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Lunedì 22 OTTOBRE 2018
Caso Pizza/Venturi. Perché è meglio trovare un’intesa

Sono sicuro che l’ordine di Bologna non voglia condannare nessuno ma risolvere il problema si. Per costruire una intesa, in primo luogo, serve interrompere il procedimento disciplinare in corso, e immagino che l’unico modo per farlo sia prendere atto da parte dell’assessore Venturi del parere della CCEPS relativo alla delibera contestata, sospendere tale delibera, ma giammai per revocarla ma solo per perfezionarla acquisendo consensualmente il parere dell’ordine di Bologna al fine di rieditarla

La scorsa settimana, questo giornale, (QS 16 ottobre 2018) ha dato notizia di un fatto senza precedenti e, per me, clamoroso destinato:
- a far discutere, mi auguro in modo positivo, della questione dei rapporti tra deontologia amministrazione e politica,
- ad indurre la deontologia ad aggiornare la propria normativa arricchendola con nuove questioni.
 
Mi riferisco alla decisione dell’ordine di Bologna di aprire un procedimento disciplinare nei confronti (non contro) del dottor Venturi“anche” assessore alla sanitàdella regione Emilia Romagna, che nel doppio ruolo di medico e di assessore, avrebbe adottato delle deliberazioni deontologicamente lesive del ruolo del medico.
 
Una contestazione, quella dell’ordine di Bologna, per altro avvalorata da un parere ufficiale della CCEPS, la massima autorità in tema di controversie ordinistiche che ricordo è un organismo di giurisdizione speciale istituito presso il ministero della sanità che ha come scopo l’esame di quei problemi quali ricorsi, provvedimenti, sanzioni disciplinari, albi professionali, ed altro. 
 
A mio parere abbiamo a che fare con una controversia deontologica inedita, quale espressione di un conflitto sociale profondo, tra professione e istituzioni di governo, che, nel tempo, ad ogni livello, e ovunque nel paese, si è sempre più accentuato e che, per ovvie ragioni, propone con una certa urgenza la necessità di una regolazione normativa più avanzata
 
La disciplina quale forma di conflitto
L’ordine di Bologna, esattamente come ha fatto, a suo tempo, quello di Bari e se non sbaglio nessun altro, avrebbe potuto portare in piazza i suoi medici per protesta contro le politiche della Regione Emilia Romagna, ma ha scelto un’altra strada, quella del provvedimento disciplinare a carico di un medico anche assessore, reo ma come medico di essere venuto meno ai propri obblighi deontologici.
 
Si tratta, non c’è dubbio, di una forma di protesta senza precedenti quindi alquanto originale, e a giudicare dal clamore che sta suscitando, decisamente efficace, ma il cui significato conflittuale è fondamentalmente lo stesso di una manifestazione di piazza o di uno sciopero.
 
In questi anni, soprattutto in Emilia Romagna e, soprattutto, grazie all’ordine di Bologna, la deontologia spesso è stata l’unico argine contro un disinibito economicismo dell’amministrazione e quindi una politica troppo auto-riferita ai suoi problemi di bilancio per essere condivisa.
 
Anche recentemente la decisione, da parte dell’Emilia Romagna, di accedere al regionalismo differenziato ha visto l’esclusione degli ordini professionali anche se è indubbio che, trattasi di una scelta che avrà pesanti ricadute sul piano della deontologia.
 
Il contesto e il significato
Per comprendere davvero il senso dell’iniziativa dell’ordine di Bologna, al di là delle fin troppo facili interpretazioni riduttive (comunicato dell’assessore Venturi), bisogna collocarla dentro un preciso contesto generale nel quale la professione medica non se la passa proprio benissimo:
- siamo in un periodo che dura da parecchio, in cui, per tante ragioni, non si discute più sulle competenze da togliere al medico ma apertamente sul suo ruolo e sulla sua fungibilità,
- l’Emilia Romagna, proprio partendo dal presupposto che il ruolo del medico è fungibile, rispetto ad altre professioni, ha adottato, nei confronti dei medici, provvedimenti amministrativi apertamente anti-deontologici (non entro nei dettagli della delibera sul 118).
 
A partire da questo contesto, il significato rilevante, dell’iniziativa di Bologna è uno solo: quello di una deontologia, quindi di una professione stanca di subire le svalutanti priorità amministrative di chi governa la sanità, e che rivendica, prima di tutto dalle istituzioni, considerazione, rispetto, osservanza, buona educazione, senso dell’etica.
 
L’ordine di Bologna, in fin dei conti, pone il problema della definizione, una volta per tutte, dei rapporti tra deontologia amministrazione e politica quindi il problema dei confini, a partire da un postulato che, per questo ordine in particolare, è inalienabile e cioè che la deontologia è prima di ogni cosa una garanzia per i cittadini e i malati. Costoro sono convinti che chi non rispetta la deontologia non rispetta i malati.
 
L’antecedente
Ma per comprendere, ancora meglio, l’iniziativa dell’ordine di Bologna e quindi evitare l’errore che fanno alcuni di isolarla da un pregresso, come un fatto puntiforme, è necessario collocarla dentro un doloroso travaglio che riguarda proprio i rapporti difficili a livello alto tra deontologie e politica.
 
Prima del “cambio di passo”, della Fnomceo (cambio che non smetterò mai di apprezzare per la sua importanza storica) quindi prima dell’attuale gruppo dirigente, quindi fino a non molto tempo fa, i rapporti tra deontologia e politica erano, ai livelli più alti, molto compromessi confusi e promiscui.
 
E’ il periodo (dalle elezioni del 2013 in poi) nel quale la Fnomceo, suo malgrado finisce con il   sacrificare, di fatto, la propria autonomia sull’altare della politica nell’illusione che avere in parlamento dei propri tutori gli procurasse dei vantaggi.
 
In realtà le cose non sono andate per il verso giusto. I deputati, che avrebbero dovuto fare gli interessi della Fnomceo, coinvolti nei meccanismi parlamentari finirono per negare se stessi, accettando le logiche di partito e quelle di governo, e di conseguenza le loro politiche, fino a cooperare per disciplina di parte, con provvedimenti legislativi con fortissime implicazioni anti-deontologiche.
 
Rammento fra tutti quella che in realtà è stata una vera e propria “conventio ad exludendum” a danno dei medici, il famoso comma 566, cioè la norma che ha supposto di poter togliere ai medici delle competenze per darle agli infermieri e che ricordo, si chiama “comma”, perché era parte di una legge finanziaria quindi una norma super imperativa super perentoria. 
 
Ovviamente a quel tempo la Fnomceo, diversamente dall’ordine di Bologna, non aprì nessun provvedimento disciplinare a carico di chi l’avrebbe dovuta tutelare in Parlamento, ma in ogni caso, si creò il precedente, vale a dire, una situazione, nella quale, un medico in altri ruoli, in questo caso anche parlamentare, si trovava, pur essendo medico, ad avallare delle politiche con un pessimo impatto deontologico.
 
Come testimone storico posso dire, avendo scritto a riguardo tanti articoli pubblicati su questo giornale, che oggi l’orientamento tutt’altro che arrendevole, dell’ordine di Bologna, viene da lontano.
 
Rammento che l’ultima riedizione del codice (2014) fu bocciata dall’ordine di Bologna che si rifiutò di applicarlo perché ritenuto eccessivamente subalterno alle politiche deontologicamente devastanti, del governo allora in carica governo sostenuto più tardi dagli stessi parlamentari che promossero il comma 566.
 
Quindi, per favore, niente visioni riduttive. Se a suo tempo i rapporti tra deontologia e politica fossero stati diversi, molto probabilmente non si sarebbero fatti atti ammnistrativi sulla fungibilità del ruolo medico e nessun medico anche assessore sarebbe incorso in un qualche provvedimento disciplinare. Ma si sa che il ragionamento controfattuale lascia il tempo che trova.
 
Passare il segno
Nel comunicato stampa con il quale il dottor Venturi anche assessore, ha dato notizia del provvedimento disciplinare, si sostiene la tesi del presidente Pizza che, questa volta, “avrebbe passato il segno”.
 
Chiedo: qual è il segno da non oltrepassare? Cioè dove passa il confine tra deontologia amministrazione e politica?  Chi ha passato il segno? L’assessorato che con certi provvedimenti ha violato, suo malgrado, alcune norme fondamentali della deontologia? O la deontologia che ha tentato come poteva di difendersi dalle violazioni?
 
Credo che, per dire, che un “segno” sia stato superato sia necessario, prima di ogni cosa, stabilire in cosa consiste il “segno” e, se è un confine stabile, capire con chiarezza il suo tracciato.
 
Ecco la novità vera. Questo “segno” sino ad ora non è mai stato definito. Se l’ordine di Bologna ha un merito è quello, certamente a modo suo, di aver posto finalmente il problema. 
 
Le ragioni dell’assessore Venturi
Mi risulta che, venendo a conoscenza della possibilità di un provvedimento disciplinare a suo carico, il dottor Venturi anche assessore, anziché chiarire senza frapporre ostacoli la propria posizione, abbia tentato di trasferirsi ad altro ordine precisamente a quello di Parma, evidentemente da lui ritenuto più tollerante e più ospitale, ma senza successo, dal momento che con un procedimento disciplinare in corso, i trasferimenti da un ordine all’altro non sono permessi. Un gesto che vale, come se l’assessore, cercasse rifugio in un paese senza estradizione. E questo a mio parere non è politicamente elegante.
 
L’assessore Venturi nel suo comunicato sostiene tre tesi:
- che il provvedimento preso a suo carico è “infondato” e  “illegittimo” perché quello che lui fa, come assessore, rientra in un genere di atti “politico-amministrativi” che non hanno nulla a che fare con “l’esercizio della professione”. Su quello che fa l’assessore “l’ordine non avrebbe nessuna competenza”,
- “la delibera regionale è un “atto collegiale” per cui parlare di una violazione deontologica, significa censurare l’operato della intera Giunta regionale. E questo non è tollerabile”,
- l’assessore che esercita “pubbliche funzioni nell'interesse generale”, si trova “in una posizione costituzionalmente tutelata da ingerenze indebite”.
 
Queste tesi si fondano su due postulati:
- la possibilità di distinguere il medico dall’assessore,
- l’indipendenza degli atti amministrativi dall’esercizio della professione.
 
Le ragioni dell’ordine di Bologna
Il provvedimento assunto dall’ordine di Bologna si fonda invece su postulati contrari:
- l’impossibilità di distinguere il medico dall’assessore,
- l’interdipendenza degli atti ammnistrativi con l’esercizio della professione.
 
Sul piano semplicemente empirico è difficile dare torto all’ordine di Bologna dal momento che, la sua iniziativa disciplinare, si sarebbe resa necessaria proprio perché si è constatato, in ragione di una forte interdipendenza degli atti amministrativi con l’esercizio della professione, un ridimensionamento del ruolo medico.
 
E’ in ragione di tale constatazione empirica che sorge il problema ontologico dell’anche, cioè se un medico anche assessore siano distinguibili o no.
 
Ricordo che “anche”, nella nostra grammatica, è una congiunzione coordinanteche rafforza il rapporto copulativo con l'elemento precedente espresso o sottinteso. In ragione di ciò, dire che un medico è anche qualcosa di altro significa sottolineare il legame indissolubile tra i due ruoli.
 
Può un medicoanche assessore della sanità (non del turismo o dell’agricoltura) definire atti contro la propria professione? Questo è il problema che pone l’ordine di Bologna. Se la professione dipende di fatto dagli atti ammnistrativi della regione, la distinzione medico assessore può essere data o no?
 
Rammento il giuramento, che ogni medico, compreso il dottor Venturi, presta nella sede del proprio ordine, prima di esercitare la professione:
- nella versione antica, impone al medico di “custodire l’arte”,
- nella versione moderna impone al medico di “evitare, anche al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione”.
 
Nel caso dell’ordine di Bologna gli atti amministrativi del medico anche assessore evidentemente non hanno né custodito l’arte e meno che mai hanno difeso la dignità della professione.
 
Riduzione o estensione?
Quando si sostiene, come il dottor Venturi, la distinzione tra medico e assessore si dà della professione una definizione riduttiva nel senso di confinarla all’esercizio dei suoi atti.
 
Quando si sostiene il contrario, come fa l’ordine di Bologna, si dà della professione una definizione estensiva, nel senso di allargare il suo significato oltre gli atti professionali a tutto quanto concorre alla sua definizione, alla sua organizzazione e alla sua implementazione.
 
E’ impossibile definire praticamente la professione medica senza una adeguata contestualizzazione perché, lo ricordo, nel servizio pubblico, trattasi di una professione dipendente. La professione medica dipende dalla possibilità di far coesistere gli adempimenti deontologici quindi i doveri professionali con gli atti amministrativi che la definiscono come prassi.
 
Oggi abbiamo un forte problema di “medicina amministrata”, cioè abbiamo, nelle politiche sanitarie in essere, una visione riduttiva della professione che lede profondamente i postulati di base della sua deontologia, quali l’autonomia del giudizio, il dovere di essere adeguato alle necessità del malato, ecc.
Il genere di atti ammnistrativi, contestati dall’ordine dei medici di Bologna, rientra in questa visione amministrativistica.
 
Ma qual è il punto?  Il punto è che, per tante ragioni, la professione del medico non è ontologicamente riducibile perché, nel momento in cui, essa viene ridotta per esempio con degli atti amministrativi, con limiti economici irragionevoli, con organizzazioni lacunose, essa perde la sua natura di professione intellettuale autonoma. Danneggiando l’interesse primario del malato.
 
Andiamo al punto
Ma se la professione è, come io credo da anni, ontologicamente irriducibile ne derivano due conseguenze:
- non ha senso distinguere una “definizione riduttiva” da una “definizione estensiva”,
- la definizione ontologica della professione medica è naturalmente estensiva.
 
Sul piano pratico, tornando alla vexata quaestio, la conseguenza logica è che   l’assessore, rispetto al medico, è null’altro che una sua estensione che in quanto tale ha il dovere deontologico di non essere in contraddizione con la propria deontologia professionale.
 
In conclusione, l’ordine di Bologna, ha ritenuto di procedere nei riguardi dell’assessore Venturi:
- certamente perché non è ontologicamente possibile distinguere il medico dall’assessore,
- ma soprattutto perché il medico anche assessore fa dell’assessore una estensione del medico per cui i suoi atti amministrativi non dovrebbero essere in contraddizione con i suoi doveri professionali cioè con le regole della propria deontologia.
 
La proposta di Trento
Che la questione di definire i rapporti tra deontologia amministrazione e politica sia vecchia e quindi anteriore ai fatti di Bologna, lo dimostra la riforma della deontologia messa in campo dall’ordine di Trento che con molta lungimiranza ha proposto una formulazione che riguarda “il medico in altri ruoli” a mio parere interessante:
 
Incompatibilità deontologica
Non esiste nessuna incompatibilità giuridica tra il ruolo del medico e la possibilità per lui di ricoprire altri ruoli politici, amministrativi, gestionali.
 
Tuttavia, al medico, che ricopre incarichi pubblici di natura parlamentare e di natura istituzionale, nonché incarichi amministrativi e gestionali, è fatto divieto di proporre, concorrere, avallare, condividere decisioni in evidente contrasto con i principi della buona cura, della buona medicina e l’esercizio della professione medica.
 
Nei casi ove il medico in altri ruoli, si trovasse a dover proporre o a dover assecondare decisioni politiche, normative, proposte organizzative, in evidente contrasto con le norme deontologiche che disciplinano la professione, ha il dovere di dissociarsi pubblicamente e di astenersi da ogni atto di approvazione.
Nei casi ciò non avvenisse il medico in altri ruoli va pubblicamente biasimato dagli ordini competenti e dalla federazione nazionale.
 
Per comprendere fino in fondo il senso di questa proposta è necessario inserirla dentro un contesto teorico dove è prevista l’inseparabilità dei valori, la disobbedienza deontologica, la responsabilità morale del medico ecc.
Cioè dentro un contesto di “deontologia forte” con un alto valore performativo.
La necessità di una “deontologia forte” nasce semplicemente dal fatto che oggettivamente esiste una “questione medica”.
 
Caro PD, per il tuo bene, smettila di fare sciocchezze
Nel comunicato del dottor Venturi vi sono affermazioni che mi lasciano molto perplesso come quelle che tendono ad immiserire il problema a fatti personali o a conflitti politici o a caricare il peso dell’iniziativa sul presidente Pizza quando si tratta di una iniziativa sostenuta da tutti gli organismi dirigenti dell’ordine, con una sua storia, come abbiamo visto, e una sua intrinseca coerenza.
 
Mentre mi dichiaro esterrefatto dalla lettera inviata al ministro Grillo con la quale, due deputati del Pd, evidentemente sollecitati da qualche emiliano, membri della commissione Affari sociali della Camera, tra i quali un mio amico al quale, nonostante la lettera, rinnovo la mia stima (Vito De Filippo che peraltro da ex sottosegretario alla sanità conosce la questione di Bologna), chiedono il commissariamento dell’ordine di Bologna. Cioè pensano, per usare una metafora storica, di ricorrere ai carri armati per poter reprimere la primavera di Praga.
 
Secondo me non vi rendete conto di cosa state proponendo, cioè non vi rendete conto di cosa voglia dire commissariare un ordine, e usando oltretutto da parte vostra un linguaggio a dir poco inqualificabile, non vi rendete conto che state interferendo con un ente sussidiario dello Stato che sta applicando, come è suo dovere, alla lettera le procedure previste per legge.
 
Cioè non vi rendete conto che state facendo un atto di grave intimidazione nei confronti:
- di una istituzione pubblica,
- della deontologia.
 
E’ come se chiedeste il commissariamento di un tribunale nell’esercizio pieno delle sue funzioni solo perché uno dei “vostri” è sotto accusa.
 
Questo modo di ragionare ricorda quella brutta roba che non voglio nominare ma non il rispetto delle regole democratiche.
 
Il problema esiste
Secondo me come PD non vi rendete conto che battere la strada dell’intimidazione e quindi dei carri armati, i consensi elettorali che avete perduto in sanità, non li recupererete mai.
 
Il punto è che il problema di definire i rapporti tra deontologia amministrazione e politica esiste e da molti anni. Questo problema va risolto. E i carri armati non sono una soluzione e nemmeno, come dice la lettera, stabilire  il primato delle norme ammnistrative su quelle deontologiche.
 
La parola magica che non conoscete è “compossibilità” si tratta di trovare il modo di far coesistere norme di genere diverso rimuovendo le contraddizioni che esistono tra di esse.
 
Le domande che dobbiamo farci sono due:
- quali contraddizioni esistono tra amministrazione e deontologia?
- come si rimuovono?
 
Vi ricordo che le norme deontologiche che, il Pd, da sempre nella sua anima irriducibilmente gestionista, vorrebbe subordinare a quelle amministrative, sono pur sempre norme morali e etiche. Dico al PD attenzione a subordinare la morale ai problemi amministrativi della sanità. Punto. Pensateci.
 
Vito, (onorevole De Filippo) te lo dico amichevolmente, i voti su questo piano, in sanità si perdono e basta. Questo paese ha le scatole piene di subordinare i doveri e i diritti delle persone alla realpolitik, di obbligare e costringere il mondo a subire le conseguenze di un pragmatismo ammnistrativo senza anima.
 
Ma è così impossibile trovare il modo per far cooperare la gestione con la deontologia? Si può gestire anche con la deontologia la cosa pubblica? O l’unica strada è che la morale si adatti alla gestione? Che ne pensate se la gestione fosse una estensione anche della deontologia?
 
Alla ricerca di una intesa
Niente carri armati, nessuna vendetta, cerchiamo di ragionare e di costruire una intesa.  Sono sicuro che l’ordine di Bologna non voglia condannare nessuno ma risolvere il problema si.
 
Per costruire una intesa, in primo luogo, serve interrompere il procedimento disciplinare in corso, e immagino che l’unico modo per farlo sia prendere atto da parte dell’assessore Venturi del parere della CCEPS relativo alla delibera contestata, sospendere tale delibera, ma giammai per revocarla ma solo per perfezionarla acquisendo consensualmente il parere dell’ordine di Bologna al fine di rieditarla.
 
Ma fatto ciò si tratta di usare l’incidente per creare le giuste condizioni allo scopo di definire un regolamento che disciplini i rapporti tra deontologia amministrazione e politica. E’ possibile che alla prossima delibera il problema si riproporrà. Ricordavo prima la decisione della regione Emilia Romagna di aderire al regionalismo differenziato senza aver acquisito il parere degli ordini professionali.
 
Auspicherei quindi una intesa anche perché, alla fine a ben vedere, tanto Pizza che Venturi, sono due medici “estesi” in due ruoli diversi con in comune la stessa deontologia e anche le stesse contraddizioni.
Quindi “compossibilità” cioè cerchiamo di rimuovere con il buon senso e la ragionevolezza necessaria, le contraddizioni che riguardano il medico anche in altri ruoli.
 
Nel caso, come mi auguro, l’idea di una intesa prendesse piede, per qualsiasi contributo si rendesse necessario, personalmente, per quello che ovviamente so fare, mi metto a disposizione.
 
Bologna può esser un punto di partenza importante per tutti.
 
Ivan Cavicchi

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