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Lunedì 26 NOVEMBRE 2018
Verso il Forum Risk Management 2018. “Il Ssn è un paziente cronico con multimorbidità: solo un piano terapeutico personalizzato potrà salvarlo”. Le proposte di Gimbe

A 40 anni dalla sua istituzione la sostenibilità del Ssn è condizionata dalla concomitanza di 4 “patologie” e 2 “fattori ambientali”: per mantenere un SSN a finanziamento prevalentemente pubblico è indispensabile un piano in grado di modificare sia la storia naturale di ciascuna delle malattie di cui è affetto il sistema sanitario, sia di ridurre l’impatto dei fattori ambientali.  In occasione del 13° Forum Risk Management, le analisi e le proposte della Fondazione Gimbe

LE 4 PATOLOGIE
Quattro macro-determinanti minano la sostenibilità del SSN: il definanziamento pubblico, l’ampliamento del “paniere” dei nuovi LEA, gli sprechi e le inefficienze e l’espansione incontrollata del secondo pilastro.
 
Definanziamento pubblico. Si identifica con un’insufficienza respiratoria cronica restrittiva che determina una progressiva e imponente riduzione della PO2. Infatti, tra tagli e definanziamenti nel periodo 2010-2019 al SSN sono stati “sottratti” circa € 37 miliardi e il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è aumentato solo dell’1% per anno, percentuale inferiore all’inflazione media annua (+ 1,18%). In pratica, se quell’aumento di un miliardo/anno genera l’illusione di un sostentamento minimo, in realtà non mantiene nemmeno il potere d’acquisto.
 
Guardando al futuro, la Nota di Aggiornamento del DEF 2018 ha eseguito un impercettibile lifting sul rapporto spesa sanitaria/PIL (+0,1% nel 2020 e nel 2021);  la Manovra invece è sbarcata in Parlamento con il miliardo già assegnato per il 2019 dalla precedente legislatura, prevedendo un incremento del FSN (+ € 2 miliardi nel 2020, + € 1,5 miliardi nel 2021), previa sottoscrizione con le Regioni di un nuovo Patto per la Salute e ovviamente solo se le ardite previsioni di crescita economica saranno confermate. Per il resto, a fronte di un modesto impegno su liste di attesa e borse di studio per specializzandi e futuri medici di famiglia, rimangono fuori dalla Manovra rinnovi contrattuali, sblocco del turnover del personale sanitario, via libera ai nomenclatori tariffari dei nuovi LEA, eliminazione del superticket. Terapia raccomandata:aumentare gradualmente e progressivamente il FSN al fine di invertire, entro 5 anni, il trend del rapporto spesa sanitaria/PIL.
 
Ampliamento del “paniere” dei nuovi LEA. Identifica un ipertiroidismo severo con iperconsumo metabolico. Infatti, se da un lato l’ex Ministro Lorenzin ha raggiunto un grande traguardo politico aggiornando l’elenco delle prestazioni fermo al 2001, dall’altro si è concretizzata una vera e propria illusione collettiva. Infatti, dopo quasi 2 anni dalla pubblicazione del DPCM sui nuovi LEA, i nomenclatori tariffari rimangono “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria e la maggior parte delle nuove prestazioni ed esenzioni rimangono non esigibili. Peraltro, nonostante le numerose scadenze fissate, la Commissione LEA non ha ancora pubblicato alcun aggiornamento, né ha mai reso pubblica la metodologia per l’inserimento e il delisting delle prestazioni. Terapia raccomandata: “sfoltire” adeguatamente le prestazioni dal basso value incluse nei LEA.
 
Sprechi e inefficienze. Considerato che vengono dall’interno del sistema non possono che identificarsi con una malattia autoimmune, in particolare con il lupus eritematoso sistemico che colpisce tutti gli organi e gli apparati, visto che sprechi e inefficienze si annidano a tutti i livelli.  Nel 2014 GIMBE ha elaborato la tassonomia degli sprechi in sanità costituita da sei categorie: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, (conseguenze del) sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza.
 
Senza entrare nei dettagli delle stime, secondo cui ogni anno circa € 21 miliardi (± 20%) spesi in sanità non producono alcun miglioramento di salute, “l’inverosimile convivenza” di questa cifra con eccellenti risultati in termini di salute della popolazione e con un finanziamento pubblico molto contenuto è dovuta a due fattori. Innanzitutto, gli esiti di salute nei paesi industrializzati solo per il 10-15% dipendono dalla qualità dell’assistenza sanitaria; in secondo luogo, il definanziamento pubblico del SSN ha colpito soprattutto il personale sanitario, mentre sprechi e inefficienze riguardano prevalentemente beni e servizi per i quali nello stesso periodo la spesa è aumentata.
 
Il Rapporto OCSE Health at a Glance 2018, pubblicato lo scorso 22 novembre, confermando che “fino a un quinto della spesa sanitaria è sprecato e potrebbe essere destinato a un uso migliore”, delinea le possibili strategie per ridurre gli sprechi al fine di rendere i sistemi sanitari più efficienti e resilienti e - last not but least - cita proprio le stime della Fondazione GIMBE. Terapia raccomandata: piano nazionale di disinvestimento dagli sprechi agganciato ai criteri di riparto del FSN e agli adempimenti LEA.
 
Espansione incontrollata del secondo pilastro. Patologia insidiosa assimilabile ad un’infezione cronica da virus del papilloma umano il cui DNA si integra nel genoma umano e può causare varie patologie, tra cui gravi neoplasie. L’idea di affidarsi al “secondo pilastro” per garantire la sostenibilità del SSN si è progressivamente affermata per l’interazione di vari fattori, tra cui una raffinata strategia di marketing basata su un assioma basato su criticità correlate solo in apparenza: riduzione del finanziamento pubblico, aumento della spesa out-of-pocket, difficoltà di accesso ai servizi sanitari. Tale strategia viene annualmente fomentata da allarmistici dati sulla rinuncia alle cure e indebitamento dei cittadini, che provengono da studi ampiamente discutibili e, guarda caso, finanziati proprio da compagnie assicurative.
 
Purtroppo, sull’onda di un entusiasmo collettivo, che spesso caratterizza l’immissione sul mercato di una innovazione farmacologica, non vengono adeguatamente valutati i numerosi effetti collaterali che il secondo pilastro rischia di produrre su vari “organi e apparati” del SSN. Oggi infatti, considerato che la sanità “integrativa” è diventata prevalentemente “sostitutiva”, il secondo pilastro ha raggiunto un tale profilo di “tossicità” che, se fosse un farmaco, qualsiasi agenzia regolatoria ne avrebbe già imposto il ritiro dal mercato: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei PDTA. Terapia raccomandata: riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione.
 
I 2 FATTORI AMBIENTALI
Il SSN agisce in un contesto fortemente influenzato da due fattori: la leale collaborazione con cui Stato e Regioni dovrebbero tutelare il diritto alla salute e le aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanità infallibile, fomentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione.
 
La leale collaborazione Stato-Regioni in sanità è una scottante priorità politica sulla quale i vari esecutivi hanno abdicato o cercato soluzioni improbabili, tanto che in poco tempo ha attraversato da un estremo all’altro l’intera gaussiana. Infatti, il diritto alla tutela della salute delle persone è stato catapultato dalla riforma dell’art. 117 della Costituzione, che con l’eliminazione della legislazione concorrente e la restituzione allo Stato di alcuni poteri esclusivi avrebbe dovuto porre fine (?) alle diseguaglianze regionali, alla contagiosa diffusione, in attuazione dell’art. 116, del virus del regionalismo differenziato. Oggi infatti, accanto a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che hanno già sottoscritto gli accordi preliminari con il Governo, tutte le altre Regioni, a parte Abruzzo e Molise, hanno già avviato l’iter.
 
Senza entrare nel merito di analisi politiche del fenomeno è ragionevolmente certo che ulteriori autonomie accentueranno iniquità e diseguaglianze tra 21 sistemi sanitari, già ampiamente certificate dal fallimento della riforma del Titolo V: dagli adempimenti LEA alle performance ospedaliere documentate dal Programma Nazionale Esiti, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo dei fondi sanitari integrativi a quello delle polizze assicurative, dalla disponibilità di farmaci innovativi all’uso di farmaci equivalenti, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud, dalla mobilità sanitaria alle diseguaglianze sugli stili di vita, dai requisiti minimi di accreditamento delle strutture sanitarie allo sviluppo delle reti per patologia, dall’accesso alle prestazioni sanitarie agli esiti di salute.
 
In questo continuo dibattito tra normative, strumenti, regole e responsabilità di Stato e Regioni, il centro della scena è quasi sempre occupato dal dibattito ideologico (visione centralista vs regionalista), dalle conseguenze dell’inadeguata governance dello Stato sulle Regioni (diseguaglianze) o da proposte anacronistiche, quale la ridefinizione dei criteri di riparto tenendo conto dei criteri di deprivazione, che finirebbero per assegnare più risorse alle Regioni che storicamente si sono distinte per le peggiori performance sia in termini di deficit economico, sia di  inadempimenti LEA.  
 
Ma se a legislazione (e Costituzione) vigente, il diritto della tutela della salute è affidato ad una leale collaborazione tra lo Stato (che assegna le risorse e definisce i LEA) e le Regioni (responsabili della pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari) perché non riconoscere che la soluzione politically correct condivisa da Stato e Regioniha finito per cristallizzare strumenti di monitoraggio (griglia LEA) e di miglioramento (Piani di rientro), di fatto incompleti, obsoleti e di documentata inefficacia? Perché non prendere atto, invece, che senza un riparto del FSN vincolato ad un rigoroso monitoraggio dei LEA con il nuovo Sistema di Garanzia, le attuali modalità di governance Stato-Regioni alimentano solo diseguaglianze e sprechi? Terapia raccomandata: aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel pieno rispetto della loro autonomia, per garantire l’uniforme erogazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.
 
Aspettative di cittadini e pazienti. Nonostante siano “azionisti di maggioranza” del SSN, anche cittadini e pazienti non fanno che minarne quotidianamente la sostenibilità. In particolare, negli anni sono aumentate le aspettative per una medicina mitica (che può guarire tutto) e una sanità infallibile (che non può permettersi mai di sbagliare). Oggi il consumismo sanitario condiziona fortemente la domanda di servizi e prestazioni, anche se queste sono inefficaci, inappropriate o addirittura dannose: questo fenomeno dalle enormi implicazioni cliniche, sociali, cliniche ed economiche, non è stato minimamente preso in considerazione dalla politica nazionale e regionale che ha sempre considerato il cittadino-paziente più come un elettore da non scontentare che come una persona da curare.
 
Dal canto loro, le organizzazioni sanitarie sono molto in ritardo nel coinvolgimento attivo di cittadini e pazienti per valutare la qualità dei servizi e contribuire alla loro riorganizzazione, e la relazione medico- paziente continua a puntare sul modello paternalistico, lasciando poco spazio al processo decisionale condiviso, in cui il paziente, adeguatamente informato dei rischi e benefici delle varie alternative, dovrebbe decidere insieme al medico tenendo conto delle proprie preferenze, valori e aspettative. In questo contesto, la democratizzazione delle informazioni nell’era di internet, la scarsa alfabetizzazione sanitaria del cittadino/paziente e la viralità dei contenuti sui social hanno dato il colpo di grazia. Infatti, ricerca di scarsa qualità, bufale e fake news finiscono per avere il sopravvento sulle evidenze scientifiche, condizionando le scelte di cittadini e pazienti e, indirettamente, le politiche sanitarie che, in quanto condizionate dalla politica partitica, non possono permettersi di scontentare i cittadini-elettori. Terapia raccomandata: programma nazionale d’informazione scientifica a cittadini e pazienti per debellare le fake-news, ridurre il consumismo sanitario e promuovere decisioni realmente informate.
 
A 40 anni dalla Legge 833/78 siamo tutti consapevoli che il Servizio Sanitario Nazionale rappresenta una conquista sociale irrinunciabile, oltre che un patrimonio comune da preservare alle future generazioni, ma nei fatti tutti i Governi si sono illusi (e ci hanno illuso) che possa essere il futuro a prendersi cura del SSN. Nessun Esecutivo finora è riuscito a mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, né a proporre un esplicito “piano di salvataggio” coerente con le principali determinanti della crisi di sostenibilità. Dal canto loro, nessuno degli stakeholder intende rinunciare a posizioni e privilegi acquisiti per tutelare il patrimonio comune.
 
Ecco perché la Fondazione GIMBE, a 6 anni dal lancio del programma #salviamoSSN, continua la sua attività di sensibilizzazione pubblica basata su dati ed evidenze e, dopo una lunga fase di analisi, dà il via alle proposte di riforme di rottura finalizzate ad erogare il piano terapeutico personalizzato, perché la sanità pubblica è come la salute: ti accorgi che esiste solo quando l’hai perduta.
 
Nino Cartabellotta
Presidente Gimbe

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