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Lunedì 17 SETTEMBRE 2018
Se il Ssn è ancora mutualistico

La questione, allora, diventa: come rendere adeguata, una sanità pubblica ancora mutualistica, ad una domanda di salute che senza, nessuna ombra di dubbio, non può essere soddisfatta con il mutualismo cioè con la sola medicalizzazione. Il mutualismo era già un rottame 40 anni fa, figuriamoci ora che la società è diventata quelle che è. Eppure non sono pochi coloro che nel tempo di internet vogliono convincerci che dalla post modernità  si dovrebbe  tornare al neolitico

Fabio Floraniello pochi giorni fa, su questo giornale, ci ha offerto una puntuale e chiarificante ricostruzione della normativa che riguarda le mutue, alla quale, per amore della completezza aggiungerei, quella che, ispirata dal job act, punta a attuare una idea di “welfare on demand” in aperta concorrenza con la sanità pubblica, attraverso incentivazioni fiscali. Ciò che, comunemente, si indica con l’espressione “welfare aziendale” che, come tutti sanno, viene attuato per via contrattuale.
 
Le conclusioni di Floraniello sono, a dir il vero, laconiche, ci parla di “criticità irrisolte” aggiungendo che la discussione sulla questione è aperta, che esistono, oltre a degli equivoci, una frammentazione ed eterogeneità dell’offerta, una scarsa attenzione all’appropriatezza, una diffusa trascuratezza nei riguardi della cronicità e dell’autosufficienza, delle agevolazioni fiscali da rivedere.
 
Naturalmente concordo con lui ma, nello stesso tempo, ritengo che, a monte del discorso sulle criticità di questo “strano” sistema, (strano perché non so se definirlo complementare o promiscuo, nel quale le mutue o se si preferisce i “fondi” hanno una natura apertamente sostitutiva rispetto al sistema pubblico) si debbano fare delle scelte politiche inequivoche, cioè esplicare una volta per tutte il sistema finale che si vuole.
 
Supponendo di risolvere le “criticità” di cui parla Florianello quale sistema a regime si auspica?
 
Contestualizziamo
La mia domanda va contestualizzata:
- ci troviamo con un nuovo governo molto diverso da quelli che hanno storicamente la responsabilità politica di aver creato le “criticità” di cui parla Florianello,
- alla vigilia di una legge di bilancio, che, sulla sanità e sulla spesa pubblica, dovrà fare scelte e prendere decisioni non facili.
 
Parto naturalmente dal presupposto che, proprio perché questo governo si autodefinisce “del cambiamento”, le criticità relative al rapporto tra mutue e sistema pubblico dovrebbero essere risolte, anche perché, come sottolinea Floraniello, esse pongono, nel contesto finanziario dato, seri problemi di distribuzione delle risorse, quindi di equità, tra tutele individuali e tutele collettive. Fare sconti fiscali a certi cittadini e ad altri imporre dei ticket non è proprio un bell’esempio di giustizia sociale.
 
Tuttavia è’ indubbio, ad esempio, che:
- gli incentivi previsti per il welfare aziendale costituiscono una sottrazione di risorse alla sanità pubblica,
- non sarebbe coerente, per questo governo trovare risorse aggiuntive per il Fsn e nello stesso tempo mantenere degli incentivi volti a mettere in competizione (quale complementarietà!!) il pubblico con il privato.
 
Un attrattore strano
Se dovessimo tradurre la ricostruzione normativa fatta da Floraniello in una traiettoria, cioè in un processo dinamico che tende, come dice la fisica moderna, a raggiungere il proprio “attrattore”, (luogo dello spazio in cui il processo evolve compiendosi) la curva punta chiaramente ad una graduale privatizzazione, almeno di una parte consistente, del sistema pubblico per favorire, a parte l’intermediazione finanziaria,  alcune componenti sociali a scapito della parte più debole della popolazione.
 
Si parte, nel 78, con un principio di mutualità volontaria, chiaramente integrativo, di ciò che non fornisce il sistema pubblico, e si arriva, ai giorni nostri, a diverse tipologie di fondi chiaramente sostitutivi nei confronti di ciò che fornisce il sistema pubblico.
 
L’attrattore, a me sembra chiaro: ridimensionare un sistema universalistico definito su base solidaristica con un sistema che, da Sacconi in poi, (2009) è stato definito multi-pilastro, sostenuto e giustificato dalle ideologie ben finanziate dalle assicurazioni:
- universalismo selettivo
- crescita incontrollata della spesa privata,
- insostenibilità naturale della sanità pubblica, ecc
 
Un po’ di pubblico, un bel po’ di fondi, terzo settore dove è possibile, deregulation a go go e il mio “attrattore strano” è in tavola.
 
Rammento, a mo’ di battuta allusiva, che la descrizione degli “attrattori strani”, nei sistemi dinamici, è stata uno dei successi della teoria del caos.
 
Ridurre la spesa privata non mutualizzarla
Pochi giorni fa il ministro Grillo ha dichiarato, a proposito di spesa privata, e del fatto che, secondo Oms Europa, essa non dovrebbe superare il 15% (la nostra è al 23%), una dichiarazione importante che condivido  e apprezzo “stiamo lavorando sulla spesa out of pocket. Tutti ci vogliono mettere le mani mentre noi vogliamo ridurla facendo efficienza e appropriatezza (combattere per esempio l’eccesso di prestazioni inutili e non necessarie)”.
 
La spesa privata, come tutti sanno, è funzione (f) di molti diversissimi “argomenti” (x, y, z…) in questo modo si comprende come essa sia un dato variabile che, in quanto tale, può crescere ma anche diminuire.
 
Cioè essa non è né una fatalità, né una cosa ineludibile, né una cosa irreversibile. Come dice il ministro, se intervenissimo per qualificare l’offerta pubblica sarebbe possibile ridurre la spesa privata, cioè riportare a carico dello Stato, ciò che, per svariate ragioni, finisce a carico del cittadino e, per giunta, se riducessimo delle diseconomie, senza incrementare più di tanto la spesa pubblica.
 
Vorrei far notare che un ragionamento del genere vale anche come salvaguardia del reddito delle persone che, potendo servirsi del servizio pubblico, possono spendere i loro soldi in altro modo. Ricordo che il welfare aziendale si basa sulla rinuncia da parte del lavoratore di una parte di salario e sulla sua sostituzione con dei benefits.
 
Quindi se riducessimo la spesa privata, come dice il ministro il welfare aziendale, il welfare aziendale sarebbe inutile o comunque del tutto residuale. Infatti non si capisce perché, soprattutto i metalmeccanici, anziché battersi per avere un diritto alla salute, garantito dallo Stato valido per tutti, si siano adoperati per negarlo riducendolo ad una utilità finanziata con il proprio salario contro tutti.
 
Una teoria della giustizia
I neo mutualisti, i tirapiedi delle assicurazioni, gli speculatori, i multi-pilastristi, usano il dato della spesa privata come prova della necessità per una inevitabile privatizzazione del sistema. Il loro pensiero è lineare in modo disarmante: se spesa privata allora insostenibilità se insostenibilità allora privatizzazione. Una evidente “balla” cosmica come ha dimostrato su questo giornale il Comitato Scientifico della Fondazione Allineare Sanità e Salute (Qs 30 marzo 2017) e successivamente Alberto Donzelli (Qs 11 giugno 2018).
 
Ma la mutualizzazione della spesa privata significa non solo mantenerla mantenendo tutti gli “argomenti” anche disfunzionali che la producono, ma addirittura incrementarla dal momento che l’intermediazione finanziaria, come abbiamo visto con la sostituzione di fatto dell’integrativo in sostitutivo, punta a prendersi sempre più spazio e a mettere la sanità pubblica fuori mercato.
 
Per prendersi più spazio essa deve necessariamente avere maggiori possibilità di mettere le mani nelle tasche delle persone. Cioè deve avere più reddito, quindi spesa privata, sul cui speculare. “Meno salario e più benefits” potrebbe essere lo slogan del welfare aziendale. Vorrei far notare che, tutto questo, cozza, in modo stridente, con il significato politico-economico del reddito di cittadinanza, cioè con l’estensione non la riduzione del reddito ai più deboli, idea alla quale perfino Macron, ha deciso, buon ultimo, di adottare.
 
Disincentivare le ingiustizie
Quando, il ministro, sulla spesa privata dice che “tutti ci vogliono mettere le mani” dice la verità perché tutti su di essa vogliono fare business permettendo alla speculazione finanziaria di papparsi una parte del reddito di chi lavora a scapito soprattutto di chi non lavora, pensionati compreso.
 
Penso quindi che il processo di riduzione della spesa privata, auspicato dal ministro della salute, oltreché passare per una qualificazione dell’offerta pubblica, passi anche per una dis-incentificazione delle mutue aziendali e dei fondi. Quindi per una maggiore equità nella distribuzione delle risorse pubbliche e nel rapporto tra salari e lavoro. E’ quella che, con Rawls, ma questa volta eliminando il “velo di ignoranza” potremmo definire anche noi una “teoria della giustizia”
 
Non ha alcun senso ridurre la spesa privata e continuare a incentivare coloro che in un modo o nell’altro ci speculano sopra.
 
Faccio notare, a proposito di legge di bilancio, che recuperare risorse cancellando gli incentivi alle mutue o ai fondi, potrebbe permettere, in tempo reale, di rifinanziare, in modo non marginale il Fsn. Non mi pare quindi una cosa da poco.
 
Si tratta di uscire “dall’attrattore strano” quindi di:
- rifinanziare il pubblico per ridurre la spesa privata,
- de-mutualizzare tutta quella parte di sistema che si regge sull’equivoco integrativo/sostitutivo.
 
Alla fine si tratta di tornare al principio di partenza:
- la mutualità volontaria è libera ma a condizione che non costituisca una lesione ai diritti all’universalità delle persone,
- la complementarietà è un valore da ribadire soprattutto se tende a completare il processo di tutele pubbliche,
- l’integratività è ammessa ma non può essere falsificata in sostitutività.
 
In questo modo le “criticità irrisolte” di Floraniello sarebbero risolte con un grande beneficio collettivo e con una grande opera di giustizia sociale.
 
Oltre il mutualismo
La necessità di de-mutualizzare il sistema sanitario impropriamente, occupato dalla speculazione finanziaria, va insieme ad un’altra necessità, se volete più culturale, che è quella di de-mutualizzare la cultura del sistema sanitario nazionale.
 
Nella mia “Quarta riforma” mi sono provato a dimostrare che l’attuale Ssn, pur essendo nato, dal crollo del sistema mutualistico, alla fine si è rivelato, nella pratica corrente, una grande super-mutua, nel senso che le riforme che abbiamo fatto per metterlo in piedi, a tutt’oggi, non sono riuscite ad emanciparlo dalla cultura mutualistica precedente.
 
Nei nostri ambulatori, nei nostri ospedali, nel territorio, nelle nostre professioni, perfino nei nostri cittadini, ancora oggi c’è più “mutua” di quello che si pensa.
 
Per cultura mutualistica intendo una idea di tutela vecchia e inadeguata che riduce la medicina a mera riparazione della malattia, che non si pone il problema della salute primaria, che ragiona solo di prestazioni, che standardizza tutto anche l’instandardizzabile, in barba ai discorsi sulla personalizzazione e che al massimo considera il cittadino un “customer” e nulla di più. Ma di quale “esigente” si parla?
 
Nick Miranda ha scritto un articolo davvero pregevole con il quale ci ha spiegato la malafede delle mutue quando parlano di salute e di prevenzione (QS 6 gennaio 2018). Ha ragione lui le mutue sono una idea di tutela assolutamente medicalizzante.  E oggi la prima idea strategica che dovremmo seguire anche al fine di ridurre, come ha dichiarato il ministro, la spesa privata, è demedicalizzare quanto più è possibile a partire da una nuova idea di salute che al pari del Pil sia considerata semplicemente una ricchezza di genere diverso.
 
Ma per de-medicalizzare si deve de-mutualizzare la cultura riparativa che prevale ancora oggi nel nostro sistema sanitario.
 
Appropriatezza e/o adeguatezza
Il ministro Grillo dice, giustamente, che se facciamo “efficienza” e “appropriatezza” si può ridurre la spesa privata, ebbene, distinguendo “appropriatezza” (coerenza delle prestazioni con le evidenze scientifiche) da “adeguatezza” (coerenza della cura con le complessità del malato) io ritengo che, proprio perché ancora oggi la nostra sanità è una super mutua, essa ha prima di ogni cosa fondamentalmente un problema di “adeguatezza” e che a causa di ciò, essa non solo costa più di quello che dovrebbe ma produce anche tra i tanti paradossi oltre a quello  del contenzioso legale e delle aggressioni ai medici  (forme moderne di conflitto sociale) anche quello della spesa privata.
 
Le mutue sono certamente appropriate ai loro standard ma nello stesso tempo esse sono quanto di più inadeguato esiste nei confronti della cura della complessità del cittadino malato. Questo è il paradosso.
 
Per cui de-mutualizzare il sistema significa cambiarlo culturalmente in profondità per renderlo certo appropriato ma soprattutto più adeguato.
 
Con un sistema pubblico adeguato non credo che il cittadino abbia bisogno di rinunciare a una parte del salario per iscriversi ad un fondo.
 
La questione, allora, diventa: come rendere adeguata, una sanità pubblica ancora mutualistica, ad una domanda di salute che senza, nessuna ombra di dubbio, non può essere soddisfatta con il mutualismo cioè con la sola medicalizzazione. Il mutualismo era già un rottame 40 anni fa, figuriamoci ora che la società è diventata quelle che è. Eppure non sono pochi coloro che nel tempo di internet vogliono convincerci che dalla post modernità  si dovrebbe  tornare al neolitico.
 
Ivan Cavicchi

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