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Martedì 13 NOVEMBRE 2018
Disabilità, cronicità, non autosufficienza. Il buco nero sui dati reali (prima parte)

Non siamo nelle condizioni di stabilire con esattezza a quanto ammonti il numero di non autosufficienti (giovani ed anziani) nel nostro Paese. La questione non è di secondaria importanza se si pensa che la corretta rilevazione dei bisogni sanitari e sociali è fondamentale per stabilire la tipologia e la quantità delle prestazioni da erogare nel contesto dove vive la persona, il relativo finanziamento e la conseguente durata dell’assistenza erogata

La società europea sta cambiando. I cittadini vivono sempre più a lungo, si sono modificati nel profondo gli schemi familiari tradizionali, avanzano nuove forme di mobilità e la globalizzazione della crisi economico- finanziaria, dalla quale si sta uscendo con fatica, ha un peso non indifferente nelle politiche di protezione sociale. La povertà avanza, con differenze imponenti tra le diverse aree del Continente.
 
Che i sistemi di protezione sociale siano in difficoltà è sotto gli occhi di tutti, in particolare lo è la sanità, la cui spesa non può essere affrontata senza nel contempo considerare quella sociale poiché le attuali tendenze demografiche, mondiali, europee ed italiane, faranno aumentare i rischi di dipendenza e isolamento delle persone con disabilità, affette da patologie croniche, spesso anziane e non autosufficienti.
 
Numerosi studi dimostrano che il maggiore consumo di risorse in sanità è destinato ai pazienti affetti da patologie croniche (l’OMS sostiene che sia l’85%) e tra questi soprattutto agli anziani per i quali aumentano i problemi sociali (aumentano le persone sole, senza adeguato reddito), problemi che, se non risolti, gravano sulla Società chiamata a garantire più prestazioni, attività e servizi sanitari. Basti pensare alle difficoltà che gli ospedali, ed in particolare i reparti di medicina, incontrano ogni giorno nel dimettere i pazienti e alle famiglie alla ricerca di servizi sul territorio che in alcune realtà del nostro Paese sono addirittura assenti o insufficienti.
 
E non deve essere considerato positivo il fatto che la maggior parte della popolazione “sana”, i cosiddetti “non consumatori” o “consumatori occasionali”, non si rivolga al Servizio sanitario, perché è proprio a queste fasce di popolazione che devono essere diretti i programmi di prevenzione e promozione della salute.
 
L’ISTAT ci presenta un quadro nazionale con circa 4 milioni e 360 mila disabili e 3 milioni e 200mila non autosufficienti, mentre coloro che usufruiscono di indennità di accompagno sono circa 2 milioni (per una spesa complessiva di 13 miliardi di euro), e gli italiani che dichiarano di soffrire di una patologia cronica sono oltre 23 milioni.
 
La disabilità è la condizione di chi, in seguito a una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale (ICF OMS 2001).
 
In Italia, le stime sulla prevalenza segnalano che essa interessa circa 4 milioni e 360 mila persone, la maggior parte delle quali ha una età superiore a 65 anni e vive nelle regioni del Mezzogiorno (fonte ISTAT: http://dati.disabilitaincifre.it/dawinciMD.jsp) con una spesa nel 2015, di 27,7 miliardi di euro, il 5,8% del totale della spesa per la protezione sociale, soprattutto sotto forma di pensioni.
Non esiste una anagrafe delle persone con disabilità e non si conoscano le persone che hanno ricevuto una certificazione di handicap grave (legge 104/1992 che vale oltre 3 miliardi di euro).
 
Non tutte le persone con disabilità sono non autosufficienti visto che questi ultimi ammonterebbero a circa 3 milioni e 200 mila ma non esiste una definizione condivisa a livello nazionale del termine non autosufficienza, troppo spesso misurata con riferimento agli aspetti legati alla minore o assente capacità di compiere le attività quotidiane. In realtà “la non autosufficienza è un concetto ampio, correlato sia all’età che allo stato di salute dell’individuo, e si esprime non soltanto nella incapacità totale o parziale di compiere le “normali azioni della vita quotidiana” ma anche nel non riuscire a far fronte a quelle esigenze di natura economica e sociale che si concretizzano in un adeguato reddito, un’abitazione con caratteristiche microclimatiche, strutturali e di accesso compatibili con l’igiene e la sicurezza dell’ambiente e dell’individuo e una rete sociale protettiva”.[1]
 
Una definizione così articolata pone l’accento sulle prestazioni sanitarie e sociosanitarie, con particolare riferimento a quelle sociali a valenza sanitaria.
 
I 3,2 milioni di persone con limitazioni funzionali, però, non comprendono i minori di 15 anni e le persone che vivono nelle strutture residenziali. Nel 2012 le persone con disabilità o non autosufficienza ospitate nelle strutture residenziali erano 257.009, di questi 2.593 sono minori con disabilità e disturbi mentali dell’età evolutiva, 49.159 sono adulti con disabilità e patologia psichiatrica, 205.000 anziani non autosufficienti.
 
Per stabilire, anche se approssimativamente, il numero di non autosufficienti nel nostro Paese, bisogna ricorrere anche ad altre fonti informative come, ad esempio, il numero delle indennità di accompagnamento attualmente erogate e legate all’istituto dell’invalidità civile, disciplinata con la legge 30 marzo 1971 n.118 “Conversione in legge del decreto legge 30 gennaio 1971 n.5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili” che definisce invalidi civili “ i cittadini affetti da menomazioni congenite od acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie, di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali  e funzionali che abbiano subito una diminuzione della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo, o, se minori di 18 anni, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. Ai soli fini dell’assistenza socio-sanitaria e della concessione della indennità di accompagnamento, si considerano mutilati ed invalidi i soggetti ultra sessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”.
 
Ai soggetti con tali caratteristiche vengono riconosciuti benefici economici, assegno di invalidità, pensione di inabilità, indennità di accompagnamento e benefici di natura socio-assistenziale (assistenza protesica, esenzione dal ticket per visite e prestazioni di diagnostica).
 
L’ “Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili”, istituita nel 1980 con la con la legge n.18 dell’11 febbraio, è corrisposta indipendentemente dal reddito del soggetto o della sua famiglia a circa 2 milioni di beneficiari (pari al 3,1% della popolazione), compresi i ciechi, sordomuti e minori, con una spesa complessiva di 13 miliardi di euro nel 2010.[2]
 
Come si concilia il valore di 2 milioni con quello più ampio di oltre 3 milioni di non autosufficienti?
La risposta non è semplice e da ricercare, per esempio, nel fatto che l’accesso alle prestazioni sociali ed assistenziali è legato al reddito e che le Commissioni per il riconoscimento del diritto adottano criteri più restrittivi rispetto al passato. Il che richiama un secondo aspetto del problema dell’integrazione tra sanità e sociale e cioè che mentre l’accesso alle prestazioni sanitarie è universale (a prescindere dal reddito), le prestazioni sociali e sociosanitarie sono legate alle dichiarazioni ISEE. Il che pone il problema di quelle famiglie al limite nella dichiarazione che preferiscono tenere il proprio caro a casa.
 
In conclusione, non siamo nelle condizioni di stabilire con esattezza a quanto ammonti il numero di non autosufficienti (giovani ed anziani) nel nostro Paese, anche perché in assenza di una definizione e di una modalità di rilevazione omogenea, l’interpretazione è variegata tra le regioni. Basti pensare alle diverse Schede di valutazione (SVAMA, RUG, etc.) che contengono elementi comuni ma portano a stratificare i pazienti in modo spesso diverso.
 
Allo stesso modo non siamo in grado di operare una esatta graduazione delle forme di non autosufficienza (lieve, moderata, grave), come invece avviene in altri Paesi, così da potere stabilire il corretto setting assistenziale (residenziale, domiciliare) e l’ammontare delle relative risorse umane e finanziarie.
 
A titolo orientativo, da una ricerca della Bocconi del 2014, emerge che la Germania per 81 milioni di abitanti impegna per la long term care 75 miliardi di euro, il Regno Unito per 60 milioni di abitanti impegna 60 miliardi di euro, la Francia per 64 milioni di abitanti impegna 55 miliardi e l’Italia per 61 milioni di abitanti 33 miliardi (spesa pubblica). Se a questi valori aggiungiamo la spesa privata la Germania sale ad 81 miliardi di euro, la Francia a 78, il Regno Unito a 73 e l’Italia a 36.
 
I criteri più utilizzati per la valutazione della non autosufficienza si basano sulla capacità di svolgere autonomamente varie attività della vita quotidiana (le cosiddette ADL, activities of daily living) supportati da più complessi sistemi di rilevazione del bisogno sociale. In molti casi, il termine “non autosufficiente” è utilizzato come sinonimo di “disabile”, concetto in realtà più complesso,  come esplicitato nel documento dell’ OMS del 2001 dal titolo International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) secondo il quale un disturbo, strutturale o funzionale, deve essere rapportato a tutti gli aspetti della salute umana (udire, camminare, imparare e ricordare) e a quelli “collegati” (mobilità, istruzione, partecipazione alla vita sociale).
 
L’ICF non riguarda solo le persone con disabilità, ma riguarda tutte le persone; ha dunque un uso e un valore universale. Rispetto a ciascuna delle centinaia di voci classificate dall’OMS, ad ogni individuo possono essere associate percentuali di “funzionamento”, dalle quali dipende il livello di disabilità che comprende sia la restrizione delle attività sia la limitazione di partecipazione.
 
L’adozione della metodologia OMS, ancora sperimentale nei Paesi europei, compresa l’Italia, ci permetterà nel futuro di disporre di informazioni più precise per individuare i soggetti disabili e tra questi coloro che rispondono alle caratteristiche di essere non autosufficienti.
 
La questione non è di secondaria importanza se si pensa che la corretta rilevazione dei bisogni sanitari e sociali è fondamentale per stabilire la tipologia e la quantità delle prestazioni da erogare nel contesto dove vive la persona, il relativo finanziamento e la conseguente durata dell’assistenza erogata. La Long term care, infatti, secondo l’OCSE, si riferisce  a “ogni forma di assistenza fornita a persone non autosufficienti lungo un periodo di tempo esteso senza data di termine predefinita”.
 
I pilastri della non autosufficienza sono nel nostro Paese, l’assistenza domiciliare integrata (ADI), le residenze assistenziali per anziani (RSA) e l’indennità di accompagno (vedi sopra) ai quali si aggiungono i tanti provvedimenti legislativi, dalle pensioni di invalidità alla legge 104 del 1992, che impegnano risorse sotto forma di sussidi (o di giornate lavorative perse) che non si traducono in prestazioni, attività e servizi di cui le persone hanno bisogno.
 
L’assistenza domiciliare è garantita mediamente per 18(!) ore l’anno (valore che negli altri Paesi è pari ad una assistenza su base addirittura settimanale) a circa 800.000 pazienti prevalentemente anziani (dati Italia Longeva), mentre il numero di posti letto residenziali ci pone con 18/19 posti letto per 1000 ab over 65 agli ultimi posti in Europa, (la Svezia ne ha 81 e la media europea è di 50). Si tratta di posti letto su cui grava la retta a carico dei cittadini basata sull’ISEE sopra spiegata.
 
Per quanto riguarda la non autosufficienza, dunque, l’Italia si caratterizza per la erogazione dipochi servizi e per una quota di indennità che, in molti Paesi europei si è sensibilmente ridotta, per fare spazio a servizi alla persona integrati tra sanità e sociale con la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro come di fatto è avvenuto in Germania, in Olanda, in Francia e Svezia.
 
Ad oggi, secondo studi condotti a livello nazionale (Italia Longeva, Crea sanità), la spesa per l’ADI e le RSA si aggira rispettivamente intorno ai 2,6 e 3,5 miliardi di euro. Per avvinarsi ai valori europei servirebbero investimenti cospicui per almeno il doppio di quanto oggi in cantiere (senza considerare gli investimenti in conto capitale).
 
Fine prima parte
 
Isabella Mastrobuono
Consulente AGENAS e Referente per l’assistenza primaria della PA di Bolzano


[1]L.Beltrametti, I. Mastrobuono, R. Paladini:  L’assistenza ai non autosufficienti: aspetti di politica economica e fiscale. Relazione per il Gruppo di lavoro intercommissione sulla riforma fiscale del CNEL, anno 2000. La definizione esprime un concetto ampio di non autosufficienza che ingloba anche gli aspetti di natura sociale e di relazione e si ispira alle definizioni adottate in molti Paesi industrializzati dove vigono Fondi ad hoc come la Germania ed i Paesi Bassi.

[2] L’ indennità di accompagnamento spetta anche ai ciechi assoluti, alle persone che sono sottoposte a chemioterapia o a altre terapie di day hospital e che non possono recarsi da sole all’ospedale (sentenza Corte di Cassazione n° 1705/1999), ai bambini minorenni incapaci di camminare senza l’ aiuto di una persona e bisognosi di assistenza continua (sentenza Corte di Cassazione n° 1377/2003), alle persone affette dal morbo di Alzheimer e sindrome di Down, alle persone affette da epilessia, sia a coloro che subiscono attacchi quotidiani, sia  a coloro che abbiano sporadiche “crisi di assenza”, a coloro che, pur incapaci di compiere materialmente gli atti elementari della vita quotidiana (mangiare, vestirsi, pulirsi) necessitano di accompagnatore perché sono incapaci (in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva e cognitiva, addebitabili a forme avanzate di stati patologici) di rendersi conto della portata dei singoli atti che vanno a compiere e dei modi e dei tempi in cui gli stessi devono essere compiuti (sentenza Corte di Cassazione n° 1268/2005).

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