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Mercoledì 07 NOVEMBRE 2018
Autismo. Nessun rischio da esposizione in utero a farmaci attivi su neurotrasmettitori

Secondo un recente e ampio studio USA, la maggior parte dei farmaci che agisce su neurotrasmettitori, anche a livello di sistema nervoso centrale, non aumenterebbe il rischio di autismo nei bambini nati da madri che li hanno assunti in gravidanza

(Reuters Health) – L’esposizione, durante la gravidanza, alla maggior parte dei farmaci che colpiscono il sistema dei neurotrasmettitori non avrebbe alcuna associazione con il rischio di disturbi dello spettro autistico. A evidenziarlo, in un recente studio, è stato un team di ricercatori coordinato da Magdalena Janecka, della Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York, secondo i quali però, i risultati non andrebbero generalizzati. Lo studio è stato pubblicato su JAMA Psychiatry.

Lo studio. 
I ricercatori americani hanno studiato 96.249 pazienti pediatrici, tra cui 1.405 con disturbi dello spettro autistico e 94.844 controlli. L’età media alla fine del follow-up era di 11,6 anni. Tra 34 gruppi di farmaci presi in considerazione, come vari agonisti e antagonisti della serotonina, agonisti del recettore adrenergico e antagonisti del recettore N-metil-D-aspartato, cinque categorie hanno mostrato un’associazione statisticamente significativa con la ASD.

In particolare, l’esposizione prenatale agli antagonisti del recettore neuronale nicotinico dell’acetilcolina alfa era associata a stime più elevate del rischio di ASD, ma dopo aver aggiustato i dati per possibili fattori confondenti, sono state evidenziate stime più basse del rischio, per esempio tra bambini esposti ad agonisti dei recettori dei cannabinoidi, agonisti del recettore muscarinoco di tipo 2, agonisti del recettore oppioide kappa ed epsilon e agonisti del recettore alfa 2C-adrenergici.

Le conclusioni
. Secondo gli autori, dunque, “tutti i gruppi di farmaci associati a un ridotto rischio di ASD sono analgesici e/o antiinfiammatori, un dato coerente con la segnalazione dell’associazione tra febbre, infiammazione e attivazione immunitaria in gravidanza e sintomi dello spettro autistico nella prole”.

Diana Schendel, della Aarhus University, in Danimarca, coautrice di un editoriale correlato, ha messo però in risalto i limiti del metodo usato dai ricercatori. Secondo l’esperta, infatti, dal momento che Janecka e colleghi hanno suddiviso i farmaci non in base all’indicazione d’uso, ma a seconda del recettore che colpivano, è difficile estrapolare un dato, dal momento che “i medicinali possono essere stati somministrati in dosi diverse a seconda dell’indicazione”.

Fonte: JAMA Psychiatry
 

Marilynn Larkin
 

(Versione italiana Qutidiano Sanità, Popular Science) 

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