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Mercoledì 14 NOVEMBRE 2018
Piani di rientro. Nel report del Ministero la certificazione del fallimento del processo di aziendalizzazione in sanità

Il bluff di un processo di aziendalizzazione che ha creato gli stessi disavanzi e forse anche maggiori di quelli prodotti nel vecchio regime mutualistico dovrebbe fare riflettere tutti: decisori politici, amministratori pubblici e manager. Non soltanto i conti in sanità sono migliorati solo grazie al rigido controllo dello Stato, ma il processo di aziendalizzazione non è nemmeno riuscito, pur potendolo fare, a valorizzare la risorsa umana e professionale.

La certificazione del fallimento del processo di aziendalizzazione in sanità traspare con la massima evidenza nell’ultimo report del Ministero della Salute sui piani di rientro dal deficit sanitario.
 
Sette regioni (Puglia, Abruzzo, Sicilia, Calabria, Campania, Lazio e Molise) sono attualmente sottoposte alla disciplina dei Piani di rientro, mentre altre quattro ne sono uscite nel corso del tempo: Liguria e Sardegna al termine del primo triennio di vigenza 2007-2009; Piemonte al termine del triennio 2013-2015 e Abruzzo, nel 2016.
 
In totale sono 11 le regioni che senza un regime di stretto controllo da parte dello Stato centrale, che ha interdetto loro la possibilità di legiferare autonomamente, avrebbero portato i loro libri in tribunale attivando le procedure fallimentari.
 
Le uniche regioni indenni sono state quelle del Nord tradizionalmente ben gestite indipendentemente dal colore delle loro amministrazioni. Regioni in cui la buona amministrazione della cosa pubblica è stata resa possibile dalla partecipazione democratica dei cittadini che da sempre sono affetti da quella malattia sconosciuta nel resto del paese che si chiama “civismo”.
 
Il bluff di un processo di aziendalizzazione che ha creato gli stessi disavanzi e forse anche maggiori di quelli prodotti nel vecchio regime mutualistico dovrebbe fare riflettere tutti: decisori politici, amministratori pubblici e manager.
 
In sanità, come in altri settori dello Stato, il cambio di paradigma introdotto con gli anni ’90 e basato sulla supremazia del privato nella sfera della gestione è fallito e si dovrebbe avere il coraggio di dichiararne la morte clinica.
 
Non soltanto i conti in sanità sono migliorati solo grazie al rigido controllo dello Stato, che in ben 11 regioni ha soppresso di fatto l’autonoma potestà legislativa dei consigli regionale e loro presidenti, ma il processo di aziendalizzazione non è nemmeno riuscito, pur potendolo fare, a valorizzare la risorsa umana e professionale.
 
Gli spazi di democrazia interna sono stati annichiliti e una classe di freddi burocrati, alle totale dipendenza del decisore politico, ha adottato modelli organizzativi calati dall’alto e, solo in rari casi, condivisi dai medici e dagli altri operatoti sanitari.
 
Quasi ovunque gli operatori sono stati esclusi dalla valorizzazione del lavoro sanitario perché la valutazione delle performance è quasi ovunque solo di tipo quantitativo-numerico. Quantità senza qualità, numeri e non persone, prestazioni spesso inutili e nessun attenzione alla salute effettivamente prodotta.
 
E’ tempo di comprendere meglio quali siano state le condizioni del campo istituzionale che hanno imposto questo modello totalmente fallimentare.
Una presa d’atto indispensabile per rivedere un’idea del servizio pubblico che funziona solo negando quella autonomia legislativa delle regioni che è alla base del federalismo e che è stata contrabbandata come la soluzione ai mali storici del paese; inefficienze, corruttele, distanze nord/sud.
 
Nulla di questo è stato risolto, nessun vantaggio in termini gestionali complessivi hanno arrecato la numerosa schiera di direttori generali succedutesi alla guida di Aziende sanitarie e ospedali e il report del Ministero ne è l’attestazione bollinata.
 
Il modello di sanità regionalizzata è stato superato dai fatti per manifesta inadeguatezza e il poco di buono che si è recuperato è stato solo grazie alla scura del Mef che ha imposto ai recalcitranti presidenti di regione misure di razionalizzazione della spesa.
 
Anche questo dovrebbe essere ricordato ora che si festeggia il 40° anno della nascita del Servizio Sanitario Nazionale, aprendosi a un dibattito franco che non faccia sconti ai consueti riti della celebrazione a senso unico che nulla produce in termini di cambiamenti necessari.
 
Roberto Polillo

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