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21 APRILE 2019
Infermieri. Perché il nuovo Codice non parla del nostro ruolo?



Gentile Direttore,
quando ho letto il nuovo codice deontologico approvato dalla Fnopi la mia sensazione è stata quella di non essere io, infermiera di lungo corso, la destinataria di quel codice. Poi ho letto l’articolo impietoso e lucido del prof. Cavicchi e il mio disagio in qualche modo ha trovato una spiegazione razionale. L’articolo non faceva altro che offrire le parole giuste per descrivere la mia vera condizione di infermiera.
 
Intanto mi associo al prof. Cavicchi nel dire che esiste la questione infermieristica e che negarla non giova a nessuno meno che mai a noi.
 
I medici hanno dichiarato la crisi della loro professione e l’hanno definita “questione medica” e si apprestano a fare gli stati generali, come è possibile che tutto quello che riguarda loro non riguardi noi che stiamo sulla stessa barca, nella stessa società, con gli stessi problemi, nella stessa sanità? Il cittadino che è cambiato riguarda noi e loro, il limite economico che ci condiziona riguarda noi e loro, le “deontologie scadute”, come le chiama il prof Cavicchi, riguardano noi e loro, ecc.
 
La questione infermieristica nasce dalla cruda constatazione che nella pratica quotidiana, la professione, anziché crescere dopo l’attuazione di leggi importanti (L.42/99 e L.251/2000), non solo è rimasta in stallo, ma anzi ha subito una regressione.
 
Qual è il paradosso di questo nuovo codice?
Innanzitutto l’elemento fondamentale che manca è la definizione ben precisa del ruolo e dell’identità professionale dell’infermiere (artt. 1 e 2) quale produttore di salute.
 
Ricordo a tal proposito il lavoro fatto dai colleghi di Pisa che al contrario centravano la loro proposta di deontologia proprio sulla definizione del ruolo. Mi sono chiesta per quale ragione la Fnopi non ha fatto propria la proposta dei colleghi pisani? Trovo del tutto incomprensibile che il codice deontologico nazionale non definisca il nostro ruolo e trovo incomprensibile che si snobbi un lavoro a mio dire preziosissimo.
 
Trovo inoltre incomprensibile che in un codice deontologico non si specifichi in base al ruolo il campo d’azione della nostra professione. Io tutti i giorni ho problemi grossi di competenze e di rapporti con altre competenze. Tutti i giorni quello che faccio è a rischio di essere giudicato difforme dalla regola e dalla norma, forte in me è il bisogno di sapere cosa devo fare e cosa non devo fare, cosa è mia responsabilità e cosa non lo è.
 
Al contrario di ogni logica, si è ben tenuti nel contempo a far sembrare attraverso l’art. 37 l’infermiere come un robot, quello che il prof Cavicchi definisce “trivial machine” il quale agisce in modo decisamente standardizzato limitandosi nell’espletamento delle proprie funzioni alle sole linee guida, senza mettere in atto alcun tipo di ragionamento, quindi più che professione intellettuale sembra sia una professione demenziale.
 
Nella mia esperienza quotidiana se io dovessi fare solo ciò che mi dicono le linee guida sarei a rischio di flop costante. Sapeste quanti aggiustamenti nell’interesse del malato io devo fare per far funzionare le linee guida. Sapeste a volte davanti ai casi concreti quante volte devo mettere da parte le linee guida e usare il buon senso assumendomi delle responsabilità molto rischiose.
Ma scusate, chiedo a chi ha fatto il codice, conoscete o no la vera condizione di lavoro degli infermieri?
 
A supporto di ciò attraverso l’art. 28 si è voluto precisare e sottolineare che l’infermiere non deve trasmettere attraverso i social media, immagini che possano ledere i singoli, come se l’infermiere impiegasse il suo tempo anziché a lavorare, sui social network a pubblicare immagini dei pazienti, ledendo in tal modo la loro privacy!
 
Un’attenzione particolare merita poi l’art. 36 titolato “operatori di supporto”, che recita “l’infermiere […]pianifica, supervisiona, verifica, per la sicurezza dell’assistito, l’attività degli operatori di supporto presenti nel processo assistenziale e a lui affidati”, tale articolo va contro ogni norma giuridica, l’infermiere infatti non può rispondere penalmente dell’operato dell’OSS che risponderà invece personalmente (art. 27 Cost. e art. 2043 cc.) delle proprie attività, tant’è che il D.M. 739/94, non stabilisce che l’OSS sia affidato all’infermiere, tantomeno lo stabilisce l’Accordo Conferenza Stato Regioni 2001 che definisce il ruolo dell’OSS come la figura che concorre insieme alle altre nel soddisfacimento dei bisogni del paziente.
 
A mio avviso sarebbe stato più opportuno da parte della FNOPI affermare che nell’espletamento delle proprie attività, al fine di garantire adeguati livelli di assistenza, l’infermiere necessita obbligatoriamente della collaborazione dell’OSS, altrimenti ne verrebbe compromessa, come quotidianamente accade, la qualità dell’assistenza. Così come è impostato tale articolo, invece, sembra quasi che si vogliano tutelare gli interessi economici di coloro che hanno trasformato la sanità in una gigantesca partita doppia, dare e avere
 
Ulteriore elemento degno di nota, è che leggendo tutto il Codice Deontologico con attenzione, non è presente un aspetto essenziale: la competenza, nel senso ampio del suo significato. Si parla di ricerca, di governo clinico (inteso come clinical governance o come gestione clinica del paziente?) di relazione d’aiuto, ma non sono affatto valorizzate  concretamente e in alcun modo le competenze avanzate e specialistiche possedute dallo stesso, nonché la formazione post laurea, né tantomeno è posta in evidenza l’area di autonomia e reciproca collaborazione con le altre figure dell’equipe, in particolar modo con quella del medico, a cui tanto piace considerare l’infermiere un professionista legato ancora all’ausiliarietà e alle mansioni.
 
Quanto è vero per quanto amaro quello che ha scritto il prof Cavicchi, noi siamo ancora prigionieri di mansionari che nessuno, meno che mai la Fnopi, è riuscita a superare sino ad ora. Noi siamo come quelli che hanno un titolo nobiliare come la laurea ma nello stesso tempo dei miserabili alla mercé di tutti.
 
 
Partendo dal presupposto che l’infermiere è:
- colui che partecipa attraverso la professione alla produzione della salute (ma insisto per ottemperare a tale obiettivo è necessario che sia ben definito il suo ruolo e la sua identità professionale),
- colui che nega la subordinazione dei valori morali a quelli economici,
- colui che coopera con le altre professioni attraverso relazioni permeate da reciprocità e collaborazione, in un clima di piena autonomia e responsabilità, non certo di ausiliarietà…
…il Codice Deontologico insieme al profilo professionale e alla formazione, dovrebbe essere non solo il mezzo per raggiungere quanto su scritto, ma dovrebbe rappresentare uno strumento concreto di cui l’infermiere si avvale per vincere la cosiddetta  sfida della complessità della nuova società.
 
Consentendo così al professionista di essere il vero autore  (autonomia e responsabilità) e fautore della vincita “sociale” (sia per il professionista che per l’utente), sempre e comunque nel pieno di una dignità professionale che a tutt’oggi risulta essere purtroppo ancora  legata a  vetusti vincoli, lontani dalla modernità della professione (politici, economici, strategie inadeguate), che mai ahimè, sono stati cancellati.
 
Maria Augusta Fantetti
Infermiera

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