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Lunedì 07 GENNAIO 2019
I 40 anni del Ssn visti dalle Regioni e la nuova sfida dell’autonomia

In questi anni le Regioni sono state le co-protagniste, insieme al governo centrale, della sanità italiana, Nel bene e nel male. E oggi? Oggi dobbiamo fare i conti soprattutto con la questione ri-emergente dell’autonomia sulla quale occorre rispondere al quesito se la soluzione stia in una maggiore autonomia tout court, o in una autonomia che rilanci contestualmente un forte “regionalismo cooperativo” fra Stato e Regioni e anche fra Regioni stesse

Premessa
I numerosi articoli apparsi sui 40 anni del SSN hanno ripercorso il lungo cammino della Riforma (o meglio delle Riforme) della Sanità attraverso testimonianze ministeriali.  La 833/78 è stata una delle più importanti Riforme economico-sociali e politiche della nostra storia repubblicana. Un pilastro delle politiche di cittadinanza, di welfare, di coesione sociale. E quindi è giusto che una celebrazione, anzi una riflessione, abbia come protagonisti chi ne ha gestito le varie fasi.
 
Va anche ricordato che, seppur su un piano diverso, vi sono stati anche altri protagonisti istituzionali, le Regioni. Questo contributo vuol essere una modesta testimonianza dal versante regionale (tecnico).
 
Prima della “regionalizzazione”
Le Regioni, istituite nel 1972, diventano “operative” a partire dal 1977, con il primo, parziale, trasferimento di competenze operato dal DPR 616/77. Cui seguirà proprio la Riforma 833/78, in un’ottica ancora sostanzialmente “centralista”, se vista con gli occhi odierni. Pur con queste caratteristiche, già da allora la Sanità risulterà indubbiamente la più importante materia, politica, gestita dalle Regioni. Sia per l’aspetto finanziario sia per quello sociale.
 
Nel decisivo rapporto con lo Stato centrale i primi anni vedono le Regioni andare in ordine sparso, con contatti diretti, fino alla istituzione della Conferenza Stato-Regioni con il Dpcm 12/10/1983 (la L. 400/1988 la “legificò”). Conferenza risultata decisiva per un governo (il più possibile) unitario della Sanità (e del Sociale, attraverso la Conferenza Unificata, comprendente i Comuni).
 
Sono anni di sperimentazione da parte delle varie realtà regionali di programmazione dei servizi. Con alcune Regioni (es. Veneto ed Emilia Romagna) che adottano formalmente i primi Piani ospedalieri o sanitari, anche in assenza del Piano sanitario nazionale. Ma sono anche gli anni dove diritti esigibili (fra questi la salute) combinati a scarsa efficienza (in tutta la PA) contribuiscono a portare il Paese sull’orlo del baratro. Costringendo l’allora Governo Amato (siamo peraltro in piena crisi della prima Repubblica con “Tangentopoli”) a imporre importanti sacrifici, accompagnati però da impegnative Riforme, fra le quali la Sanità. Con la Riforma “bis” il D.Lgs 502/1992 (e con i “correttivi” del D.Lgs 517/1993) si apre una nuova fase, e il rodaggio sta finendo.
 
Regionalizzazione e aziendalizzazione
I contenuti sono noti, e quindi conviene accennare ai primi problemi che si affacciano nel rapporto Stato-Regioni e più in generale sull’assistenza.
 
Il primo (antesignano dell’attuale spinta all’autonomia (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, e sembra anche molte altre) riguarda i “modelli erogativi”. Nessuna Regione mette in discussione i fondamentali della Riforma originaria (universalismo, sostanziale gratuità, prevenzione, cura, riabilitazione, ecc.). Piuttosto, a seconda della propria tradizione e indirizzo politico, il modo di attuare i precetti nazionali. Ricerche di quegli anni (Formez, fra le altre) dividono le Regioni in 4 grandi gruppi, a seconda del grado di integrazione sanità-sociale e ospedale-territorio.
 
Ebbene, se si esclude la Lombardia (che fa storia a sé, e che nel 2015 ha parzialmente corretto il proprio modello attenuando la separatezza ospedale-territorio) le tre Regioni che hanno adottato il modello “quasi separato” sono quelle che assommano circa i tre quarti del deficit nazionale (le altre hanno “modelli integrati o “quasi integrati”).
 
E questo la dice lunga sulla bontà dell’approccio del “prendersi cura” rispetto a quello “prestazionale” (magari con forti presenze private, seppur accreditate). Frutto questo anche della “correzione” operata dalla Riforma “ter” con il D.Lgs 229/1999, contenente una forte spinta all’integrazione socio-sanitaria (è del 2000 la Riforma dell’assistenza sociale).
 
Il secondo è il ruolo che hanno esercitato le Regioni nella definizione delle fondamentali politiche sanitarie. Qualche esempio. Come noto la principale competenza dello Stato sono i LEA. Ebbene la prima definizione dei LEA (2001) è anche, se non sostanzialmente, opera delle Regioni. Che hanno “fotografato” - ovviamente assieme al Ministero della Salute - quanto veniva in quel momento erogato, e poi si sono operate d’intesa le esclusioni di quanto non era appropriato (sia dal punto di vista assistenziale che organizzativo).
 
Altrettanto si può dire per la definizione dei Piani sanitari nazionali. O ancora l’”Accordo di Fiuggi” (2003) sull’annoso problema del riparto del FSN, che ha retto fino ai nostri giorni (in attesa dell’applicazione dei “costi standard”). E’ stata questa la stagione più feconda del “regionalismo cooperativo” come è stato autorevolmente definito.
 
Il terzo e attuale problema riguarda la difformità delle esperienze regionali. Che fa dire a molti commentatori che esistono 21 sanità … Si deve premettere che laddove la sanità funziona bene (la maggioranza delle Regioni) questo è la conferma che la Riforma, il Servizio sanitario nazionale (e non sistemi misti o peggio assicurativi) rimane il sistema migliore. Sapendo che in tutta Europa i sistemi sanitari (vedasi la Gran Bretagna per tutti) sono in difficoltà.
 
Ma nelle Regioni dove funziona meno bene, è proprio un problema interno alla sanità o al rapporto Stato-Regioni? Forse non si ha memoria dei “viaggi della speranza” all’estero o in altre Regioni - che ancora ci sono - ma meno di prima della Riforma. O piuttosto non è un problema sostanzialmente riconducibile alla tradizione e capacità amministrativa, come rilevabile anche in altre politiche pubbliche? E la soluzione sta in una maggiore autonomia tout court, o in una autonomia che rilanci contestualmente un forte “regionalismo cooperativo” fra Stato e Regioni e anche fra Regioni stesse
 
Il problema però è politico, al tecnico basta aver evidenziato qualche interrogativo, assieme a qualche sottolineatura relativamente al ruolo delle Regioni nel SSN.
 
Franco Toniolo
Coordinatore tecnico della Sanità per le Regioni e Presidente AGENAS 1995-2005

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