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Giovedì 15 DICEMBRE 2011
Diagnosi. Al medico basta un secondo e mezzo per farsi una prima idea

Uno studio brasiliano dimostra che il processo mentale che si mette in atto quando si cerca di ricordare il nome di un oggetto è lo stesso che i medici usano per fare una diagnosi. La scoperta potrebbe essere sfruttata per migliorare le tecniche di apprendimento.

Basta 1 secondo e 33. Questo il tempo che impiega un medico per fare la sua diagnosi, che spesso avviene nei primi momenti di interazione con il paziente, spesso anche prima che questo esponga i sintomi. Il meccanismo neurale alla base delle diagnosi sarebbe infatti simile a quello che il cervello attiva quando deve ricordare il nome di un oggetto o un animale. La scoperta emerge da uno studio dell’Università di San Paolo in Brasile, pubblicata su PloS ONE.
Per giungere a questa conclusione i ricercatori hanno chiesto a un campione di 25 radiologi di fare le loro diagnosi su 120 radiografie al petto, create per l’occasione tramite un software di editing di immagini. Ai radiologi veniva chiesto alternativamente di nominare le lesioni che osservavano o di riconoscere foto di alcuni animali, mentre la loro attività cerebrale veniva monitorata tramite uno strumento di risonanza magnetica funzionale (fMRI). Le immagini venivano mostrate ai radiologi per una media di un secondo e mezzo, contemporaneamente veniva osservato il tempo di risposta e le aree corticali attive.
 
Il tempo medio di diagnosi è risultato essere, appunto, 1.33 secondi. Quello per riconoscere gli animali poco meno, 1,23 secondi. Solo quando i dottori dovevano riconoscere una lesione un po’ più complicata, per la quale dovevano ad esempio vagliare mentalmente più opzioni, i tempi salivano a 3.5 secondi. Lo studio, inoltre, ha mostrato che le aree del cervello attive durante la diagnosi erano sorprendentemente simili a quelle usate dai medici quando dovevano nominare gli animali osservati.
 
Ma a cosa serve questo studio? “I nostri risultati sono a sostegno dell’ipotesi che i processi neurali che si verificano quando un medico riconosce caratteristiche che ha già visto in altre lesioni siano molto simili a quelli che mettiamo in atto tutti i giorni quando nominiamo qualcosa”, spiegano i ricercatori nello studio. “Capire su quali basi si fondano le diagnosi mediche potrebbe essere utile per sviluppare tecniche per migliorare le capacità diagnostiche e ridurre gli errori”. Secondo i ricercatori, ad esempio, si potrebbe usare questo tipo di conoscenze per ottimizzare il modo in cui si insegna la medicina.
Questo studio è infatti il primo che osserva direttamente i meccanismi cerebrali che si innescano nei medici quando svolgono il proprio lavoro. “Un’ulteriore implicazione dello studio – scrivono nell’articolo – è che le informazioni sui meccanismi cognitivi del linguaggio, che già abbiamo ottenuto o che otterremo tramite le neuroscienze, potranno essere usati anche per migliorare esperienza e know-how dei medici. In più, le ipotesi concettuali e l’approccio metodologico descritti in questa ricerca sono innovativi e potrebbero essere usati ancora in altri studi”.
 
Laura Berardi

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