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Lunedì 14 GENNAIO 2019
Il contratto e il “supermarket” delle competenze professionali

Con il nuovo contratto del Comparto sanità Regioni e Sindacati si sono accordati per rifilarci un super comma 566 ignorando deliberatamente che questa vicenda ha causato solo pochi anni fa, profonde lacerazioni tra professioni, ma soprattutto che su questa operazione il conflitto con i medici e più in generale tra professioni è scontato. Siamo al supermarket delle competenze dove le aziende gestiranno le competenze di tutti con la massima flessibilità

Vorrei consigliare a tutti, medici e non medici, di leggere il nuovo contratto del Comparto sanità (periodo 2016/2018). In particolare suggerisco di leggere con molta attenzione il Titolo 3 (ordinamento professionale) il capo 1 (sistema di classificazione) e il capo 2 (incarichi funzionali).
 
Con questo contratto le pretese contro-riformatrici delle regioni, ma non solo le loro, vanno oltre il velleitarismo, diventando norma,  una norma contrattuale naturalmente, sottoscritta in modo sorprendentemente poco meditato dai sindacati (con l’unica eccezione se non sbaglio di Nursind al quale rinnovo la mia vecchia stima) e che si pone, di fatto, rispetto al lavoro, al sistema delle professioni, alla questione  delle organizzazioni del lavoro, come una soluzione con  un forte carattere eversivo nei confronti dell’ordinamento della sanità in essere.
 
L’escamotage
Se dovessi definire questo contratto, direi che esso è un escamotage non per riformare ma per contro-riformare il lavoro in sanità, il sistema delle professioni, i loro ruoli, i loro rapporti, ma soprattutto le regole che le sovraintendono quindi le potestà che le governano.
 
Un escamotage è unsotterfugio, un trucco, una trovata, messo in atto con abilità e astuzia, per risolvere una situazione compromessa o uscire da una posizione difficile.
 
L’escamotage consiste nel riciclare il comma 566 della legge finanziaria del 2015, nel mutuarne lo spirito e gli obiettivi, ma nello stesso tempo nell’allargarne l’applicazione cioè estendendolo prima di tutto oltre la coppia medico/infermiere a tutte le professioni in gioco, quindi liberandolo da alcuni vincoli che esso aveva originariamente e che ne avevano causato il fallimento come:
- le competenze delle altre professioni assunte come limite da rispettare
- l’obbligo della concertazione tra le professioni
- il costo zero delle competenze avanzate
 
Nel momento in cui, le Regioni e i sindacati, considerano le norme nazionali sulle professioni come intrusive, poco efficaci, penalizzanti e soprattutto costose, il nuovo comma 566 nel contratto acquisisce tutte le caratteristiche di uno strumento pensato per cambiare il lavoro professionale della sanità percepito come eccessivamente regolato.
 
Non si tratta solo di rimuovere “lacci e lacciuoli” quindi ammansire regole di portata universale, ma, soprattutto, di conferire alle regioni delle potestà sul lavoro unicamente giustificate dalla convenienza economica che deriverebbe da una flessibilità deregolata.
 
L’incarico di funzione
Un incarico è un compito assegnato che qualcuno   deve svolgere. La funzione è un compito specifico, assegnato o riconosciuto nell'ambito di un'attività organizzata o di una struttura.  Qualsiasi lavoro da svolgere può quindi essere definito “incarico” “compito” e “funzione”.
 
Il contratto parla di “incarichi di funzione” (art. 14) distinguendo due ambiti di applicazione quello dell’organizzazione e quello professionale.
 
L’istituto dell’incarico non è nuovo, esso era già presente nei precedenti contratti ed era usato come una possibilità attraverso la quale rispondere a situazioni particolarmente complesse, per impiegare personale esperto, per prolungare incarichi a termine ed in ogni caso sempre vincolato a precise posizioni organizzative, a non casuali declaratorie, a non casuali classificazioni (categoria D) e comunque definiti “previa determinazione di criteri generali da parte degli enti”.
 
L’impressione che si ha leggendo la nuova formulazione del concetto di “incarico di funzione” è che esso certamente resta subordinato a criteri come la formazione ed altri che non menziono, ma nello stesso tempo:
- sia rimandato ad una ampia discrezionalità della regione e dell’azienda,
- sia abbinato come sbocco ad hoc a profili professionali potenziati nelle loro competenze ma prendendo le competenze aggiuntive da altre professioni.
 
Per esempio, a proposito di discrezionalità, cosa vuol dire che “l’incarico di organizzazione va graduato secondo i criteri di complessità definiti dalla regolamentazione di ogni singola Azienda o Ente”. Quali sono questi criteri di complessità? Cosa vuol dire “incarichi professionali per l’esercizio di compiti derivanti dalla specifica organizzazione delle funzioni delle predette aree prevista nell’organizzazione aziendale”. Quali sono le specifiche organizzazioni?
 
Mentre a proposito di profili professionali potenziati, l’incarico viene evocato come una soluzione da dare al “professionista esperto” e al “professionista specialista”. Cioè, diversamente dal passato, l’incarico sembra fatto apposta per dare un ruolo a professioni super-competenti pensate a bella apposta per dare sbocchi alle famose competenze avanzate del vecchio 566.
 
Altrimenti non mi spiego:
- il punto 2 dell’art 14:” gli incarichi richiedono anche lo svolgimento di funzioni con assunzione diretta di elevate responsabilità aggiuntive e/o maggiormente complesse rispetto alle attribuzioni proprie della categoria e del profilo di appartenenza”. Cosa vuol dire “responsabilità aggiuntiva”?
 
- il punto 6 dell’art 16 dove si precisa che i compiti relativi agli incarichi “sono aggiuntivi e/o maggiormente complessi e richiedono significative, elevate ed innovative competenze professionali rispetto a quelle del profilo posseduto”. Ciò che si aggiunge ai professionisti esperti o specialistici a chi viene tolto?
 
- il punto 10 dell’art 16 dove si parla esplicitamente di competenze avanzate: ”Il requisito per il conferimento dell’incarico di professionista esperto è costituito dall’aver acquisito, competenze avanzate, tramite percorsi formativi complementari regionali ed attraverso l’esercizio di attività professionali riconosciute dalle stesse regioni.”
 
Il gioco del cannibale
Insomma siamo passati dalle competenze avanzate del comma 566 a profili professionali contrattualmente invarianti, perfino a costo zero, ai super-competenti (per esempio il “professionista specialista” in possesso del master specialistico) ai quale conferire degli incarichi praticamente a discrezionalità illimitata da parte di regioni e aziende e retribuiti con apposite indennità (art. 18).
 
Il nuovo super 566 introduce di fatto un meccanismo che non riguarda solo le competenze da togliere ai medici per darle ai dei super infermieri, ma riguarda teoricamente tutte le competenze di tutte le figure sanitarie, nel senso che nulla vieta di togliere competenze ai tecnici per trasferirle agli infermieri e viceversa. Stessa cosa per gli oss e gli infermieri.
 
Siamo al supermarket delle competenze dove le aziende gestiranno le competenze di tutti con la massima flessibilità.
 
Resta da capire come si interfaccia il contratto di comparto con quello della dirigenza, ancora tutto in salita, cioè in che modo il contratto dei medici accetti un regime di incarichi flessibili gestiti a discrezione dell’azienda e della regione.
 
Ripeto: assumendo il lavoro di tutte le professioni come totalità di competenze (il supermarket) ciò che si aggiunge a una professione qualsiasi, non è qualcosa che è oltre la totalità e per la quale si dovrebbe inventare una  professione ad hoc, ma sono competenze già presenti nella totalità e distribuite  in profili e organizzate in una precisa forma di cooperazione interprofessionale, quindi che per essere affidate a qualcuno si devono togliere a qualcun altro cambiando la forma della cooperazione tra operatori.
 
Ma questo gioco che definirei come quello del “cannibale” per funzionare ha bisogno che il contratto della dirigenza accetti la flessibilità o quanto meno che riconosca all’azienda la facoltà di togliere al medico delle competenze. Se così non fosse il gioco del cannibale verrebbe fatto solo tra le professioni sanitarie. Se così fosse invece la professione medica dovrebbe rinunciare ad alcune sue prerogative e impoverirsi. In questo caso sorge la domanda dalle cento pistole: quali prerogative, quali competenze, quali funzioni il medico o chiunque altro dovrebbe cedere ad altre professioni?
 
Il contratto non definisce specificatamente le competenze da rimuovere e da ricollocare per nessuna professione per cui di fatto, alludendo genericamente a situazioni di complessità o a specificità organizzative, lascia carta bianca al gestore.
 
Il contratto nei suoi titoli parla di “contenuti” ma che alla fine si traducono solo in “requisiti” esattamente quelli che devono avere gli operatori per svolgere delle competenze avanzate, ma in nessun caso definisce le competenze soggette al gioco del cannibale. Una follia.
 
Autarchia
La cosa che mi impressiona di questa vicenda è la spregiudicatezza di una istituzione, quella regionale che non esita per avere le mani libere rispetto al lavoro a sbarazzarsi del livello nazionale perché considerato un ingombro.
 
Nel contratto non vi è mai nessun riferimento alla normativa professionale nazionale di nessun tipo.
 
Si parte con una recursione: “le aziende ed enti provvederanno a definire il sistema degli incarichi in conformità a quanto previsto nel presente CCNL”. Cioè il contratto diventa l’unica fonte normativa.
 
A parte il “professionista specialista” che deve essere in possesso di un titolo universitario, quello “esperto” è come fabbricato in casa cioè è la regione che se la suona e se la canta dal momento che decide di conferire “competenze avanzate” in due modi:
- tramite percorsi formativi complementari regionali,
- riconoscendo autonomamente l’esercizio di attività professionali (il che spiegherebbe perché nel contratto la denominazione di “esperto” viene sostituita con quella di “senior” (art. 15).
 
Quindi la regione “istituisce” gli incarichi di funzione in modo del tutto autonomo, ne stabilisce i requisiti, decide la graduazione, la classificazione, ma tutto questo, se considerassimo gli incarichi come dei nuovi surrettizi profili professionali pensati ad hoc per cambiare i profili storici delle professioni, varrebbe da una parte come l’istituzione di nuove figure professionali (oltre a quelle previste dall’art. 13) e dall’altra come cambiare arbitrariamente vecchie figure professionali.
 
Lo Stato destituito
Lo spirito autarchico delle regioni viene completamente alla luce con l’art 12 dove si istituisce presso l’Aran la “commissione paritetica per la revisione del sistema di classificazione professionale” tra Aran e “parti firmatarie” econ rappresentanti designati dal “comitato di settore” delle Regioni.
 
Le finalità di questa commissione sono tante, ma riassumendone il senso, si tratta, nelle intenzioni del contratto, a partire dal concetto di “competenza professionale” di ribaltare l’attuale sistema di classificazione delle professioni, dei profili, delle declaratorie, delle aree.
 
Nulla di male, è nota la mia propensione riformatrice, ma mi chiedo se un lavoro di riforma del genere, ammesso che non sia di contro riforma, debba essere fatto a livello regionale, riferendosi solo a normative regionali, (art. 13 punto 4 lettera a) e solo tra le parti firmatarie del contratto di comparto.
 
Cioè per essere più chiaro con il contratto di comparto si intende fare una rivoluzione di carta che riguarda l’intero sistema delle professioni mettendosi d’accordo solo con certe professioni e escludendone altre, ma soprattutto tagliando completamente fuori il ruolo dello Stato come primo garante di universalità ma ancora peggio escludendo del tutto la realtà del cittadino e del bisogno di questa società. Cioè gli esigenti. Questo contratto è auto-centrato sugli interessi delle regioni e su quelli delle corporazioni.
 
La Commissione” si legge all’art. 13 “concluderà i suoi lavori (...) formulando proposte organiche alle parti negoziali” cioè senza alcuna interlocuzione e validazione da parte dell’istanza di governo e senza nessuna preoccupazione nei confronti dei cittadini di questo paese.
 
Per cui i cittadini dovrebbero accettare un nuovo sistema professionale deciso dalle regioni e dalle corporazioni non sulla base dei loro diritti e delle loro necessità, ma sulla base degli interessi in gioco: “nella prospettiva di pervenire ad un modello maggiormente idoneo a valorizzare le competenze professionali e ad assicurare una migliore gestione dei processi lavorativi”.
 
E i cittadini? I diritti? I valori del bene comune? La giustizia? L’uguaglianza?
 
La centralità sociale deposta
In sostanza l’operazione politica che fa il contratto non è adattare il sistema alle necessità sociali ma è il contrario adattare le necessità sociali quindi  il sistema agli interessi in gioco.
 
Come dire che i veri proprietari della sanità non sono i cittadini ma gli operatori e i gestori. Si badi bene che costoro sono anche quelli che ci prendono per i fondelli ricordandoci in ogni occasione che al centro dobbiamo mettere il malato.
 
La vera controriforma rappresentata dal contratto non è tecnica giuridica ma è politica e culturale ed è quella di scalzare dal nostro sistema la centralità del malato, quindi del diritto quale archè, per sostituirla con quella dell’interesse. Dal postulato etico-sociale si passa a quello gestionale-corporativo.
 
E’ inutile dire che se pensiamo alla violenza contro gli operatori, ai comportamenti opportunistici, al contenzioso legale, ai grandi problemi di sfiducia sociale, alle crisi delle professioni, contro riformare il postulato facendo fuori il malato è davvero una autentica follia. Si fa fatica a credere che vi siano sindacati e istituzioni che per i loro calcoli siano disposti a fare ciò.
 
Se dovessimo davvero mettere al   centro del contratto il malato   il contratto dovrebbe essere completamente riscritto.
 
Oltre la dipendenza pubblica
Ma la follia è resa ancora più folle se riflettiamo un momento sul senso delle operazioni corporative e gestionali che il contratto ci propone.
 
Immagino che i sindacati nel sottoscrivere il contratto abbiano pensato di fare gli interessi dei lavoratori, ma sono proprio sicuri di ciò?
 
L’affidamento di incarichi professionali ha una sua complessità giuridica e vede da sempre contrapposte la necessità di ricorrere a formule che privilegino il risparmio di spesa e l’esigenza di instaurare con il professionista un rapporto fiduciario, tenendo conto della sua esperienza e della complessità della causa.
 
A guardare meglio l’incarico professionale è riconducibile, in ragione del carattere fiduciario della scelta, allo schema proprio del contratto di prestazione d’opera intellettuale (ex art. 2230 c.c.).
 
Il contratto d'opera è rappresentato da un accordo tramite il quale un soggetto (prestatore) si obbliga, dietro pagamento di un corrispettivo e senza nessun vincolo di subordinazione, verso un committente al compimento di un'opera o di un servizio.
 
Immagino che i sindacati firmatari siano consapevoli del fatto che l’incarico di funzione se interpretato come un contratto di prestazione d’opera cambia la natura del rapporto di lavoro, cioè il dipendente pubblico diventa semplicemente un prestatore d’opera, non più pagato per la sua professionalità ma per i singoli compiti/competenze/funzioni/mansioni che svolge.
 
Questo spiega la ragione del perché gli incarichi di funzioni sono sempre incarichi a termine cioè a tempo determinato. Gli incarichi di funzione vogliono dire precariato, rinnovabile certo, ma sempre precariato.
 
Prestazioni obbligazioni e salario
Per le regioni, disporre di contratti d’opera e scomporre le professioni in compiti e allo stesso tempo definire una durata effimera del contratto, offre il vantaggio di una grande flessibilità, ma in questo modo le professioni perdono la loro complessità e la loro identità, e il malato suo malgrado alla faccia della complessità, della presa in carico, dell’integrazione multidisciplinare, sarà nuovamente frammentato cioè sarà adattato alla organizzazione dei compiti e degli incarichi decisi dalle aziende. Cioè i suoi diritti saranno completamente subordinati ai problemi della gestione.
 
In questo modo non solo si resta nel taylorismo più anacronistico e più inutilmente costoso, ma si rischia di dare corpo ad un super-taylorismo ma attenzione nel momento in cui questa società chiede alla sanità esattamente il contrario. Cioè chiede complessità, personalizzazione, partecipazione, processi di cura, modalità integrate, presa in carico ecc.
 
Restare nella logica delle competenze significa restare dentro una idea di divisione del lavoro che oggi non ha più ragione di esistere quindi sul piano sociale non è un affare né per il malato né per l’operatore. Oggi la storica divisione del lavoro di stampo tayloristico va ripensata ma per farlo bisogna andare oltre la vecchia cultura mutualistica delle prestazioni. Competenze e prestazioni sono praticamente la stessa cosa. Se si resta nella cultura della prestazione la divisione del lavoro non si cambia. La prestazione si basa sulla possibilità di dividere il malato in tante monadi. Ma oggi il malato di essere ridotto ad una monade non ne vuole sapere.
 
Vorrei ricordare che in diritto, la prestazione è il contenuto e l'oggetto dell'obbligazione, cioè quanto un soggetto dà e fa in adempimento di un'obbligazione da lui contratta. La retribuzione in questo caso diventa funzione dell’obbligazione.Le competenze a cui si riferisce il contratto riducono l’obbligazione cioè riducono il peso della professione quindi riducono il suo valore contrattuale o se si preferisce il suo valore di mercato.
 
Quando io propongo con la “quarta riforma” di superare il “compitiere”, riproposto aimè tale e quale dal contratto di comparto, con “l’autore”, in realtà propongo al contrario di aumentare l’obbligazione cioè di accrescere le capacità di intervento dell’operatore quindi di accrescere quella che si chiama “presa in carico” al fine di accrescerne il suo valore sociale e retributivo.
 
Ma per fare questo per forza devo superare l’idea di “compito” con l’idea di “impegno” aggiungere alla retribuzione mensile l’attribuzione periodica legata ai risultati e quindi ragionare non scomponendo il lavoro ma ricomponendolo, cioè aumentando la capacità di intervento dell’operatore soprattutto attraverso le relazioni con le altre professioni.
 
La flessibilità a cui punta il contratto da indubbiamente alle regioni dei vantaggi finanziari ma pagando il prezzo salato dell’insoddisfazione sociale, “l’autore” invece offre gli stessi vantaggi finanziari ma accrescendo i risultati attesi quindi accrescendo il grado di soddisfazione sociale.
 
Ricordo che auto-re significa “autonomia, responsabilità, risultati, verifica”
 
Colpo di Stato
Con il contratto di comparto regioni e sindacati si sono accordati per rifilarci un super comma 566 ignorando deliberatamente che questa vicenda ha causato solo pochi anni fa, profonde lacerazioni tra professioni, ma soprattutto che su questa operazione il conflitto con i medici e più in generale tra professioni è scontato. Il gioco del cannibale si basa non sulla cooperazione ma sulla contrapposizione.
 
Mi colpisce la disinvoltura con la quale anziché definire soluzioni comuni si cerchino escamotage per fregare sempre sotto banco, con dei sotterfugi, qualcuno contro qualcun altro, mettendo quindi in conto uno scontro sociale, senza preoccuparsi di prevenirlo con intelligenza e responsabilità e soprattutto con nuove idee.
 
Questa volta l’operazione tuttavia prevede una cosa in più: per evitare che lo stato centrale si metta per traverso come nel 2015 le regioni con l’accordo dei sindacati, hanno pensato di spodestarlo.
 
E’ del tutto evidente, ma l’ho già scritto a proposito dei tavoli di concertazione istituiti dalle regioni, (QS 2 gennaio 2019) che siamo in pieno dentro la logica del regionalismo differenziato anche se nessuna legge in tal senso è stata ancora modificata.
 
Se per colpo di Stato si intende non quello sud americano o africano, ma più semplicemente un rovesciamento di competenze istituzionali fatto in maniera illegale e fraudolenta, in sanità ormai siamo al colpo di Stato.
 
Ritengo che fino a quando le leggi in vigore sulla sanità non saranno cambiate le regioni hanno il dovere di rispettarle. Cambiare in modo fraudolento le leggi in vigore con i contratti significa parlamentarmente regredire alla camera dei fasci e delle corporazioni del 1939 e quindi fare un danno grave al nostro sistema democratico. Le leggi del parlamento vanno rispettate.
 
Conclusione
Mi rendo conto che l’espressione colpo di Stato è una espressione forte e provocatoria, ma mi rincresce prendere atto che oggi le regioni siano diventate a causa delle loro politiche miopi stupide e regressive, il maggior fattore di destabilizzazione del sistema sanitario pubblico.
 
Non nego i loro problemi, ma ad esse dico che ci sono modi per risolverli molto meno distruttivi molto più convenienti sia per i malati che per gli operatori molto più ragionevoli e molto più moderni.
 
Non credo che sia giusto:
- cambiare i diritti costituzionali delle persone e meno che mai le leggi varate dal parlamento e gli ordinamenti in vigore, con lo strumento del contratto,
- che un contratto di alcune professioni possa danneggiare altre professioni disciplinate con un altro contratto,
- che l’interesse, in un’impresa decisamente complessa come la sanità, debba essere un valore prevalente su altri valori come i diritti, la morale, la giustizia.
 
Di nuovo mi trovo costretto a chiedere al governo di intervenire per ristabilire la legalità.  
 
Ivan Cavicchi

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