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Lunedì 20 MAGGIO 2019
Aziendalizzazione in sanità. Il Papa ha ragione a criticarla

Un intervento di peso quello del Pontefice che imporrà (spero) l'apertura di un confronto concreto per la elaborazione di una riforma, la quater, che possa essere decisiva per cambiare passo

La mia tesi dell'agenzificazione del SSN, meglio la critica sull'aziendalizzazione della salute ha trovato giorni orsono (vedi articolo del 17 maggio e testo del discorso su questa rivista), un «testimonial» di lusso. Nientepopodimenoche Papa Francesco.
 
Un signore che se ne intende di sofferenze e di come colmarle, ma soprattutto di come avviare quei cambiamenti, per lo più coraggiosi e per molti versi rivoluzionari, senza i quali è il peggioramento a vincere la partita, prioritariamente con i più deboli.
 
Lo ha manifestato nel corso del suo incontro annuale con l'Associazione cattolica degli operatori sanitari, che raccoglie aderenti importanti per l'erogazione della sanità romana e nazionale, atteso il peso che in esse rivestono il Bambino Gesù e il policlinico Gemelli. Due Irccs, tra i più importanti dei 51 distribuiti nel Paese, che - se da una parte - drenano risorse alle Regioni povere di tutto (come la nostra!) - dall'altra - assicurano a tantissimi di continuare la vita, altrimenti messa in discussione dalle rovine dei servizi sanitari regionali che caratterizzano, per esempio, il Mezzogiorno.
 
Dunque, un assist di peso che - seppur limitato nell'occasione ad uno dei due grandi limiti che mi sforzo di sottolineare oramai da oltre 10 anni, più esattamente riguardante la sempre più consolidata disumanizzazione del rapporto sistema della salute/assistiti (l'altro è rappresentato dalla attitudine dell'aziendalismo salutare a generare debiti indicibili e una mancata erogazione dei Lea in gran parte del Paese) - imporrà (spero) l'apertura di un confronto concreto per la elaborazione di una riforma, la quater, che possa essere decisiva per cambiare passo.
 
Nella sanità nazionale, occorre insomma una svolta legislativa, degna di questo nome, che possa assicurare (mi auguro):
- per un verso, un concreto e decisivo strappo della gestione della sanità alla oramai costituita lobby degli inamovibili ministeriali (che decidono il buono e il cattivo tempo dominanti nelle regioni più arretrate, ma non solo), e alle «scuderie» organizzate dei direttori generali che tutelano, spesso, se stessi e i loro mentori politici, piuttosto che la salute dei cittadini;
 
- per un altro, l'istituzione di un Agenzia nazionale della salute, con a valle 20 Agenzie regionali destinate a mandare avanti il quotidiano assistenziale - quello che è divenuto in alcune Regioni del sud una sgangherata «baracca» - sulla base ovviamente della programmazione perfezionata dai rispettivi organi legislativi regionali (i Consigli). Ciò darebbe modo di rimettere la conduzione della Salute in mano ad agenti di pregio obiettivo, di alta professionalità scelti, così come avviene per esempio nell'Agenzia delle Entrate, attraverso procedure strettamente concorsuali e non già selezionati in graduatorie di merito, facile a costruirsi e premianti delle attività svolte a prescindere dai risultati ottenuti.
 
Il tutto con l'obiettivo di umanizzare l'erogazione della salute (Papa Francesco, docet), resa oggi in condizioni quasi crudeli in tante regioni del Mezzogiorno. Ma anche, darebbe modo di espellere dalle «decisioni finali» quella burocrazia ministeriale che, di fatto, non perde l'occasione di drenare prebende a suo vantaggio, di proteggere i carrozzoni pagati lautamente per non fare nulla e dispensa disgrazie salutari, quelle che i cittadini del sud sono, poi, costretti a sopportare da decenni sulla loro pelle (vedi DL salva-Calabria).
 
Non solo. Garantirebbe una governance che risponda obiettivamente al sistema e recida tutti i cordoni ombelicali con la politica dominante che vi è routinariamente preposta.
 
Non fare ciò, al di là delle mezze misure che (come accadrà in Calabria con il decreto-Grillo) peggioreranno lo stato dell'essere, produrrà la definitiva scomparsa del sistema della salute pubblico, sino ad oggi predato da tutti indistintamente, molto distante dall'assicurare, soprattutto ai meno abbienti, il diritto alla salute, oppresso da liste d'attesa inenarrabili e da rinunce ad accedervi, spesso per impossibilità economica a pagare finanche i ticket.
 
La sanità pubblica ha bisogno di essere protetta all'insegna della umanità delle prestazioni  e della scomparsa dell'aziendalizzazione. Perché ciò accada deve essere, per l'appunto, sostenuta ed erogata da quel pubblico che più pubblico non si può!
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

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