
 
A livello aziendale, profonde sono le modificazioni strategiche e gestionali che un sistema quale quello delineato, potenzialmente comporta.
I primi effetti sono noti da tempo ed hanno caratterizzato negli ultimi anni gli ospedali, soprattutto, dove abbiamo visto sorgere nuove professionalità, i Risk Manager, i facilitatori, ma anche i loss adjuster, gli addetti legali, i Cavs.

Uno stravolgimento organizzativo, finanziario e strategico che va indagato almeno su quattro strati di approfondimento:
1) le modifiche organizzative - la gestione del rischio: gli ospedali (prendendo a paradigma solo questi, nell’ambito della ben più complessa galassia degli erogatori di sanità), hanno dovuto rivedere la propria organizzazione implementando, nelle sue diverse componenti, un sistema di gestione del rischio, più o meno organizzato secondo la logica circolare sopra accennata (disegno, analisi, verifica, ri-disegno): obiettivo, ridurre la probabilità degli accadimenti, attenuarne l’impatto.

2) Le modifiche organizzative - la gestione dei sinistri: gli ospedali hanno dovuto rivedere l’organizzazione amministrativa per fare fronte ad una gestione semiprofessionale dei sinistri, tanto più in quelle Regioni che hanno inteso ritenere tutti o parte dei rischi sanitari, uscendo dal sistema assicurativo e gestendo i sinistri in autoassicurazione. La creazione dei Comitati di Valutazione dei Sinistri, e la complessità delle professionalità che vi orbitano è uno dei casi di scuola di creazione di valore (o di ipertrofia burocratica, a seconda dei punti di vista) nelle pubbliche amministrazioni. Obiettivo: accelerare la fase di accertamento/liquidazione e deflazionare il contenzioso.

3) La gestione del personale sanitario: è chiaro che necessario corollario dei sistemi “no fault” sia il venir meno dei rilievi disciplinari, se non nei casi più gravi e palesi di responsabilità disciplinare o di responsabilità dirigenziale per violazione dei doveri di condotta, nei confronti dei medici pur se citati in giudizi penali o civili per responsabilità medica.

4) La gestione finanziaria: i “risparmi di spesa” che è legittimo attendersi da una efficace gestione del rischio clinico derivano da due macroinsiemi: la riduzione dei costi inutili della ”medicina difensiva” (tutto quell’insieme di attività diagnostica e di ricoveri “in osservazione” che appare certamente inappropriato) ed il minore onere da risarcimenti da monetizzazione del diritto alla sicurezza delle cure.
 
È chiaro che questo tipo di modifiche gestionali ed organizzative richiedono grandi investimenti: investimenti organizzativi, appunto, in termini di personale, formazione etc., ma anche investimenti strutturali per rendere più idonee le strutture, informatizzare i processi, dotarsi di cartelle cliniche digitali, consenso informato raccolto con strumenti informatici (in grado quindi di resistere al momento probatorio), etc.

L’investimento senz’altro più importante è, tuttavia, quello reputazionale: solo le grandi aziende in grado di costruirsi una reputazione di modernità ed efficienza, di utilizzo degli ultimi ritrovati tecnologici, in grado di attrarre (conseguentemente) i migliori professionisti, saranno effettivamente percepite dagli utenti come luoghi di cura “sicuri” e potranno sperare in un reale abbattimento dei costi da contenzioso.

In questo panorama va rifondato il rapporto con la comunicazione istituzionale e con i media che essa veicolano. Occorre usare professionalmente lo strumento “comunicazione” come ogni altro strumento tecnologico, occorre riuscire a spiegare agli utenti cosa è malasanità e cosa non lo è, spiegare, prima all’interno, ai propri sanitari e poi all’esterno, ai propri utenti, quale linea strategica l’Azienda stia seguendo per il miglioramento della sicurezza delle cure.

Altrettanto vale per la medicina difensiva: solo le grandi strutture ospedaliere che siano in grado di costruire un rapporto di fiducia reale coi propri medici ed infermieri, che dimostrino di sapersi fare carico della loro formazione, della sicurezza dei luoghi di lavoro, del rispetto della tempistica e degli orari lavorativi e che poi avranno, alla prova dei fatti, dimostrato di avere realmente sposato la logica “no fault”, potranno sperare in un ritorno, dai loro investimenti, in termini di effettiva riduzione dei costi della medicina difensiva.

Fiducia.

Fiducia dei pazienti verso la struttura, in un rapporto medico-paziente-struttura che ha spostato il proprio asse, clinicizzandosi, trasformandosi, in primo luogo, in affidamento dei confronti di una struttura sanitaria: l’Ospedale, e, solo in seconda battuta, nei confronti delle equipe e del singolo operatore.

Fiducia dei medici e degli altri operatori sanitari nella propria azienda e nel proprio Management, fiducia nel ritrovarsi a fianco un Management professionale e preparato che studi al loro fianco gli errori per migliorare i processi senza cadere nel circolo vizioso della ricerca delle colpe.

Fiducia infine del Management verso i decisori politici e verso la collettività che deve, a sua volta, affidare il proprio bene più importante, la salute, in mano ad una classe di professionisti preparati, effettivamente in grado di gestire il cambiamento organizzativo, di investire senza alcuna garanzia di ritorno dell’investimento stesso.

Tutto questo in un tempo in cui l’opinione pubblica sembra più orientata a colpevolizzare il Management pubblico, in particolare e le istituzioni in generale, anche per responsabilità “di sistema”.

Conclusivamente, è assolutamente ipocrita pretendere che la Riforma, sotto tutti i profili sopra, pur brevemente, delineati, sia “a costo zero”: così come mai gli investimenti in innovazione, in sicurezza, in ammodernamento, sono a costo zero.

È certamente vero che questi investimenti avranno un ROI, Return on Investiment, positivo nel medio termine.

Il punto è proprio questo: la chiave del ragionamento sta proprio nel “fattore tempo” che è in corrispondenza inversa al fattore “fiducia”, più il sistema sarà in grado di generare fiducia, interna ed esterna, più breve sarà il tempo di ritorno dei nostri investimenti in innovazione, più questi saranno sostenibili.

In alternativa, se il sistema Sanità non riuscirà a generare fiducia attorno a se, a prescindere dalle risorse che riuscirà ad allocare, si rischia un ritorno addirittura negativo degli investimenti fatti che si ridurranno in semplici “spese” in formazione, assunzioni, tecnologie. 
 
Giorgio Giulio Santonocito
Commissario ARNAS Garibaldi di Catania

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