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Giovedì 21 FEBBRAIO 2019
Il medico e il fine vita. La questione resta aperta

La domanda che da medici ci dobbiamo porre di fronte alla richiesta del paziente di essere aiutato nel porre termine alla sua vita in determinate condizioni è questa: “Se oggi il paziente richiede atti che sono in contrasto con i valori del medico,  fermo restando  che  il sanitario può astenersene,  può  il medico respingere come estraneo alla medicina un aiuto alle scelte autonome dei pazienti che altri medici  possono accettare di dare?”

In  un recente  articolo  su  QS,  Antonio Panti,  nell’elencare  i diversi nodi  professionali   che gli “Stati Generali” promossi dalla Fnomceo dovranno affrontare  si domanda:  “La medicina è una scienza fondata su valori immutabili e sulla definizione di ontologie nomotetiche di cui garantisce il progresso sul piano conoscitivo e clinico oppure è una costruzione sociale che varia a seconda di come la società definisce salute e malattia e di come la tecnologia costringe a modificare i confini antropologici della cura?”.
 
L’argomento   sollevato è   di  grande attualità    e lacerante  per  la comunità medica. Riemerge  proprio   in  seguito alla   Ordinanza della Corte costituzionale  N. 207 del 2018  nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale che vieta l’aiuto al suicidio.  In sintesi, come  afferma la Consulta, il diritto  al suicidio assistito emerge  già dalla legislazione vigente sulla base  del fatto  che il bene giuridico protetto dalla norma denunciata  e portata al cospetto della Corte per la sua incostituzionalità,  non risiede  nel diritto alla vita, ma nella autodeterminazione  del paziente (per normazione prevista dal consenso informato  nella legge  sulle DAT)  dove si esprime la  libertà e  la consapevolezza della decisione del soggetto passivo di porre termine   alla propria vita , evitando influssi esterni  che possano alterare  la sua scelta.
 
Affido a questo articolo il mio personale contributo alla discussione in atto.
 
La medicina  è una disciplina  dalla natura composita.  Reperisce nelle scienze fisiche e biologiche molto del suo metodo, della sua logica e della sua teoria,  tale  per cui potremmo considerarla  in un certo senso una branca di queste discipline.   Ma  la  medicina è anche praxis in senso aristotelico  ovvero conoscenza applicata agli scopi e ai fini dell’uomo ed è per questo  che la medicina può essere classificata   tra le scienze tecnologiche. La medicina, inoltre,  cerca anche di modificare i comportamenti individuali e sociali e quindi  trae radici  anche nelle scienze comportamentali.
 
Ma non è  ancora tutto;  la medicina operando attraverso una personale relazione si pone lo scopo di  “aiutare” una persona a “migliorare” la salute.  Ha un significato  valoriale,  pertanto,  non solo  per l’aspetto reazionale  radicato nelle scienze umane  ma anche per il valore  della conoscenza radicato nelle scienze della natura.
 
Queste ultime non sono solo mezzi di comprensione, ma mezzi di intervento nella vita delle persone e della  stessa società  e non è possibile l’incontro clinico   tra medico e paziente (individuale o sociale  che sia)  senza la comprensione  dei processi fisici del vivente .  È chiaro quindi che  la medicina  ha   una propria essenza specifica.
 
Nello stesso tempo,   i confini della medicina stessa sono in continua evoluzione; si allargano dalla tradizionale definizione dell’arte medica, in funzione della diagnosi e della cura delle malattie, alla più complessiva interpretazione dell’intervento medico per la conservazione ed il mantenimento della salute  fino  a favorire  tutto ciò che può far stare bene alleviando” dolore e la sofferenza”.
 
Questa puntualizzazione ci serve per introdurre  la questione, non del tutto risolta,   se  la medicina  debba  essere considerata una dottrina o   scienza o un’arte, al di sopra degli "attori" che la  interpretano ,  se detiene un proprio valore ontologico immutabile o  sia piuttosto  una pratica sociale storica  che richiede la cooperazione e il consenso dei vari soggetti e un riconoscimento  della società cui fa riferimento.  In altri termini  quanto deve valere la tradizione  e quanto invece  la trasformazione  operata  dai fattori di cambiamento della società sulla domanda di salute.
 
Ove i fattori di cambiamento diventassero significativi, la tradizione deve essere abbandonata? Non è possibile negare  che oggi stiamo vivendo  una ennesima crisi periodica  della medicina e  della professione medica nell’occidente avanzato. Il modello bio-medico scientista a impronta naturalistica, centrato sullo studio causale del nesso tra singole malattie e singoli eventi patogeni interni o provenienti dalla natura esterna  all’organismo umano e neo-scientista della post-genomica, coniugante le scienze naturali con le scienze dell’artificiale, oggi   si scontra  con il modello medico-sociale,  modello centrato sull’imputazione preferenziale delle malattie e disabilità  dovuto soprattutto agli impatti sulla salute e  sulla sua concezione  provocati dal milieu culturale  e dalle  concrete organizzazioni societarie.
 
La medicina  è  ancora  qui, per offrirci una ricca raccolta di metafore per discutere di salute e malattia nel mirare all’integrità, all’armonia e alla completezza di corpo e mente, circostanza questa  che costituisce l’affermazione della dignità dell’individuo; dignità che  occupa una posizione centrale nell’etica e nella pratica della medicina.
 
La qualità di vita è divenuta negli anni più recenti il parametro più importante per misurare l’efficacia di molte attività centrate sulla persona oltre che  parametro di giudizio della efficacia. La qualità di vita è intesa ultimamente non solo  quale pienezza di attività e di validità psicofisica ma  obbiettivo  da ricercare anche quando non si è più in grado di tutelare la salute e  lo stato di salute è grandemente compromesso.
 
Alla qualità di vita  si aggiunge la valorizzazione del principio di autonomia dell’individuo, nel suo  doppio significato di mancanza di dipendenza  fisica  e psichica e  di espressione della singolarità, unicità e in definitiva di libertà  anche  nella sua  autodeterminazione.  Il concetto di autonomia del paziente comporta da parte del medico il rispetto dei valori di fondo che ogni uomo sceglie durante tutta la sua vita e soprattutto quelli che emergono in quel particolare momento di relazione.
 
Non possiamo sottacere  che i valori generali della vita di un paziente sono per lo più determinati dalla storia della società in cui il paziente e anche  il medico vivono, compresi quelli determinati da quel periodo di vita sotto osservazione medica che  meritano un’attenzione particolare.
 
Qualità di vita e autonomia, nel senso di autodeterminazione,   esigono  pertanto nuove attenzioni  da parte del  medico e  reclamano  specifiche  strategie nell’accompagnamento  di fine vita  per tutelare la qualità della vita dei pazienti inguaribili in cui, il giudizio personale sulla qualità della parte finale della sua vita, è inviolabile. È un compito non nuovo,  ma che si è ampliato con l’applicazione della tecnologia e   che  impone di aiutare i pazienti a terminare la loro vita secondo i loro valori.
 
Così, mentre il concetto di salute biologico, cioè di integrità della vita psicofisica, può essere ritenuto universale e relativamente invariante attraverso la storia in quanto legato alle caratteristiche biologiche dell’essere umano, non è così per la qualità della vita a determinare la quale concorrono componenti influenzate dalla cultura, dalla situazione sociale, familiare, politica, economica in cui l’individuo sta vivendo: in breve dalla storia.
 
Allora,  se  l’assistenza ai malati costituisce una consistente costante storica e culturale, così come la centralità del rapporto medico-paziente e il modo di interpretare malattia, infermità e disturbo, nonché la risposta a queste,  è anche vero che la medicina deve cercare la propria direzione mediante un dialogo continuo con la società, nel corso del quale ciascuno dei due interlocutori preserva  la propria sfera  legittima dei propri diritti e  dei propri doveri.
 
La medicina ha certamente  scopi intrinseci, frutto di ideali più o meno universali e di pratiche di carattere storico, ma le sue conoscenze e le sue abilità si prestano ad essere intese in misura significativa anche in termini di costruzione sociale. Il pericolo vero  che si corre , se non si è attenti, è di ridurre il primo punto di vista al secondo e non quello di sostenerli entrambi in un fecondo rapporto di tensione reciproca.
 
La domanda  che  da medici ci dobbiamo porre  di fronte  alla richiesta del paziente   di essere aiutato  nel porre termine alla  sua vita  in determinate condizioni  è questa: se oggi il paziente richiede atti che sono in contrasto con i valori del medico,  fermo restando  che  il sanitario può astenersene,  può  il medico respingere come estraneo alla medicina un aiuto alle scelte autonome dei pazienti che altri medici  possono accettare di dare?
 
Maurizio  Benato
Componente Gruppo di lavoro Stati Generali e Consulta Deontologica Fnomceo

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