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Mercoledì 15 MAGGIO 2019
Rapporto Oasi 2018. Se ne è parlato oggi in Regione Lazio

Nel 2017 il Ssn ha segnato un lieve disavanzo contabile (282 milioni di euro, pari allo 0,2% della spesa sanitaria pubblica corrente), con le regioni del Centro-Sud che si dimostrano ormai virtuose quanto quelle del Nord. Il Lazio, per esempio, ha registrato un avanzo di 529 milioni e la Campania di 77. 

Presentati oggi in Regione Lazio i risultati del Rapporto Oasi 2018: a livello nazionale, emergono risultati di salute complessivamente positivi nonostante l’eterogeneità inter-regionale, con due importanti elementi di stabilità: il consolidamento dell’equilibrio economico-finanziario e l’esaurimento della recente stagione di revisione degli assetti istituzionali regionali.

Dopo avere raggiunto l’equilibrio economico-finanziario riuscendo a mantenere buoni risultati in termini di salute della popolazione, il Servizio sanitario nazionale (Ssn) deve ora risolvere alcuni disequilibri territoriali e raccogliere la sfida imposta dalla frammentazione della società, che crea nuove fragilità e nuovi bisogni. Il Rapporto Oasi 2018 – Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano del Cergas Bocconi, il Centro di Ricerche sulla Gestione dell'Assistenza Sanitaria e Sociale, presenato lo scorso novembre è stato oggi discusso in Regione Lazio alla presenza dell’Assessore alla Sanità e Integrazione Socio-Sanitaria Alessio D’Amato, del Direttore Regionale Salute e Integrazione Socio-Sanitaria Renato Botti e del top management della sanità laziale. 

Nel 2017 il Ssn, secondo il Rapporto Oasi curato da Francesco Longo e Alberto Ricci, ha segnato un lieve disavanzo contabile (282 milioni di euro, pari allo 0,2% della spesa sanitaria pubblica corrente), con le regioni del Centro-Sud che si dimostrano ormai virtuose quanto quelle del Nord. Il Lazio, per esempio, ha registrato un avanzo di 529 milioni e la Campania di 77. Nello stesso anno, la spesa del Ssn è aumentata dell’1,3% a 117,5 miliardi di euro, portando l’aumento medio, dal 2012 al 2017, allo 0,6% nominale annuo, equivalente a un aumento nullo se si tiene conto dell’inflazione.

La spesa sanitaria italiana è sobria, per non dire insufficiente rispetto alla ricchezza nazionale: si assesta all’8,9% del Pil, contro il 9,8% della Gran Bretagna, l’11,1% della Germania e il 17,1% degli Stati Uniti, con il Ssn che ne copre il 74%. Negli ultimi 5 anni, la quota di spesa sanitaria pubblica sul totale della spesa di welfare si è contratta dal 22,8% al 21,8%.

Il principale indicatore di salute della popolazione, l’aspettativa di vita, rimane eccellente (82,8 anni al 2016), ma cresce meno che altrove, tanto che, dal 2010 al 2016, l’Italia è passata dal secondo al sesto posto al mondo nella classifica di longevità dell’Organizzazione mondiale della sanità. Mentre i tassi di mortalità per tutte le maggiori malattie sono in declino, cresce quella dovuta a disturbi psichici e malattie del sistema nervoso.
 
Rimangono ancora piuttosto marcate le differenze territoriali: l’aspettativa di vita in buona salute è di 56,6 anni al Sud e di 60,5 anni al Nord, con la Calabria che si assesta a 52 anni e la provincia autonoma di Bolzano che arriva a 69. Il Lazio fa registrare un valore di 57,7 anni, poco più di un anno in meno rispetto alla media nazionale, pari a 58,8. Fino al 2016, prima dell’introduzione di limitazioni legislative, anche la mobilità territoriale dei pazienti sulla direttrice Sud-Nord era in aumento.

A rimanere inevasa è, però, soprattutto la domanda derivante dal cambiamento sociale, che porta a una progressiva frammentazione: nel 2017 il 32% delle famiglie è unipersonale (8,1 milioni di individui, di cui 4,4 milioni over 60) e il rapporto tra gli over 65 e la popolazione attiva, al 35%, è il più alto d’Europa. Tra il 2010 e il 2017 la popolazione over 65 è aumentata di 1,3 milioni di persone (+11%). Si tratta di un incremento dovuto all’invecchiamento delle numerose coorti demografiche dei baby boomer: un trend fisiologico e di per sé positivo, perché conferma la lunga aspettativa di vita oltre i 60 anni. A preoccupare è lo squilibrio tra popolazione over 65 e popolazione in età attiva, che diminuisce a causa del drastico calo delle nascite. Nei prossimi 20 anni, infatti, il rapporto tra over 65 e popolazione attiva passerà dal 35% al a 53%: oltre un "anziano" ogni due persone in età attiva.
 
Questa evoluzione crea e creerà sempre più gravi disequilibri nei servizi socio-sanitari che, stima l’Osservatorio, oggi riescono a coprire solo il 32% del bisogno. Il sistema fatica anche a garantire continuità assistenziale agli anziani a seguito di un ricovero: un over 85 su quattro viene ricoverato almeno una volta l’anno, con una degenza media di 11 giorni, ma solo il 16% di questi viene dimesso prevedendo qualche forma di continuità assistenziale.

Dal punto di vista degli assetti istituzionali, il Rapporto evidenzia come per la prima volta dopo anni si registri una fase di stallo o forse l’esaurimento delle dinamiche riordino dei servizi sanitari regionali. Nel 2018, come nel 2017, si registrano 120 aziende territoriali (Asl e Asst), con una popolazione media servita di 500.000 abitanti. Le aziende ospedaliere sono 43, invariate rispetto al 2017, ma in evidente calo rispetto alle 75 del 2015, prima che il riordino di alcuni SSR (in primis quello lombardo, ma anche quello laziale) re-integrasse nelle aziende territoriali la rete ospedaliera o di parte di essa.
 
In questo quadro, il modello emergente è quello dei sistemi regionali coordinati e integrati attorno a una "capogruppo", che esercita funzioni di governo strategico e/o svolge funzioni operative in precedenza affidate alle aziende. In questi nuovi sistemi regionali "coordinati e integrati" le aziende sanitarie si diversificano molto sia nella dimensione verticale (autonomia e prerogative di governo), sia nella dimensione orizzontale (ampiezza e orientamento della missione). La finestra di stabilità istituzionale aperta da alcuni mesi sta permettendo e permetterà di consolidare gli assetti di governance, le strutture organizzative e le competenze manageriali delle aziende, coerentemente con le differenti mission e specializzazioni erogative, e delle nuove istituzioni intermedie tra regione e aziende (ad esempio Egas, Azienda Zero, Alisa, Ats).

In questo quadro, l’Osservatorio sottolinea come le aziende nate dagli accorpamenti abbiano spesso dimostrato competenza e relativa rapidità nell’adeguare i sistemi di programmazione e controllo ai nuovi, più ampi perimetri aziendali. È invece ancora incerto il contributo di tali sistemi nel rafforzamento sostanziale di responsabilità, gestione di risorse e potere del middle management aziendale, in discontinuità con la classica struttura basata sui due livelli gerarchici del vertice strategico e del nucleo operativo.

Dal punto di vista organizzativo, notano gli autori dell’Osservatorio, si fanno sempre più critiche le condizioni del personale del Ssn. Il blocco del turnover, che è stato utilizzato per anni come principale strumento della riduzione di spesa, fa sentire i suoi effetti: il 53% dei medici ha più di 55 anni e il numero dei candidati alle specialità mediche è più che doppio rispetto ai contratti finanziati. "Il problema è la scarsità di risorse per assumere e formare specializzandi, non la mancanza di medici", afferma Francesco Petracca, autore del Rapporto e relatore dell’evento. Nei profili di ruolo amministrativo, la quota di over 55 è del 44% e tra il 2006 e i 2016 il numero di under 35 si è ridotto del 64%. In Italia il personale infermieristico è meno della metà rispetto alla Germania (5,6 infermieri ogni mille abitanti, contro 12,9) e a soffrire di più sono sempre le regioni del Centro-Sud: al 2016 la Lombardia registrava 9,6 dipendenti Ssn ogni mille abitanti, la Campania 7,3 e il Lazio 7,1.

Nonostante le molte criticità, il settore sanitario italiano e le sue aziende si confermano un settore dinamico e aperto all’innovazione, non solo in ambito clinico, ma anche sul versante manageriale. Naturalmente, non mancano le questioni aperte. "Nella cornice della stabilità finanziaria e istituzionale, le aziende si confermano capaci di attivare nuovi modelli di servizio e nuovi strumenti di management, come l’adeguamento dei sistemi informativi per la programmazione e controllo alle accresciute dimensioni aziendali. Tuttavia, occorre individuare le priorità strategiche verso cui indirizzare l’innovazione - conclude Francesco Longo, anch’egli tra i relatori dell’evento -. Inoltre, si divaricano sempre più i tempi istantanei della comunicazione politico-mediatica e i lunghi tempi attuativi sul lato amministrativo. Il ruolo del management resta quello di individuare le priorità strategiche e curarne l’attuazione, consapevole degli elementi che determinano i propri spazi di autonomi".
 

“I risultati di questo studio di Cergas Bocconi ci consentono uno sguardo sugli scenari futuri del servizio sanitario e ci aiutano ad interpretare il cambiamento in atto. In linea con la mission di Bayer, vogliamo contribuire allo sviluppo di un sistema salute che sia sostenibile e che consenta l’accesso ad un’assistenza sanitaria sempre migliore per i cittadini e che garantisca a tutti l’accesso alle nuove possibilità di cura. Questo comporta una sfida impegnativa, obiettivo comune di tutti gli operatori sanitari, aziende comprese: la revisione dei modelli di presa in carico del paziente, ambito nel quale anche la Regione Lazio si sta misurando, avendo tra i suoi focus l’implementazione della continuità ospedale territorio”, ha commentato Patrizia Ponzi, Patient Access Head di Bayer
 

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