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Mercoledì 24 OTTOBRE 2018
I manager e gli investimenti in sanità

L’innovazione sta cercando un percorso per uscire dalle pastoie burocratiche che le norme hanno stretto intorno alla sanità pubblica. Riflettere, dibattere, discutere della Sanità, su questa e altre piattaforme, significa interrogarsi sul futuro e sul ruolo che ciascuno di noi può giocare per migliorarlo. Ognuno di noi può essere un “seminatore”.

Alcune settimane fa ho scritto alcune note sugli effetti, nella erogazione dei servizi sanitari, della applicazione del Decreto Legislativo 23 giugno 2011, n. 118 “Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili”, in particolare dell’articolo che prevede che: “I  cespiti  acquistati  utilizzando  contributi in conto esercizio, indipendentemente dal loro valore, devono essere interamente ammortizzati nell'esercizio di acquisizione.”

La pubblicazione dell’articolo ha suscitato - con mia enorme soddisfazione -  un acceso dibattito ed un successivo articolo comparso proprio su questa Rivista (“La responsabilità del manager e la crisi degli investimenti in Sanità”), a testimonianza non solo dell’attualità e della sensibilità del tema, ma soprattutto della vivacità degli operatori, dei tecnici della sanità, di quanti sono attenti a cercare soluzioni e cercano “pensatoi”, occasioni di confronto per dibattere, mettersi in gioco.

Ma, un commento, fra i tanti che ho ricevuto, mi ha particolarmente colpito e, mi pare, sia una perfetta sintesi dei pensieri, degli approfondimenti, degli umori, di quanti hanno partecipato, fin qui, alla discussione: il Rag. C. Salvatore ha commentato: “avete detto tutto… e niente… e quindi?”.
La straordinaria e graffiante sintesi del Rag. C. Salvatore, mi sembra, abbia radiografato con crudo realismo la tematica e merita una seria riflessione.
Il dibattito che si è aperto è incentrato su due distinti piani logici.

Il primo riguarda la figura dei Manager nella sanità pubblica, il ruolo che questi hanno nel disegno, nella realizzazione e nella gestione del sistema sanitario, la percezione che ne ha la gente e la politica.

Il secondo piano logico riguarda la correttezza e le motivazioni della norma in discussione, che è servito - a me che scrivevo l’articolo - da innesco per fotografare una sanità in crisi di crescita, a metà del guado fra la sponda del rafforzamento, della modernità, della continua evoluzione e quella della crisi, della dissoluzione del sistema pubblico, per fare posto, forse, a qualcosa altro, non necessariamente peggiore, ma certamente profondamente diverso dal Sistema Sanitario Pubblico come oggi lo conosciamo.

Una riflessione, laica, concreta, coraggiosa, anche nell’accettare posizioni diverse da quelle in cui si crede, è, di fatto aperta.
La prima osservazione è - obbligatoriamente - rivolta al Rag. C. Salvatore: “avete detto tutto… e niente… e quindi?”
 
Abbiamo detto:
1) che la sanità ha smesso di investire su se stessa, ovvero, più tecnicamente, che sono rallentati, negli ultimi anni gli investimenti in tecnologie, edilizia, innovazione digitale - è il quadro delineato da autorevoli osservatori (Corte dei conti in primis) e riportato dalla stampa specialistica ed anche da questa Testata in recenti articoli.

2) che una parte di questo rallentamento è - secondo la mia tesi - dovuto, anche, alla norma che, al fine di evitare comportamenti opportunistici del management (spendere soldi che non si hanno in cassa), obbliga a gravare sul primo esercizio, quello di acquisizione, il costo degli investimenti: una parte forse non grande (ma certamente significativa), ma importantissima perché - vede, caro Rag. C. Salvatore - una azienda che smette di investire su se stessa, che smette di accantonare il frutto delle sue economie di gestione per poi reinvestirle in tecnologia, in innovazione, in sicurezza, è un’azienda candidata all’oblio.

3) che il management non dovrebbe restare vincolato dagli equilibri di breve periodo a fronte dello sviluppo del domani - è questa la tesi dell’articolo recentemente comparso su questa Rivista, che delinea una figura estremamente suggestiva di manager con lo sguardo rivolto avanti, quella del Direttore Generale “seminatore”, certamente retorica, forse stucchevole, ma non priva di una certo fascino.
 
 
“.. quindi?”
 
E quindi, gentile Rag. C. Salvatore, anticipando le conclusioni di queste mie riflessioni, occorre, credo:
1) riflettere attentamente ed analizzare in modo laico i dati per comprendere se il rallentamento degli investimenti in sanità sia fenomeno proxy di un rallentamento generalizzato del settore sanitario (pubblico), sintomo di un disagio, di una crisi profonda che è crisi di mission prima che crisi di finanza, se cioè, il rallentamento in questione sia sintomo di una perdita di terreno del sistema sanitario pubblico, a favore di un’altra sanità, maggiormente sbilanciata sull’investimento privato, sui sistemi assicurativi, non necessariamente peggiore dell’attuale ma certamente diversa, profondamente diversa dal sistema sanitario pubblico che, esattamente 40 anni fa, fu pensato in una logica di universalismo egalitario che ha connotato, fin qui, il sistema stesso, pur nella sua continua evoluzione, facendone uno dei servizi sanitari migliori al mondo;

2) trovare meccanismi che consentano - da un lato - di reinvestire le economie di gestione (il frutto di quella Spending Review sempre invocata e mai pienamente realizzata) in tecnologie innovative, in grado a loro volta di innescare meccanismi di crescita e di risparmio  e che  consentano - dall’altro - di avere una limpida accountability, in grado di fornire un valore predittivo, ex ante, della sostenibilità finanziaria di ciascun investimento, in modo da evitare che ogni Euro speso in innovazione sia speso a scapito dei tempi di pagamento dei fornitori aziendali. Il tutto nella logica di rilanciare gli investimenti in sanità, non solo quelli - pur necessari - ricostituivi, ma anche e soprattutto quelli innovativi;

3) riflettere a fondo sul ruolo e sulla figura del management sanitario: i Direttori Generali.
 
Mi si consenta ora di approfondire alcuni profili.
Un primo tema merita certamente una riflessione critica, di quanti, manager, politici, imprenditori, cittadini sono interessati al dibattito sul futuro della sanità pubblica: la figura del Direttore Generale della aziende sanitarie.

Esso è stato il fulcro della riforma degli anni 90. I tre ministri (De Lorenzo, Garavaglia e Bindi) protagonisti di quel fecondo e convulso periodo di riforme del Sistema Sanitario Nazionale, interpretarono un sentire comune che importava d’Oltralpe le istanze del NPM (il New Public Management), di de-politicizzazione, di de-burocratizzazione, contrapponendo alla deriva del sistema delle USL, nate nel 1978, una figura forte, dotata di pieni poteri (le “sette autonomie” della Riforma del ’92, inglobate poi nella “Autonomia Imprenditoriale” della Riforma Bindi), che agisce coi poteri del privato imprenditore ed organizza l’Azienda, addirittura, con un atto di diritto privato, l’Atto Aziendale.

Tanto in parallelo con l’evoluzione di un modello aziendale fondato sul binomio -  autoalimentato - “Autonomia/Responsabilità”.

I tempi sembrano, oggi, profondamente mutati da allora e, comunque, l’apparato politico e burocratico italiano non ha, forse, mai metabolizzato questa figura che per lunghi decenni ha stentato a trovare una sua precisa collocazione, rimasta a metà del guado fra il manager puro ed il boiardo di partito.
Solo nell’ultimo biennio il Legislatore ha affrontato il tema dell’accesso al ruolo dei direttori generali attraverso un Albo nazionale, mentre nel 2007 la Corte Costituzionale con la sentenza 104 del 23 marzo aveva disapplicato lo spoils system in relazione ai manager sanitari.

La cronaca recente continua a consegnare ai media un quadro di lottizzazione di nomine, ancora di matrice politica, di continuo svilimento di un ruolo che stenta ancora - con ogni  evidenza - ad affermarsi.

La stessa politica, anche la migliore, se da un lato chiede autonomia per la gestione, dall’altro non può esimersi da giocare quel ruolo di designazione che, di fatto finisce per influenzare le scelte del management in una sorta di corto circuito che anche le recenti riforme non hanno risolto.

I Direttori sono rimasti invischiati in una morsa che vede la progressiva deprivazione dei poteri e delle leve manageriali (quelle degli investimenti, ma anche quella finanziaria e quella operativa, sul versante della gestione del personale e degli acquisti, della innovazione tecnologica), scarsità di risorse e continue normative vincolistiche, da un lato, dall’altro un misconoscimento del ruolo e della stessa dignità della figura troppo spesso assimilata ad “una poltrona” da occupare, spesso attaccata dalla stampa e da frange della politica stessa.  

Alcuni autori hanno acutamente segnalato, affrontando questo tema, come al mutare del contesto deve mutare il ruolo.

Le competenze stesse richieste ad un manager della sanità sono oggi completamente diverse da venti anni fa: la capacità di fornire risposte ad un cittadino sempre più attento informato e partecipe delle proprie vicende, la capacità di interagire con un ambiente politico ed istituzionale in rapido e continuo cambiamento e spesso ondivago nelle proprie istanze e nella visione stessa della sanità pubblica, la capacità di inventare soluzioni e offrire proposte ad un sistema sanitario attraversato dalle grandi transizioni (quella demografica, quella epidemiologica, quella sociale ed economica e quella tecnologica), sono solo alcuni dei tratti che delineano il profilo del manager dei prossimi decenni.

Nè ha alcun senso irrigidirsi su un archetipo di “uomo solo al comando”, di manager illuminato, tetragono rispetto alle istanze politiche che gli si rivolgono, con lo sguardo volto avanti, il “seminatore”.

Un modello che presto potrebbe tramontare qualora si privilegiasse, come sta avvenendo in altre realtà straniere, lo strumento del board. Nessuno si scandalizzerebbe, al di là del gradimento personale, di una riforma che consegni il governo delle Aziende sanitarie ad un Consiglio di amministrazione, collegiale, partecipe e sensibile alle istanze dell’ambiente istituzionale esterne, ma al contempo, autorevole, autonomo se pure integrato: uno sguardo storico retrospettivo non può non segnalare come gli ospedali della riforma Giolitti fossero amministrati da Consigli di Amministrazione.

L’esperienza degli ultimi 40 anni ha insegnato che l’ingegneria istituzionale, al di là dei costi di transizione, non determina in via assoluta il successo di un sistema, ma é solo una delle determinanti di esso.

Ritengo che la vera sfida che oggi i manager della Sanità hanno davanti non sia tanto e solo quella di “far bene” nel senso di amministrare bene, in un quadro statico di risorse ed obiettivi assegnati, quanto - proprio alla luce della fluidità del quadro di cui sopra - quella di contribuire attivamente e propositivamente al ripensamento del ruolo e delle caratteristiche che, la governance di un sistema in profonda trasformazione, certamente affronterà.
I manager non devono rimanere soggetti passivi di questo cambiamento, ma ciascuno singolarmente e tutti insieme attraverso i meccanismi aggregativi di cui sono parte (Fiaso, Federsanità, etc) devono proporre il cambiamento stesso.

E’ in questo senso che condivido a pieno l’idea del Manager “seminatore”, acutamente delineata, che pianta oggi il seme della realtà che non vedrà forse e che non porterà certamente il proprio nome,  ma con la coscienza di avere contribuito, assumendone il rischio e, spesso, senza alcun riconoscimento, alla costruzione di un pezzo di futuro.

E tuttavia questo non può impedirci - e, anzi, ne abbiamo la responsabilità - di analizzare criticamente le norme che via via si susseguono e modificano, ciascuna, un pezzo della realtà che amministriamo.
Le Leggi non si criticano ma si eseguono e, tuttavia, una lettura critica degli effetti di lungo termine di quelle norme può essere reale contributo al miglioramento.

Tutto questo riporta al secondo piano di analisi ed approfondimento: quello sulla correttezza e sulle motivazioni della norma in discussione, il Decreto 118 del 2011 e sul concetto di “contributi in conto esercizio” che, in quanto tali, assertivamente, non dovrebbero essere utilizzati per spese di investimento.
In allegato alle presenti note cercherò di spiegare perché è importante superare la strettoia contabile imposta dal 118/2011, ripensare un meccanismo di rendicontazione che consenta prospetticamente ed a consuntivo di valutare il reale impatto delle scelte di investimento sulla situazione finanziaria delle aziende e, forse, ripensare lo stesso meccanismo dei DRG, quale strumento di remunerazione delle attività ospedaliere.

Il tutto nella logica del rilancio di un piano di investimenti in innovazione tecnologica che, se portato avanti, consentirà al servizio sanitario pubblico di affrontare le grandi transizioni del decennio, con la piena consapevolezza che l’alternativa, semplicemente, non esiste: il mancato adeguamento tecnologico e infrastrutturale consegnerà inevitabilmente il SSN al declino, schiacciandone l’offerta sempre più verso le aree a bassa tecnologia, a minore complessità, per altro meno appetibili per il segmento a finanziamento privato, lasciando scoperta la fascia a medio alta complessità con enormi riflessi sull’equità di accesso alle cure.

Vale la pena di citare, anche a conclusione di questo articolo, come già del precedente,  il Patto per la salute 2014-2016, approvato in Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 7 Luglio 2016. Fra le analisi di contesto, il Patto redatto dal Ministero della Salute, prevede che: “Nell’ambito dei fondi disponibili, si sottolinea la necessità di avviare una riflessione sui meccanismi di ammortamento degli investimenti in innovazione digitale (e più in generale di tutta l’innovazione), attraverso una rimodulazione o una deroga, anche parziale, del Decreto Legge n. 118 del 2011 e la possibilità di prevedere dei fondi preferenziali o vincolati per ciò che riguarda l’ex articolo 20.”

L’innovazione sta, cioè, cercando un percorso per uscire dalle pastoie burocratiche che le norme hanno stretto intorno alla sanità pubblica.

“.. e quindi?”

E quindi, Ragioniere C. Salvatore, riflettere, dibattere, discutere della Sanità, su questa e altre piattaforme, significa interrogarsi sul futuro e sul ruolo che ciascuno di noi può giocare per migliorarlo. Ognuno di noi può essere un “seminatore”.
 
Approfondimento tecnico. Dalla Accountability alla Governance: il ruolo dei Direttori Generali e gli strumenti.
 
Giorgio Giulio Santonocito
Commissario Straordinario ARNAS Garibaldi di Catania

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