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Lunedì 04 MARZO 2019
Regionalismo differenziato. È tempo di mediazioni, ma senza “papocchi”

La mediazione, una buona mediazione, che accontenti le regioni del nord senza sfasciare tutto, credetemi, è possibile ma bisogna alzare il tiro cioè cercare le soluzioni oltre l’ordinario. Ma come pensa di mediare il governo? Pensa di ricondurre le pretese autarchiche delle regioni a più ragionevoli concetti di autonomia? Pensa di rimuovere le contraddizioni che sono fuori e dentro il contratto di governo? Alle regioni non c’è dubbio che si tratta di dare più autonomia, ma come? Autonomia o autarchia?

Partiamo da tre dati di fatto:
- abbiamo un governo, se mi si permette la battuta, molto “hegeliano” nel senso che essendo composto di fatto da antitesi politiche, la Lega e il M5S, la sua sopravvivenza è legata soprattutto alla sua capacità dialettica cioè alla sua capacità di mediare tra gli opposti e le diversità. Questo governo, non potendosi permettersi il lusso, vale a dire la libertà, dell’aut aut, senza mediazione non potrebbe sopravvivere a se stesso
 
- sul regionalismo differenziato la Lega e il M5S hanno, nonostante siano entrambi vincolati da un comune contratto di governo, posizioni opposte
 
- il contratto di governo, a proposito di regionalismo differenziato e di sanità, non aiuta a trovare soluzioni comuni, al contrario si rivela come il primo problema perché esso a proposito di sanità è scritto per antinomie cioè l’affermazione o la negazione dei suoi enunciati comportano necessariamente risultati contraddittori.
 
 
Secondo il contratto di governo sidovrebbe cambiare l’impianto istituzionale del SSN e nello stesso tempo si dovrebbe tutelare questo impianto per come è.
 
Un accordo per l’accordo
In questo quadro:
- sia la Lega che il M5S dovranno, sul regionalismo differenziato, per forza ragionare con una specie di logica del secondo ordine: si deve fare un accordo per dare luogo ad un accordo, quindi ancora mediare
 
- il regionalismo differenziato per la sanità, proprio grazie alle antinomie e alle contraddizioni che esistono nel contratto di governo, si configura di fatto, come una variabile libera il cui significato viene a dipendere esclusivamente dalle intenzioni politiche di chi vi si riferisce e quindi dalle mediazioni che si renderanno necessarie.
 
Unavariabile libera è per definizione interpretabile in modo diverso sia dalla Lega che dal M5S, ma, aggiungo io, proprio perché libera, è interpretabile, oltre la Lega e il M5S, cioè interpretabile oltre le loro interpretazioni.
 
Il primo problema che avrà il governo quando dovrà mettere mano a delle mediazioni, è di decidere se considerare il regionalismo differenziato una variabile libera, quindi declinabile in modi diversi o se è una variabile vincolata e predefinita quindi declinabile solo in un modo.
 
Nel primo caso l’ambito della mediazione sarà il più ampio possibile nel secondo caso il più ristretto possibile. Quale dei due è più conveniente?
 
Per mediare è meglio non essere di coccio
Il fatto di disporre di una variabile libera in generale aiuta enormemente a trovare delle mediazioni, cioè il fatto di non avere univocità e rigidità, aiuta nella mediazione. Ma bisogna saperci fare. Meglio non essere di coccio perché:
- mediare su cose complesse con tante conseguenze e ricadute, come è il caso del regionalismo differenziato in sanità, non è facile si deve tener conto di un mucchio di cose,
- i compromessi e l’intransigenza non vanno d’accordo cioè bisogna avere delle aperture,
- in una mediazione si deve badare tanto al valore, per esempio l’autonomia, che al risultato, per esempio l’universalismo.
 
Un accordo eventuale, tra la Lega e il M5S, sul regionalismo differenziato, sarà accettabile non tanto perché ciò che porta a casa la Lega sarà bilanciato da ciò che porta a casa il M5S (gioco a somma zero), ma solo se alla fine la mediazione produrrà un valore aggiunto per tutto il Paese. Se non si superano le antinomie non ha senso dare qualcosa alle regioni del nord e qualcosa a quelle del sud, perché alla fine le antinomie, invece di essere superate, restano.
 
La mediazione per me dovrebbe essere una abilità della politica per fare comunque l’interesse generale del Paese anche in una situazione di divergenza di opinioni. Quindi come hanno scritto altri (Guttmann e Thompson),la mediazione è l’arte del possibile (The Spirit of Compromise 2014).
 
Mediare e inventare sono la stessa cosa
Ma mediare nel nostro caso vuol dire che:
- le verità, che la Lega e il M5S credono tali, si devono integrare tra di loro e questo è tutt’altro che semplice,
- le contrapposizioni di principio devono trovare il modo concreto di risolversi in soluzioni consensuali che per forza di cose bisogna inventare ad hoc.
 
Purtroppo inventare soluzioni ad hoc rispetto al regionalismo differenziato e alla sanità, non è facile:
- è necessario conoscere profondamente la materia,
- avere uno spirito riformatore,
- tirare fuori se necessario idee nuove,
- saper usare la logica della compossibilità.
 
Mediare, nel nostro caso, non significa dire le stesse cose che dicono la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, in un modo diverso, cioè lavorare sugli aggettivi e limare le parole, ma vuol dire rimuovere delle contraddizioni quindi alzare il livello del confronto ad un livello di creatività superiore. Mi chiedo chi è in grado di fare ciò?
 
Tocca alla sanità farsi sotto
Credo che, in questo frangente difficile, tocchi alla sanità, quindi al ministero competente, avanzare delle proposte, al fine di rimuovere le contraddizioni che sono sul tappeto.
 
A questo proposito la mia preoccupazione principale non è la questione in sé, ma è chi fa la mediazione, con quali idee, con quali proposte, dal momento che sino ad ora abbiamo visto:
- in prima battuta il calarsi le brache da parte del ministero della sanità nei confronti del ministero degli affari regionali (QS 19 gennaio 2019),
 
- in seconda battuta, per fortuna grazie alla presa di posizione contraria del vice premier Di Maio, il prevalere della contrapposizione, cioè l’idea che la Lega debba fare semplicemente dei passi indietro per non spaccare il Paese in due. (QS 18 febbraio 2019). Ma per la Lega non è oggettivamente semplice fare dei passi indietro.
 
Ma tanto il “calarsi le brache” quanto la “contrapposizione” significano solo che la sanità non ha una strategia di mediazione, mentre oggi, se vogliamo salvare il salvabile, bisogna mediare cioè trovare nuove soluzioni di compossibilità.
 
Quali? Dovrebbe essere il ministero della salute a rispondere a questa domanda. Anzi esso dovrebbe coinvolgere la sanità con un tavolo di confronto proprio per rispondere a questa domanda.
 
Ma a tutt’oggi non è dato di sapere come intende muoversi il ministero competente. Si aspetta di vedere come gira il vento.
 
Giusto per dare una mano
Al fine di dare una mano, in questo frangente difficile per il governo certo, ma anche per noi della sanità, (stiamo rischiando di perdere il SSN) non dirò quali, secondo me sono tecnicamente i punti di mediazione, non avrebbe molto senso e poi se qualcuno fosse interessato a conoscerli basta chiamare.
 
Mi limiterò quindi a un paio di consigli, sapendo io bene che consigliare chi non vuole essere consigliato, è perfettamente inutile:
- una mediazione come quella che dovremmo fare sul regionalismo differenziato non è riducibile al problem solving, (togliamo questo e mettiamo quello), ci vuole una strategia e avere in testa un preciso progetto di sanità,
- la mediazione deve servire al progetto, senza progetto si rischia di impapocchiare la già difficile situazione.
 
Due sono per me gli ambiti primari della mediazione cioè le due grandi contraddizioni da rimuovere:
- il rapporto contraddittorio tra le proposte delle regioni e il contratto di governo,
- le contraddizioni da rimuovere che sono nel contratto di governo.
 
Se quello che chiedono le regioni è difforme da quello che sta scritto nel contratto di governo, il governo che fa?
Le proposte di regionalismo differenziato avanzate da Lombardia Veneto e Emilia Romagna non coincidono con la proposta di regionalismo che c’è nel contratto di governo.
 
Nel contratto di governo:
- non si parla mai   di “regionalismo differenziato” ma solo di “regionalismo”,
- il concetto di “autonomia” non è equivocabile con quello di “autarchia”,
- il discorso dell’autonomia è funzionale a uno sviluppo del regionalismo
- l’autonomia è un semplice rafforzamento del regionalismo che c’è.
 
Le proposte delle regioni non solo sono difformi ma anche molto al disotto delle indicazioni del contratto di governo:
- in tema di riforme istituzionali per esempio non prevedono proposte, come recita il contratto di governo volte a raggiungere l’obiettivo di avvicinare l’amministrazione pubblica al cittadino,
 
- non prevedono, come prevede il contratto di governo, il recupero del ruolo dei Comuni, in una parola sono uno spostamento solo di poteri ma senza alcun vero spirito federalista,
 
- non prevedono soluzioni che assicurino, come recita il contratto di governo, la coesistenza tra le “geometrie variabili” (specificità territoriali) con il valore della “solidarietà nazionale,
 
- non prevedono di fare il “tagliando delle leggi” come prevede il contratto di governo quindi trascurano il problema della semplificazione normativa e della verifica pragmatica delle leggi fatte per valutarne la consistenza l’efficacia l’applicazione. Il regionalismo differenziato, proposto dalle regioni, tiene invita norme che sarebbero da correggere e in certi casi da rifare.
 
Cosa intende fare il governo? Intende chiedere alle regioni di adeguarsi al contratto di governo o pensa di accettare le forzature e le incoerenze delle regioni?
 
Oltre alle forzature delle regioni esistono anche le contraddizioni tra il punto 20 e il punto 21 dentro il contratto di governo. Il governo che fa?
 
Il punto 20
Vediamo i punti della riforma istituzionali previsti dal contratto di governo:
- il problema del regionalismo: l’impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell’agenda di Governo l’attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte.
 
- Il riconoscimento delle ulteriori competenze:dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse. Alla maggiore autonomia dovrà infatti accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio, in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei propri cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell’azione svolta.
 
- La logica della geometria variabile: questo percorso di rinnovamento dell’assetto istituzionale dovrà dare sempre più forza al regionalismo applicando, regione per regione, la logica della geometria variabile che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale, dando spazio alle energie positive ed alle spinte propulsive espresse dalle collettività locali. Occorre garantire i trasferimenti necessari agli enti territoriali e una contestuale cessazione delle “politiche di tagli” compiute dagli ultimi Governi.
 
- Avvicinare le decisioni pubbliche ai cittadini: un modo che sembra suggerito anche dagli articoli 5 e 118 della Costituzione, consiste nel trasferire funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni e poi ai Comuni secondo il principio di sussidiarietà. In tale ambito, si intende rilanciare anche il disegno attuativo delle disposizioni costituzionali su Roma Capitale (art. 114 Cost.) con legge dello Stato. 
 
Il punto 21  
Il capitolo sulla sanità se interpretato alla lettera è in contraddizione due volte, con:
- la proposta di regionalismo differenziato sottoscritta da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna,
 
- con il punto 20 previsto dal contratto di governo:
è prioritario preservare l’attuale modello di gestione del servizio sanitario a finanziamento prevalentemente pubblico e tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Tutelare il servizio sanitario nazionale significa salvaguardare lo stato di salute del Paese, garantire equità nell’accesso alle cure e uniformità dei livelli essenziali di assistenza. Va preservata e tutelata l’autonomia regionale nell’organizzazione dei servizi sanitari mantenendo al governo nazionale il compito di indicare livelli essenziali di assistenza, gli obiettivi che il sistema sanitario deve perseguire e garantire ai cittadini la corretta e adeguata erogazione dei servizi sanitari erogati dai sistemi regionali.
 
Nel punto 20 inoltre mentre vi è un esplicito invito a modificare in senso federale le forme di governo nel punto 21 incomprensibilmente si dichiara obiettivo prioritario “preservare l’attuale modello di gestione del servizio sanitario”. L’attuale modello di gestione è l’azienda ed è noto a tutti il suo accertato fallimento e la non rinunciabile necessità di riformare una forma di gestione manifatturiera, monarchica, piramidale che per prima cosa esclude i cittadini sia come rappresentanti della domanda che come controllori sociali.
Nel punto 21 a proposito di competenze allo Stato il contratto di governo riconosce esplicitamente tre funzioni:
- indicare livelli essenziali di assistenza,
- indicare gli obiettivi che il sistema sanitario deve perseguire,
- garantire ai cittadini la corretta e adeguata erogazione dei servizi sanitari erogati dai sistemi regionali.
 
Il punto 20 non mette in discussione queste prerogative dello Stato centrale perché il discorso dell’autonomia non è lesivo delle competenze dello Stato ma le proposte delle regioni sì. Esse puntano a togliere la titolarità dello Stato su alcune importanti leggi di principio. Cosa pensa di fare il governo?
 
Conclusioni
Allora come pensa di mediare il governo? Pensa di ricondurre le pretese autarchiche delle regioni a più ragionevoli concetti di autonomia? Pensa di rimuovere le contraddizioni che sono fuori e dentro il contratto di governo? Alle regioni non c’è dubbio che si tratta di dare più autonomia, ma come? Autonomia o autarchia?
 
E il ministero della salute cosa pensa di fare? Aspettare Godot passando il tempo a scrivere tweet sulle inezie o, dovendo prima o poi entrare in scena, dotarsi di un “progetto” che per mediare ha la necessità di offrire un livello più alto di soluzioni, magari ripensando, molte cose che sino ad ora nessuno ha avuto il coraggio politico e intellettuale di affrontare? Ma ha la capacità ideativa che ci servirebbe per allargare il campo?
 
La mediazione, una buona mediazione, che accontenti le regioni del nord senza sfasciare tutto, credetemi, è possibile ma bisogna alzare il tiro cioè cercare le soluzioni oltre l’ordinario. Se non si riuscirà il rischio è di accontentare tutti senza risolvere niente.
 
Avrete capito che temo sia le conseguenze del regionalismo differenziato che i papocchi cioè le pessime mediazioni sul regionalismo differenziato.
Che Dio protegga la povera sanità.
 
Ivan Cavicchi

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