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Lunedì 19 NOVEMBRE 2018
Sport di contatto, è allarme tra i giovanissimi per possibili danni cerebrali

Dopo un anno di campionato, il cervello dei liceali che praticano il football americano, presenta a livello della corteccia frontale e occipitale, delle alterazioni della sostanza grigia, visibili con la risonanza magnetica che, a livello microscopico, corrispondono ad accumuli di proteine patologiche. Non è noto se queste alterazioni siano permanenti o se il cervello di un ragazzo sia in grado di ripararle, ma gli autori dello studio mettono in guardia sulle possibili conseguenze cognitive a lungo termine

Lo sport fa bene e ne va incoraggiata la pratica, soprattutto tra i giovani. Ma non tutti gli sport sono uguali e non tutti ugualmente benefici per la salute. La rivista Neurobiology of Disease dedica la cover story di questo mese alle conseguenze di un anno di football americano sul cervello di ragazzi di 15-17 anni.  Lo studio, condotto i ricercatori della University of California (Berkeley), della Duke University e della University of North Carolina (Chapel Hill), rivela infatti che le ‘conseguenze’ di questo sport sono visibili alla risonanza magnetica (RMN) sotto forma di alterazioni microscopiche della struttura del cervello. E questo nonostante questo sport venga praticato con degli speciali caschi di protezione.
 
La ricerca ha coinvolto sedici liceali di 15-17 anni che sono stati valutati all’inizio e alla fine della stagione del football. La risonanza ha permesso di evidenziare delle alterazioni della sostanza grigia cerebrale nelle aree frontali e occipitali (quelle più soggette ai colpi), ma anche una serie di alterazioni nelle regioni più profonde del cervello.
 
“Sta diventando sempre più evidente – afferma Chunlei Liu, professione di ingegneria elettronica e di scienze computeristiche, membro dell’Istituto di Neuroscienze ‘Helen Wills’ presso la UC di Berkley - che una serie di colpi ripetuti a livello della testa, anche in un periodo di tempo piuttosto breve, sono in grado di determinare alterazioni cerebrali. l’età adolescenziale rappresenta un periodo nel quale il cervello è ancora in fase di sviluppo e quindi ci sono molti processi critici in corso; non è noto come le alterazioni che abbiamo osservato in questo studio possano impattare sulla maturazione e sullo sviluppo del cervello”.
 
Un singolo colpo in testa, può non rappresentare motivo di preoccupazione; ma tanti colpi ripetuti (come quelli incassati dai giocatori di hockey o di football americano, o dai militari esposti  ai danni da esplosione in guerra) possono portare ad un declino cognitivo sul lungo periodo e ad un aumentato rischio di disturbi neurologici, anche quando i colpi sono di intensità tale da non determinare una concussione.
 
Nell’ultimo decennio sono aumentate le diagnosi di encefalopatia cronica traumatica (CTE), un disordine caratterizzato da un accumulo di proteine tau patogene nel cervello. Ad essere colpiti sono soprattutto militari in pensione e giocatori di football professionisti e dei college. Questo patologia provoca disturbi dell’umore, alterazioni cognitive e, nelle persone anziane, alterazioni motorie. La diagnosi definitiva è autoptica e consiste nel riscontro di accumuli di proteina tau.
Partendo da queste osservazioni, i ricercatori americani hanno deciso di andare a vedere se queste alterazioni cerebrali, fossero evidenziabili in fase precoce, nei giovanissimi.
 
“Si stanno accumulando sempre più prove – spiega Liu – che gli sport di contatto possono modificare la struttura del cervello; a livello molecolare questo si traduce nell’accumulo di varie proteine patologiche, associate a malattie neurodegenerative quali il Parkinson e la demenza. Con il nostro studio siamo andati a vedere quanto precocemente si verificano queste alterazioni”.
Recenti studi diimaging condotti con la risonanza magnetica hanno evidenziato che giocare una o due stagioni di football al liceo è sufficiente per indebolire la sostanza bianca cerebrale. Questo nuovo studio appena pubblicato si è concentrato sulle eventuali alterazioni a carico della sostanza grigia corticale, la parte più superficiale del cervello e quella più direttamente esposta ai colpi.
 
Per effettuare questo studio è stata utilizzata una forma particolare di RMN, la risonanza magnetica con tensore di diffusione curtosi. In questo modo i ricercatori americani hanno evidenziato che l’organizzazione della sostanza grigia dei ragazzi si modificava già dopo una sola stagione difootball e che queste alterazioni correlavano con il numero e la posizione dei colpi ricevuti in testa, misurati dagli accelerometri montati all’interno dei loro caschi.
 
Le alterazioni risultano più concentrate a livello delle aree frontali e occipitali della corteccia cerebrale (quelle responsabili di funzioni cognitive quali memoria, attenzione, cognizione), a livello del talamo e del putamen (che fanno da relais per le afferenze sensitive e coordinano il movimento).
 
Questo studio in particolare non è andato ad indagare le conseguenze funzionali di queste alterazioni, ma gli autori sospettano che nel lungo termine possano essere importanti. Di certo le funzioni cognitive degli studenti presi in esame non apparivano modificate alla fine dello studio e, al momento, non è neppure possibile dire se queste alterazioni saranno permanenti, proprio perché a quest’età il cervello è in rapido sviluppo e potrebbe ‘riparare’ queste microalterazioni prodotte dai colpi ripetuti. E’ necessario però essere cauti – ammoniscono gli autori – e sottoporre a frequente monitoraggio cognitivo e cerebrale i ragazzi impegnati negli sport di contatto.
 
“Vista la popolarità del football americano e di altri sport d’impatto – conclude Liu – ci sembra ragionevole discutere a quale età potrebbe essere più critico per il cervello sopportare questo tipo di conseguenze”.
 
Maria Rita Montebelli

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