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Giovedì 26 GENNAIO 2012
Scaccabarozzi: “Sui generici il Governo sbaglia. Né risparmi né benefici per il paziente”

Inoltre “se le imprese del farmaco perderanno il mercato interno, non avranno più motivi per produrre in Italia”. Intervista esclusiva al presidente di Farmindustria dopo il varo del decreto sulle liberalizzazioni che spinge per la prescrizione dei generici

“In una politica che punta allo sviluppo non si comprende come possa essere stata inserita una norma che penalizza un settore che potrebbe portare crescita come, appunto, quello della produzione farmaceutica”. Il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, commenta così al nostro giornale la norma del decreto Cresci-Italia che introduce nuove regole per la prescrizione dei medicinali con la chiara intenzione di incentivare i generici. Una norma che, secondo Farmindustria, avrà effetti negativi sulle imprese del farmaco "senza produrre risparmi al Ssn né benefici al paziente”. E ce ne spiega punto per punto i motivi in questa intervista.

Presidente Scaccabarozzi, avete criticato la norma anche nella sua ratio. Perché?
Perché forza la prescrizione dei prodotti generici senza che questo produca risparmi per il Ssn o benefici per il paziente. L’unico effetto che avrà sarà quello di creare una distorsione della competitività. Non siamo assolutamente contrari ai generici, come ad alcuni potrebbe sembrare, ma non vogliamo che i prodotti con marchio siano discriminati rispetto ai generici.

Non produrrà risparmi al Ssn perché il farmaco rimborsato è già quello a prezzo più basso?
Esattamente. Già oggi il farmacista ha l’obbligo di suggerire al paziente l’esistenza del farmaco equivalente a più basso costo, che è quello che il Ssn rimborsa. E il paziente ha la libertà di scegliere, in perfetta autonomia, se pagare la differenza per avere un farmaco diverso. Un diritto che credo sia giusto per ogni cittadino che acquisti un bene.

Allora perché crede che il Governo abbia approvato una norma che ribadisce quanto in fondo già previsto?
Credo che questa norma nasca da una serie di convinzioni falsate. A partire dal fatto che stiamo parlando di prodotti a brevetto scaduto, che quindi sono già stati sottoposti alla diminuzione del prezzo nell’ambito della lista di trasparenza dell’Aifa. Non si comprende, quindi, perché questi prodotti debbano essere discriminati rispetto agli equivalenti, considerato che il Ssn rimborserà comunque il prezzo più basso. Che peraltro potrebbe anche essere quello di un farmaco a brevetto scaduto e non necessariamente di un generico.
 
E poi?
Il secondo principio sbagliato è quello di continuare a considerare quello dei generici un mercato non sviluppato e che produce risparmi, ma non è esattamente così. Oggi l’87% del mercato della spesa pubblica territoriale è rappresentato dai farmaci a brevetto scaduto e questo 87% ha già prodotto risparmi per il Ssn.
Inoltre, i dati di vendita Ims dimostrano che tra le prime 15 aziende del mercato ci sono 5 aziende che producono generici. Non mi sembra, quindi, che si possa dire che i generici abbiano poco spazio nel mercato italiano. Possiamo forse dire che non è ben conosciuto, ma ci sono altri metodi per diffondere la cultura del generico piuttosto che forzarne la prescrizione.

Al medico resta la possibilità di scrivere “non sostituibile” sulla ricetta, così come il cittadino potrà comunque rifiutare la sostituzione.
Ma il medico che scriverà spesso “non sostituibile” finirà per ricevere molte pressioni dal momento che la norma spinge verso l’equivalente. E anche la libertà del cittadino viene in qualche modo forzata. Peraltro, secondo le stime, il cittadino risparmierà ogni anno una cifra pari a 11 euro. Cifra che però, prima del decreto, era comunque lo stesso cittadino a scegliere liberamente se pagare o no. Quello che il paziente vuole è che il medico prescriva il farmaco più idoneo per il suo caso. Non comprendiamo quindi le ragioni di questa forzatura.

Cosa chiedete, dunque?
La possibilità di competere. Negli ultimi 10 anni abbiamo subìto tante penalizzazioni, e le abbiamo sempre accettate nel momento in cui era necessario per la sostenibilità dello Stato. Ma non possiamo accettare di essere penalizzati da una norma che non crea nemmeno risparmi per lo Stato.

La competizione per le imprese del farmaco non dovrebbe basarsi sull’innovazione, e quindi sulla richiesta di politiche di rilancio, piuttosto che sulla difesa dei prodotti a brevetto scaduto?
L’innovazione è fondamentale, ma c’è anche l’altra parte del mercato da considerare. Anzi, è proprio il risparmio generato dalla scadenza del brevetto che dovrebbe essere investito nell’innovazione, ma non è proprio così che succede nel nostro Paese, dove si continuano ad effettuare tagli a discapito del fondo per l’innovazione. Così non abbiamo l’uno e non abbiamo l’altro.

Dunque ribadite che la norma mette a rischio la sostenibilità del settore?
Noi siamo un’industria manifatturiera, presente nel Paese con 165 stabilimenti produttivi che producono per tutto il mondo e che impiegano direttamente oltre 25 mila addetti alla produzione. Sono fabbriche che per il 60% producono per l’export, che però deve essere bilanciato da un mercato interno di distribuzione. Se viene a mancare il mercato interno, perché per legge si deve assolutamente dispensare il generico, che senso avrà per noi mantenere le produzioni in Italia? Le produzioni si fanno nei Paesi dove nel mercato c’è spazio per quei prodotti.
Voglio infine ricordare come il fatto che esista il marchio è un vantaggio anche per i generici, dal momento che sono le imprese dei farmaci branded a fare informazione scientifica ai medici e quindi a divulgare i benefici dei prodotti. Questo va anche a vantaggio dei volumi di mercato dei generici, ma se il marchio sarà cancellato perché per legge sarà somministrato il generico, anche fare informazione scientifica non avrà più molto senso

Avete in programma iniziative per sensibilizzare il Parlamento sulla modifica di questa norma?
Noi crediamo nel dialogo. Abbiamo già spiegato le nostre ragioni e continueremo finché sarà possibile farlo affinché sia stralciata la norma o almeno modificata per togliere la distorsione di competitività. Senza penalizzare il mercato generico, ma senza penalizzare neanche il mercato dei farmaci branded, che rappresenta un valore industriale importante nel Paese. Il valore della nostra produzione è di 25 miliardi, di cui 14mld destinati all’export, che è uno degli indicatori chiave della crescita di un Paese. Senza considerare che il valore che ha l’industria farmaceutica solo in stipendi, tasse e contributi è di 12,5 miliardi. In una politica in cui si deve puntare alla crescita, non si può non tenere conto di questo.
 
Lucia Conti

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