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24 GIUGNO 2018
Le Dat e le diverse “caselle vuote” della legge 



Gentile direttore,
l'altro ieri a Trento si è svolto un Seminario cui hanno partecipato oltre 130 persone (professionisti della salute e cittadini) che abbiamo organizzato per presentare il lavoro realizzato dal Comitato Etico dell’Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento nel promuovere la volontà anticipata della persona ammalata: lavoro che, a partire da una delibera approvata dalla Giunta provinciale di Trento nel 2014, si è sostanzialmente focalizzato sulla pianificazione anticipata delle persone affette da patologie inguaribili riguardo a terapie mediche prevedibili nella traiettoria di malattia.

Pur essendo in scadenza di mandato, la data scelta dal Comitato era carica di un forte valore simbolico perché il 22 giugno era il termine che la Legge di stabilità finanziaria per il 2018 aveva fissato per la costituzione della banca dati per raccogliere le volontà anticipate dei cittadini che vogliono avvalersi di questo diritto di libertà: termine che è scaduto anche se la notizia è passata sottotraccia fors’anche per le confuse (e pericolose) prese di posizioni di questi giorni sul tema della presunta pericolosità vaccinale, cui la cronaca ha dato purtroppo un ampio ed immeritato risalto facendo addirittura riemergere dai sepolcri imbiancati della professione Colleghi radiati dagli Ordini professionali.

Lei sa che la mia posizione è critica riguardo alla nuova legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e sul Quotidiano da Lei diretto ho preso ripetute prese di posizione, spesso in controtendenza rispetto alla più numerosa schiera dei suoi sostenitori. Tuttavia, il mancato rispetto del termine fissato per la costituzione della banca dati nazionale è, dal mio punto di vista, un’altra dimostrazione che questa legge sarà purtroppo destinata a restare una cornice all’interno della quale le sue pur nobili affermazioni di contenuto (molte conferme, pochissime novità) resteranno caselle vuote.
 
La sua approvazione, avvenuta frettolosamente con il marchingegno del “canguro” poco prima dello scioglimento delle Camere e, molto probabilmente, per non portare alla discussione dell’Aula la legge sullo ius soli, se le cose andranno ancora in questo modo, resterà così un’altra occasione sprecata. Senza quel salto di civiltà giuridica che era lecito attendersi visto che nel nostro Paese è da oltre 40 anni che si discute di living will (di testamento biologico) senza tener però conto di come il quadro di riferimento sia nel frattempo profondamente cambiato: non solo per gli effetti della transizione epidemiologica ma soprattutto per la pervasività della tecnica ed a causa degli effetti dell’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale e delle logiche mercantili che animano i patriziati aziendali. I cui interessi sono prioritariamente rivolti alla conferma dei loro incarichi con una subordinazione passiva alla politica locale davvero inquietante per i molti di noi che continuano a pensare che la salute sia una faccenda davvero seria, forse la più seria di tutte pur senza sminuire gli altri snodi cruciali di ogni democrazia.
 
L’amico Daniele Rodriguez, in una nota recente apparsa sul Quotidiano, propone di fare il censimento delle strutture sanitarie che hanno onorato quanto previsto dall’art. 1, comma 9, della nuova legge, organizzando momenti formativi per la sensibilizzazione dei cittadini e la formazione dei professionisti. Aggiungerei, anche, per procedere a quelle modifiche dell’organizzazione dei servizi che sono necessarie ed urgenti per dare un contenuto a quella cornice normativa: perché è un luogo comune affermare che la comunicazione è un tempo (ed un luogo) di cura ma ad isorisorse perché sfido chiunque mio Collega direttore di Unità Operativa o di Area a fornire un dato statistico d’insieme per capire quale è davvero il numero reale di ore/lavoro che i medici (e gli altri professionisti della salute) dedicano a ciò che è parte della cura. Anche perché -non nascondiamolo- i sistemi incentivanti della sanità pubblica italiana sono ancora strutturati sui numeri prestazionali e sui rimborsi selettivi previsti dai DRG che certo non considerano gli aspetti della relazione e della comunicazione i quali vengono così spesso considerati un freno per l’efficienza performante.
 
Credo che la risposta alla proposta del Prof. Rodriguez sia purtroppo scontata come dimostra la nostra esperienza locale, i dati recentemente pubblicati dall’Ordine dei Medici di Brescia (il 50% dei medici intervistati ha dichiarato di non conoscere o di conoscere poco la nuova legge sul consenso informato e sulle DAT) e l’inerzia delle Regioni e delle Province autonome che pur avrebbero potuto portare a compimento azioni informatiche in attesa della realizzazione della banca dati nazionale. Ottimizzando i sistemi che già ci sono e che però, in Provincia di Trento, non sono stati ancora interfacciati con la conseguenza che le disposizioni condivise di trattamento raccolte nell’applicativo ospedaliero non sono completamente utilizzabili dai Colleghi delle RSA, dal 118 e dai medici della continuità assistenziale.

Certo, ogni cambiamento strutturale non può dare risultati immediati richiedendo un cammino più o meno lungo, ma se non si inizia avendo chiari gli obiettivi il rischio è quello di andare fuori giri come ben sanno i maratoneti. I primi mesi di vita di questa nuova legge non sono certo incoraggianti ed il rischio che vedo è che, ancora una volta, i diritti annunciati siano poi di fatto resi inesigibili: la banca dati nazionale non è stata costituita entro il termine previsto ed a livello locale, anche laddove si è iniziato a lavorare molto prima dell’approvazione della legge come in Provincia di Trento (dove sono circa 100 le pianificazioni condivise delle cure), sono ancora molti gli ostacoli che si oppongono al diritto della persona di poter esprimere in anticipo la sua volontà.
 
Peraltro continuo a pensare che ciò che conta non sia la numerosità della platea dei pazienti che aderiscono a questa opzione del processo di cura ma la sua qualità: i professionisti, oltre che ad essere formati, devono essere sostenuti e non lasciati da soli, verificando gli outcomes ed il rispetto del perimetro di garanzia che, al nostro livello locale, è stato individuato dal Comitato etico aziendale. A testimonianza dell’eticità dell’Organizzazione che deve presidiare i processi coinvolgendo i professionisti senza delegare ad essi i risultati e sensibilizzare le persone.
 
La maturità si vede in questo ed a me sembra che il cammino sia ancora lungo ed accidentato perché in questi anni, a livello locale, siamo stati spesso testimoni dell’inerzia e della distanza di chi, a partire dal nostro impegno, avrebbe potuto e dovuto innestare un’altra marcia per imprimere una più coerente accelerazione. Forse la colpa è stata anche nostra perché, come ha ripetutamente osservato al nostro interno un componente del Comitato, non abbiamo saputo vendere al meglio il nostro lavoro. Probabilmente è stato così ma la questione di fondo è quella di ciò che siamo e delle nostre biografie: c’è chi si rimbocca le maniche a testa bassa e c’è chi sa dar frutto al suo lavoro attraverso le relazioni ed i piani di forza.
 
Non so chi abbia ragione nonostante io appartenga alla schiera dei primi anche se sono sicuro che chi prenderà il nostro posto saprà far fruttare al meglio il lavoro realizzato in questi anni: un umile tentativo di cambiare la rotta della care con un modello antropologico che non sposa né il paternalismo medico né l’assolutizzazione dei diritti della persona ma che promuove l’alleanza. Riconducendola dentro i limiti dell’umano sempre più sconfessati dal potere della tecnica, dallo scientismo e dall’efficientamento mercantile dei servizi. 
 
Fabio Cembrani
Direttore U.O. di Medicina Legale
Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento  

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