quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Lunedì 15 OTTOBRE 2018
Nota di aggiornamento e manovra. Una “lettura” diversa

Il “poter spendere” e il “come spendere”, in sanità, dovrebbero essere considerate questioni inseparabili nel senso che il primo non può che essere specificato dal secondo. Senza risorse culturali si specifica solo l’invarianza. Il “come spendere” è un problema di risorse culturali

In genere la critica che tutti stanno facendo alla Nota di aggiornamento del Def, relativamente alla sanità, è l’insufficienza delle risorse (mezzi) rispetto a un programma che punta a realizzare tante cose (fini).
 
Questo problema, del rapporto mezzi/fini rientra dentro una questione politica più ampia, che, per me, è quella della coerenza tra le intenzioni politiche del governo(volontà) e la loro implementazione concreta (realizzazione) rispetto alla quale, il problema dei soldi, è solo una delle questioni, per quanto indubbiamente prioritaria.
 
Risorse finanziarie e risorse culturali
Per me, in una nota di aggiornamento o in una legge di bilancio, ma in generale in tutte le norme che ci riguardano, vi sono, rispetto ad un qualsiasi scopo da raggiungere, due tipi di risorse necessarie:
- quelle finanziarie
- quelle culturali
 
Entrambi, a mio avviso, rientrano, a pari titolo, nella categoria dei “mezzi” che permettono il conseguimento di uno scopo.
 
Se le risorse finanziarie dipendono dal Mef, quelle culturali dipendono dal ministero della Salute e in senso generale dalla capacità della sanità di ripensarsi. Cioè dalla loro progettualità.
 
Le risorse finanziarie permettono, ad esempio, di assumere degli operatori (si fa ben poco con le leggi a costo zero) ma quelle culturali, cioè le idee, le conoscenze, ma anche le strategie, i progetti, permettono di qualificare la spesa che serve per assumere quegli operatori. Cioè le risorse culturali decidono la qualità di un aumento di spesa. La qualità della spesa è parte integrante della spesa stessa.
 
Il “poter spendere” e il “come spendere”, in sanità, dovrebbero essere considerate questioni inseparabili nel senso che il primo non può che essere specificato dal secondo. Senza risorse culturali si specifica solo l’invarianza. Il “come spendere” è un problema di risorse culturali.
 
Risorse culturali
Due esempi a proposito di coerenza:
- se il governo dichiara di voler rifinanziare la sanità ma a questa assegna risorse insufficienti la coerenza mezzi/fini è contraddetta dalla scarsità dei mezzi,
- se il governo dichiara di voler cambiare la sanità ma conferma una certa legislazione vigente, in questo caso, la coerenza mezzi/fini è contraddetta dalla scarsità di risorse culturali.
 
Le risorse culturali:
- creano le giuste condizioni di fattibilità alle condizioni finanziarie date per il raggiungimento di certi obiettivi,
- rimuovono quelle contraddizioni che, alla fine, pur immaginando di avere finanziamenti congrui, ostacolano qualsiasi processo di rinnovamento,
- compensano gli incrementi della spesa che si sostengono con una crescita delle utilità rendendo in questo modo la spesa più sostenibile.
 
La nota di aggiornamento e le antinomie
Il capitolo “sanità” nella nota di aggiornamento è molto breve (da pagina 99 a pagina 101). Probabilmente troppo breve rispetto ai tanti problemi della sanità. Secondo me questo, a causa di una serie di antinomie, è un esempio di come la scarsità di risorse culturali accentui il problema della scarsità di risorse finanziarie nel senso che non aiuta di certo a compensarlo.
 
Cosa sono le antinomie?  Sono scelte politiche e culturali che comportano necessariamente dei risultati contraddittori. Un esempio: si vuole camminare ma si resta fermi. Il restare fermi contraddice l’intenzione di camminare.
La mia preoccupazione è che tali antinomie non ci aiuteranno a scrivere, alle condizioni finanziarie e culturali date, la migliore legge di bilancio possibile.
 
 
La prima antinomia: la scelta di uno scenario sbagliato
 
Nella nota di aggiornamento la prima antinomia importante riguarda lo scenario assunto per decidere le politiche da adottare.
 
La “nota” inizia recitando testualmente: “nei prossimi vent’anni, l’Italia si troverà ad affrontare una serie di importanti problematiche attinenti la sanità che se non gestite adeguatamente potrebbero avere rilevanti ripercussioni sul sistema”.
 
Questa formulazione che ovviamente ha una propria tautologia (è ovvio che il futuro ci porrà nuovi problemi) a cui segue la  lista della spesa di sempre delle azioni da adottare (personale; governance della spesa; innovazione, ricerca, Lea, investimenti, ecc.) fornisce una visione contraffatta della realtà perché dà l’idea che  non vi sia un passato e che sino ad ora le cose siano andate bene e che la sanità non abbia una storia e che il sistema debba essere sic et simpliciter aggiornato al futuro. In questa formulazione, qualsiasi discorso di riforma, è escluso a priori. Il governo vorrebbe camminare ma resta fermo perché non ha idea di dove andare.
 
Cosa diversa se la nota avesse scritto “da 40 anni è in atto un processo riformatore che ha incontrato molte difficoltà, commesso errori, fatto scelte politiche sbagliate, operato in condizioni avverse, tradito grandi criticità, tali da configurare un enorme problema di regressività del sistema che se non risolto mette a rischio la natura del Ssn”.
 
Questa formulazione, tra l’altro molto più congegnale ad un governo che proponendosi per il cambiamento si propone come discontinuità, impone che la solita “lista della spesa” sia sostituita da un programma di riforme orientato a rimuovere tutte le contraddizioni che si sono accumulate in questi 40 anni, creando regressività ad ogni livello, senza il quale il sistema resterebbe invariante, cioè tale e quale, ma con insignificanti aggiornamenti.
 
Nella formulazione della nota, a giudicare dalle proposte, la discontinuità non c’è, dal momento che resterebbero fuori questioni come: la medicina amministrata, la crisi dell’azienda, le grandi diseguaglianze e gli squilibri nord/sud, la questione medica, le operazioni scriteriate di ospedalectomia, la crisi della nozione di territorialità dovuta ai riordini regionali, il problema del titolo V, il regionalismo differenziato, i piani di rientro, le false mutue integrative e il welfare aziendale, ecc, ecc.
 
Scegliere uno scenario sbagliato, per giunta nella continuità con i governi precedenti, è un problema di risorse culturali che in quanto tale non favorisce in nulla la soluzione del problema finanziario. Meno che mai una realistica legge di bilancio.
 
La seconda antinomia: assunzioni del personale
La nota recita testualmente: “Le politiche per il personale saranno orientate alla corretta individuazione dei relativi fabbisogni, con l’obiettivo imprescindibile di aggiornare i parametri di riferimento previsti dalla legislazione vigente”.
 
La legislazione vigente è costituita sostanzialmente da due leggi (in bibliografia della nota), in ordine di tempo:
- la L.191 del 2009 che è la legge finanziaria per il 2010 e che stabilisce una serie di sbarramenti alle assunzioni di personale compreso il blocco del turn over,
- la L.75 del 2017 che riguarda l’amministrazione pubblica ingenerale e in particolare l’organizzazione degli uffici e la definizione del fabbisogno di personale.
 
In questa seconda legge la sanità è uniformata alla pubblica amministrazione cioè non ha una specificità, ed è citata, solo per dire che i provvedimenti che la riguardano sono adottatiprevia intesa in sede di Conferenza unificata e di concerto “anche” con il Ministro della salute.
 
Per me questa mancanza di “specificità” cozza con la grande emergenza della sanità che è la carenza grave di personale, un fattore negativo, che si ripercuote dannosamente a scala di sistema ostacolando:
- da una parte in modo grave lo svolgimento normale delle attività dei servizi,
- dall’altra condizionando pesantemente sia le prassi delle professioni sia i diritti delle persone assistite.
 
Per cui la “specificità” serve a restituire al problema occupazionale tutta la sua complessità di settore.
 
Il conflitto salario/occupazione
Il problema dell’occupazione, per me, in sanità non è banalmente riconducibile solo al blocco del turn over, ma ad un mercato del lavoro sia medico che infermieristico, drammaticamente squilibrato, che sino ad ora non è mai stato governato come si sarebbe dovuto fare.
 
Se fosse per me tutti i soldi, che con la legge di bilancio riusciremo a rimediare in più sul Fsn, dovrebbero andare alla assunzione di nuovi operatori.
 
Mi rendo conto della delicata posizione in cui si trovano oggi i sindacati, soprattutto della dipendenza che:
- da una parte, da anni, non rinnovano i contratti e quindi chiedono giustamente per chi lavora di aggiornare le retribuzioni,
- dall’altra parte, si trovano con un mercato del lavoro che li sta massacrando sul piano professionale mettendo in pericolo la loro credibilità sociale agli occhi dei cittadini.
 
Il problema è che se i soldi sono pochi devi scegliere: o si mettono sui contratti o sull’occupazione o su tutte e due ma sapendo che la divisione di un numero piccolo determina due numeri ancora più piccoli. Cioè esiste il rischio di polverizzazione delle risorse.
 
Questo, la legge di bilancio deve saperlo, e per la sua delicatezza auspico fortemente che si raggiunga, prima di ogni cosa, una intesa con il sindacato.
 
Mai credo, come in questa fase, a parte le rivolte dei giovani medici negli anni 80 che a quel tempo occupavano gli ordini, in sanità ho visto acuirsi un conflitto che è quello tra “salario” e “occupazione”. Tra chi lavora e chi non lavora o chi lavora in modo precario.
 
Questo conflitto, secondo me, oggi è esasperato certamente dalla carenza di risorse finanziarie ma anche dalla carenza di quelle culturali.
 
In tutta franchezza il conflitto salario/occupazione e gli squilibri del mercato del lavoro non si redimono mettendo dentro un po’ di persone a lavoro invariante e concedendo un po’ di soldi a logiche contrattuali invarianti, sapendo tutti che, da quanto è nato il Ssn, la grande invarianza, la più grande di tutte, è il lavoro.
 
Cioè in tanti anni le prassi, i modelli, le organizzazioni, le forme contrattuali, le logiche salariali sono cambiate molto meno di quello che sarebbe stato necessario cambiare:
- per rinnovare il sistema dei servizi nei confronti di nuove necessità sociali,
- per governare i problemi della spesa legati al costo del lavoro.
 
Anche questo è un esempio dove la carenza di risorse culturali crea un problema di risorse economiche. Un lavoro che non cambia sostanzialmente mai, se non per aspetti marginali, mentre tutto cambia e, quindi, cresce solo come costo, è destinato ad essere de-finanziato fino alla de-contrattualizzazione. Questo i sindacati devono saperlo.
 
La divergenza “costo del lavoro” “valore del lavoro”
Sono stato io, prima su questo giornale, e successivamente, con il mio e book “la quarta riforma” a introdurre nell’analisi sui problemi del lavoro in sanità, il concetto di de-capitalizzazione, (capitolo 12)   per cui non ripeterò le cose già scritte anche se vi invito a leggerle.
 
Mi limito a ricordarvi però che alla base della de-capitalizzazione, che vale come una forma economica di svalutazione del valore del lavoro, vi è quello che ho definito la divergenza tra “costo e valore”: da una parte se fossero rispettate le scadenze contrattuali e adeguate le retribuzioni il costo del lavoro tenderebbe a crescere, dall’altra il suo valore sociale tenderebbe a calare a causa di molte cose:
- una crescente sfiducia dello Stato nei confronti dei medici che attraverso la medicina amministrata tende a ridurlo soprattutto per ragioni economiche ad una trivial machine,
- una crescente sfiducia della società nei confronti del medico testimoniata da fenomeni deteriori quali il contenzioso legale, la medicina difensivista, le aggressioni ai medici, le obbligazioni sanitarie che cozzano contro una crescente cultura della libera scelta, una medicina che, di fronte ad un nuovo genere di malato e di società, fa fatica a ridefinirsi nel proprio paradigma conservando vecchie modalità operative, ecc.
 
Nessuno mi leva dalla testa che, i governi, si possono permettere la tracotanza di bloccare la contrattazione, a parte le congiunture economiche, proprio perché il valore sociale del lavoro è quello che è, almeno nella percezione sociale delle persone. Del resto, a parte la medicina amministrata, se si vuole dare alla società un segnale di svalutazione dei medici basta smettere di pagarli. Siamo, pur sempre, in una società nella quale chi guadagna poco vale poco.
 
La grande priorità
Questa divergenza tra costo/valore è soprattutto causata da una eccessiva rigidità verso il cambiamento da parte del lavoro e delle professioni quindi a sua volta è un problema di invarianza, quindi, ancora una volta, una forma di grave carenza non di risorse economiche ma culturali.
 
La mediazione per me possibile, tra salario e occupazione, tra costo e valore, quindi tra, de-capitalizzazione e ricapitalizzazione, oggi, considerando la scarsità dei mezzi finanziari disponibili e i problemi di legittimazione sociale, passa per un progetto di riforma del lavoro, del mercato del lavoro e quindi per una profonda riflessione sulle professioni e le loro prassi. Questa è la vera grande priorità. Cioè passa per un investimento in risorse tanto finanziarie che culturali.
 
Passa per “l’autore” cioè per una idea nuova di operatore, oltre la dipendenza e oltre la convenzionata, senza la quale è difficile definire una nuova idea di lavoro. Non si può ridefinire il lavoro senza ridefinire chi lavora e non si può ridefinire chi lavora senza ridefinire la domanda di salute e di cura in questa società in tutti i suoi cambiamenti.
 
Ebbene, ricordando che le attuali condizioni del mercato del lavoro sono state determinate principalmente dalla applicazione della legislazione vigente al servizio di una politica di de-finanziamento progressivo, mi chiedo, tornando ai problemi della “nota”: che possibilità reali abbiamo, a legislazione invariante, di creare condizioni favorevoli, a partire dalla prossima legge di bilancio, per una riforma del lavoro?
 
Il problema del fabbisogno del personale in sanità (sino ad ora definito con la legge 191/2009 e 75/2017) ribadisco è così grave da richiedere per prima cosa il riconoscimento di una “specificità” quindi una relativa autonomia della sanità dalla legislazione che riguarda gli sbarramenti i tetti e la pubblica amministrazione.
 
Ma l’ideale che traspare dalla lettura della nota, in tema di assunzione del personale, non è quello che auspico io ma più semplicemente è quello di un conformismo alla legislazione che c’è. Cioè alle possibilità che in essa sono descritte e che a mio avviso sono piuttosto limitate.
 
La terza antinomia: il Dm 70 del 2015
La nota prevede testualmente “la piena attuazione del decreto 2 aprile 2015 n. 70, che definisce gli standard qualitativi, strutturali, quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, oltre che l’aderenza degli enti del servizio sanitario nazionale, al Programma Nazionale Esiti (PNE), con l’obiettivo di rendere omogenei su tutto il territorio nazionale la qualità, i volumi e gli esiti delle cure, coniugando l’efficienza economica con l’accessibilità dei servizi”.
 
Non voglio entrare nei dettagli mi limito a dire solo che questo Dm, che poi è un “regolamento”, è il succo della politica dei governi precedenti in materia di ospedali cioè la stessa che ci ha ridotti a come siamo ridotti.
 
Vorrei ricordare che il Dm 70 ha:
- squilibrato il rapporto ospedale territorio,
- intasato i pronti soccorsi,
- tagliato migliaia e migliaia di posti letto obbedendo a standard arbitrari,
- imposto alle regioni tetti alle assunzioni e classificazioni assurde delle loro strutture,
- cancellato, in certi casi in modo irragionevole, i punti nascita,
- contraddetto pesantemente l’autonomia organizzativa delle regioni imponendo loro tanti di quei limiti da vanificare le loro scelte di governo.
 
In sostanza il DM 70 è un regolamento che stabilisce come ridurre il costo dell’ospedale riducendone le dimensioni ma a parametri organizzativi fermi sostanzialmente alla riforma ospedaliera del 1969.
 
Per me non è coerente, fare della riduzione delle liste di attesa una priorità politica tale da campeggiare nel contratto di governo, e ribadire la legislazione che, quelle liste di attesa smisurate, ha creato.
 
Qui la carenza di risorse culturali raggiunge l’assurdo. E qui la responsabilità culturale di quei tre o quattro boiardi che da anni si scambiamo le poltrone al vertice della tecnocrazia sanitaria, intortando il ministro della salute di turno, è siderale. 
 
Va anche detto che l’ideale di omogeneità di questo regolamento, che poi è in realtà un ideale di uniformità, non solo non tiene conto delle grandi differenze nel paese (penso ai 2.7 posti letto della Calabria) ma è la ragione principale per la quale la regione Veneto, ad esempio, vuole uscire dal Ssn nel senso che essa non si riconosce nel genere di norme nazionali tipo Dm 70 dal momento che alla fine, tali norme, non solo ne limitano l’autonomia ma ne ingabbiano l’operatività.
 
Come è possibile tanta continuità di politiche così apertamente contro riformatrici in un governo che si propone, anche in sanità, come un soggetto riformatore?
 
Nella nota personalmente avrei scritto “visto i grandi problemi che si sono appalesati relativamente alle normative adottate in questi anni sugli ospedali il governo si riserva di mettere a punto una proposta di riforma del sistema ospedaliero per cui il Dm 70 va radicalmente cambiato”.
 
Tesi conclusive
La tesi che ricavo dalla mia analisi sono cinque:
- la nota di aggiornamento al def sulla sanità non è solo un problema di insufficienza dei mezzi finanziari ma anche di insufficienza di risorse culturali,
- l’insufficienza delle risorse culturali favorisce il de-finanziamento della sanità, nel senso che già è difficile avere i soldi che ci servono per tirare avanti, ma nel contesto finanziario dato, oggi avere soldi sufficienti, per mantenere un sistema nella sua invarianza, quindi con dentro le sue numerose diseconomie, diventa praticamente illogico,
- l’invarianza deriva soprattutto dalla scarsità di risorse culturali,
- le risorse culturali favoriscono la crescita di quelle finanziarie perché producono nuove economie,
- senza un pensiero riformatore non si hanno risorse culturali senza le quali oggi è quasi impossibile creare, delle nuove economie.
 
In sintesi l’analisi della nota rivela:
- continuità con le politiche dei governi precedenti,
- semplificazione delle complessità in gioco,
- osservanza ottusa delle normative vigenti.
 
Se pensiamo che la nota di aggiornamento è la base, a partire dalla quale, si scriverà la prossima legge di bilancio non mi sembra un problema da poco.
 
Riprendendo il discorso da cui sono partito, vale a dire la coerenza tra le intenzioni politiche del governo(volontà) e l’implementazione concreta (realizzazione) mi pare di poter concludere dicendo, argomentazioni alla mano, che, tale coerenza, nella nota di aggiornamento, in sanità, è fortemente minata da rilevanti antinomie e rilevanti contraddizioni.
 
Ivan Cavicchi
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA