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Lunedì 27 MAGGIO 2019
Terapia genica: non più il futuro, ma il presente della medicina moderna. Ma a che costo?

Il nuovo farmaco contro la Sma approvato dalla Fda è una grande conquista ma il problema è il loro costo, altissimo, sia a causa delle spese necessarie per metterli a punto, sia per lo scarso numero di pazienti che ne possono beneficiare. Le aziende farmaceutiche fanno dunque i conti e fissano prezzi che in alcuni casi arrivano a sfiorare il milione di dollari o anche di più, per malato.

Dopo tre decenni di speranze, segnati anche da battute d’arresto, le cure che puntano a correggere gli errori nel Dna del paziente per farlo guarire dalla sua malattia, stanno entrano a far parte dell’armamentario terapeutico dei clinici. Il problema è il loro costo, altissimo, sia a causa delle spese necessarie per metterli a punto, sia per lo scarso numero di pazienti che ne possono beneficiare.

Le aziende farmaceutiche fanno dunque i conti e fissano prezzi che in alcuni casi arrivano a sfiorare il milione di dollari o anche di più, per malato. Quanto vale una vita?  Non ha prezzo si diceva e si dice, ma oggi alcuni prezzi sono noti ed in alcuni casi si possono quantificare per alcune terapie fino a 2.15milioni di dollari. 

Questo è il prezzo sbalorditivo di un farmaco prodotto dal gigante farmaceutico Novartis che è appena arrivato sul mercato. Zolgensma è un trattamento di terapia genica one-off per l'atrofia muscolare spinale (SMA), una rara malattia degenerativa.  I bambini con la forma più grave di solito muoiono entro due anni. 

Per i genitori di bambini nati con SMA, vale la pena pagare qualsiasi prezzo per salvare la vita del bambino. Indica anche che le spese per lo sviluppo di tali farmaci innovativi sono molto elevate. 

In questo caso, però, Novartis non ha sviluppato Zolgensma ma ha acquistato, per 8,7 miliardi di sterline, AveXis Inc, la società che lo ha prodotto. Mi sono imbattuta in questa novità leggendo Il Wall Street Journal  che ha descritto l'acquisizione come una "scommessa".
Il prezzo di Zolgensma è il rendimento necessario per il successo di quel gioco. 2,1 milioni di dollari di terapia genica di Novartis per diventare il farmaco più costoso al mondo.

"Il problema con molti di questi farmaci è che sono costosi, ma anche in grado di cambiare la vita per coloro che ne hanno bisogno", osserva, sempre sul Wall Street Journal, Michael Sherman, responsabile medico della compagnia assicurativa statunitense Harvard Pilgrim Health Care. 
"Non si tratta di dire di no, ma come si fa a dire sì senza mandare in bancarotta il sistema?".

Questa domanda, è ancora più acuta, per i sistemi sanitari caratterizzati dall’Universalità come è il nostro servizio sanitario nazionale e buona parte dei sistemi europei. Soprattutto perché a far data dal 2024 sono previste più di 60 terapie geniche sul mercato. Il caso di Zolgensma solleva anche delle domande sulle priorità. 

Nel 1983, il Congresso degli Stati Uniti approvò l'Orphan Drug Act, progettato per incoraggiare la ricerca sulle malattie rare, offrendo agevolazioni fiscali e una metodologia più veloce per l’immissione sul mercato. La conseguenza, sostengono i critici, è che si è spesso rivelato più redditizio per le aziende farmaceutiche concentrare la ricerca sulle malattie rare piuttosto che su condizioni più comuni.

Zolgensma illumina le incredibili scoperte mediche ora possibili e pone domande profonde sui sistemi economici e sociali all'interno dei quali sono radicate la ricerca medica e l'assistenza sanitaria.

Non sono solo le industrie, però, a lavorare su queste cure: anche laboratori pubblici, e anche italiani, hanno raggiunto risultati. Proprio “quando la scoperta è stata raggiunta anche con fondi pubblici, ci dovrebbe essere una richiesta di un condizionamento sul prezzo, o si potrebbero creare laboratori pubblici che preparino il prodotto e lo mettano a disposizione al prezzo di costo“, propone Silvio Garattini, direttore dell’Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano.

“Bisognerebbe creare con anticipo delle regole – dice Garattini all’Adnkronos Salute – che prevedano, quando anche istituzioni pubbliche hanno partecipato alla ricerca, un accordo sul prezzo: non può essere che si spendano soldi pubblici e poi i profitti li faccia solo chi realizza il prodotto finale. Dato anche che” la produzione delle terapie geniche “consiste in attività di laboratorio, che non richiedono delle masse produttive, un’alternativa è creare strutture pubbliche che preparino il prodotto e lo mettano a disposizione dei pazienti, che spesso sono pochissimi, al prezzo di costo“.

Abbiamo strutture già esistenti nel nostro Paese che hanno la capacità di riprodurre questo tipo di terapie e potrebbero prendere in carico questa missione. Altrimenti si rischia che queste opzioni di cura si moltiplichino, ma ci troveremo nella condizione di non poterle utilizzare.
 Una soluzione, quella dei centri pubblici “arruolati” per produrre le terapie geniche, assicura Garattini, “facilmente applicabile nel breve termine“.

La terapia genica è progettata per introdurre materiale genetico nelle cellule, in modo da compensare o correggere i geni anormali causa di malattia. Se un gene mutato provoca un danno o la scomparsa di una proteina necessaria, ad esempio, la terapia genica è in grado di introdurre una copia normale del gene e di ripristinare la funzione della proteina in questione.

Originariamente concepita come trattamento mirato solo alle malattie ereditarie, questo trattamento viene oggi applicato anche nel caso di patologie ‘acquisite’, come alcune forme di cancro. E nel 2017 è giunto un flusso costante di risultati clinici incoraggianti, con progressi nelle terapie geniche per l’emofilia, l’anemia falciforme, la cecità, diverse malattie neurodegenerative, una serie di altre patologie genetiche ed anche tumori del midollo osseo e dei linfonodi.

Una nuova terapia genica è riuscita a riparare il cuore da un infarto, cancellando o riducendo le sue cicatrici e stimolando la rigenerazione con la proliferazione delle cellule cardiache. L’esperimento, a guida italiana e pubblicato sulla rivista Nature, è stato ottenuto sui maiali e i dati fanno sperare che in cinque anni si possa sperimentare sull’uomo. La notizia comparsa anche su Stampa salute riporta le affermazioni di Mauro Giacca, del Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia (Icgeb) di Trieste, che ha coordinato la ricerca con Fabio Recchia, della Scuola Sant’Anna di Pisa. Hanno collaborato inoltre la Fondazione Monasterio di Pisa, con la supervisione di Giovanni Aquaro, e la School of Cardiovascular Medicine & Sciences del King’s College London.

“È un momento molto eccitante per tutto il campo”, “Dopo tanti tentativi infruttuosi negli ultimi 15 anni provando a utilizzare le cellule staminali, per la prima volta - prosegue Giacca - abbiamo compreso come sia possibile riparare il cuore in un animale di grossa taglia stimolando direttamente le proprietà delle cellule cardiache sopravvissute al danno”. Tre terapie geniche sono state approvate dalla Food and Drug Administration (Fda), negli Stati Uniti, nel corso del 2017, e nel 2018 molte altre sono attualmente allo studio. Secondo Cynthia Dunbar, ricercatore senior di Ematologia al National Heart, Lung and Blood Institute (Nhlbi), che fa parte dei National Institutes of Health americani, metodi ancora più innovativi, come l’approccio Crispr/Cas9, forniranno presto sistemi di correzione del genoma più ampi ed efficaci.

Gli autori indicano inoltre gli approcci che hanno finora prodotto i migliori risultati nella terapia genica: la somministrazione diretta in vivo di vettori virali (veri e propri virus ‘buoni’) per far arrivare i geni terapeutici nelle cellule umane e il trasferimento di cellule staminali del sangue o del midollo osseo del paziente geneticamente modificate in laboratorio, poi re-iniettate nello stesso paziente. Si evidenzia su Science che “Ricercatori del mondo accademico e dell’industria stanno lavorando con le aziende regolatorie per accelerare lo sviluppo e la standardizzazione della produzione delle terapie geniche –– ma sarà cruciale coinvolgere anche i soggetti pagatori per sviluppare nuovi modelli di finanziamento di queste terapie, dagli altissimi costi ma dai benefici a lungo termine per i malati“. Il pericolo che si corre in caso contrario, secondo gli esperti, è di vedere “interrotta” la fornitura di queste cure, come si rischia in Europa “dove due prodotti sono stati autorizzati, ma uno è stato ritirato e uno è a rischio di interruzione d’uso” proprio per la mancanza di questi nuovi paradigmi.

"Il vero problema è la durata della risposta dei pazienti alle nuove terapie geniche", commenta Luca Pani, ex direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ed ex membro del comitato tecnico dell'European Medicines Agency (Ema), ora in forze come docente di Psichiatria all'università di Miami (Usa). "Su questo - aggiunge - dovremmo concentrarci e non fare sconti a nessuno. Le aziende non possiedono ancora dati a 3-5 anni, soprattutto a livello di sicurezza. Perché ci vuole un po' più tempo per capire se il 'pezzo' di Dna che ho introdotto nell'organismo del paziente possa avere o meno effetti nocivi". Per tale motivo, queste cure innovative devono essere pagate per così dire 'a rate', in attesa di più dati.

Pani punta i riflettori su una questione, quella della sicurezza di queste nuove terapie, che va verificata nel tempo. E, in funzione di ciò, per quanto riguarda il loro altissimo costo, "è legittimo pensare a un pagamento 'by results': la terapia costa 500 mila euro? Bene, l'azienda ne riceverà 50.000 l'anno per 10 anni, a seconda della risposta del paziente. L'azienda non fornisce i dati tutti insieme? Bene, non avrà i soldi tutti insieme. In Italia - ricorda Pani, che gestì il dossier nel 2016 - abbiamo negoziato la prima terapia genica al mondo, Strimvelis, sviluppata dagli scienziati dell'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget), in collaborazione con GlaxoSmithKline", per la cura dell'Ada-Scid, la malattia dei 'bimbi in bolla'. Un trattamento, dunque, "sviluppato in Italia e con Gsk che si è occupata della produzione industriale: un bel modello di partnership accademia-industria. E se è vero che nella negoziazione Gsk si era presentata con un prezzo più alto, è anche vero che abbiamo poi chiuso a 594 mila euro".

"Nella negoziazione, infatti - ricorda ancora l'esperto - abbiamo fatto presente che si trattava di finanziamenti Telethon e che l'azienda si era unita solo all'ultimo miglio, per questo la discussione è durata poco, solo 50 giorni. Diciassette mesi più tardi, il Nice (National Institute for Health and Care Excellence) britannico ha confermato che il prezzo giusto di Strimvelis è proprio 594 mila euro. E le altre terapie geniche finora si sono mantenute sotto questo prezzo, anche le due 'Car-T' approvate dalla Fda, perché il faro di guida è diventata l'Italia e la nostra efficace e veloce negoziazione del 2016".

"La questione - evidenzia Pani - non è dunque quali e quanti pazienti possono giovare di questi trattamenti innovativi: i bio-marcatori genetici per individuare i migliori candidati alla cura, infatti, ci sono; non è il fatto che non ci siano endpoint migliorabili, perché l'endpoint in molti casi è la morte; e non è nemmeno un problema il fatto che non esista un comparatore" con cui queste cure possano 'confrontarsi' per essere valutate al meglio. "Il problema - ribadisce in conclusione - è approfondire il tema della durata della risposta a queste terapie". C'è chi poi fa notare quanto queste nuove scoperte stiano rivoluzionando il modo in cui si devono considerare i costi: "Molte terapie geniche prevedono una sola somministrazione. Il loro costo, pur elevato, risulta in realtà molto più basso rispetto al trattamento di una malattia cronica, somministrato per molti anni, addirittura a vita. Questo non fa notizia. In ogni caso, io confido nel fatto che, con il tempo e con il loro diffondersi, il prezzo si abbasserà, anche grazie a produzioni standardizzate e su larga scala. Sono intanto necessari interventi per incentivare le aziende a investire nel settore delle malattie rare, perché il rischio è che non rientrino dei loro investimenti e non sarà più possibile proseguire". Un altro strumento potrebbe essere quello di "incaricare solo pochi centri specializzati in Europa di produrre e di somministrare le terapie geniche, cosa che ridurrebbe di molto i costi.

Insomma, da soli non ce la possiamo fare, abbiamo bisogno dell'industria, ma anche che il prezzo sia adeguato e sostenibile.
Per questo ben venga il dibattito che sta avvenendo alla 72 ma Assemblea dell’OMS su proposta dell’Italia per introdurre equità, trasparenza che consentano nuovi paradigmi di rimborso, perché la salute non può che essere di tutti e per tutti. Il ministero della Salute italiano, è divenuto l’alfiere della battaglia contro i prezzi alti dei farmaci, ritenendo, che sussistano pratiche tutt’altro che limpide, legate alle negoziazioni (a febbraio il direttore generale dell’Aifa Luca Li Bassi riferì in conferenza stampa dell’esistenza di 1700 clausole di riservatezza tra le parti, come di una grave anomalia).
Certo, va precisato che le risoluzioni sono atti giuridici dotati di efficacia esortativa e non vincolante.

In altre parole suggeriscono agli Stati membri di intraprendere (o non intraprendere) determinate iniziative, con l’obiettivo di promuovere la tutela della salute e/o di adottare (o non adottare) determinate norme comportamentali per raggiungere determinati obiettivi.
Ma anche se non vincolanti, le risoluzioni hanno comunque una loro efficacia, misurabile con il raggiungimento degli obiettivi da parte dello Stato membro che le adotta.

Tuttavia si vedrà come andrà a finire posto che il tema è complesso e trova molti oppositori, così come oggi viene sottolineato da l’appello lanciato da Medici senza frontiere all’Assemblea dell’Oms.

I problemi sollevati non sono di piccola entità e vanno da: il potere di conferire all’OMS il mandato per raccogliere e analizzare i dati degli studi clinici e gli effetti avversi delle tecnologie sanitarie, alla potestà di istituire un organismo di coordinamento, in cui i governi potrebbero condividere le informazioni sui prezzi dei farmaci, i fatturati, i costi di R&D, gli investimenti fatti dal settore pubblico e i sussidi alla ricerca, i costi di marketing ed altre informazioni rilevanti. Dunque vi è resistenza alla proposta italiana.

Insomma un cammino difficile, anche se non impossibile, ma che richiama una questione più generale, tutta dentro il dibattito a livello mondiale tra nazionalismi e sovranazionalità, e quindi, il potere degli organismi sovranazionali. Come trovare il giusto equilibrio di poteri almeno sui grandi temi dell’umanità, e la salute è uno di questi, affinché le popolazioni godano di uguali diritti nella promozione e tutela di beni primari?

Una cosa però è certa, senza cooperazione e solidarietà tra gli stati sarà difficile per le politiche sanitarie affrontare la costosità di farmaci volti a sconfiggere vecchie e nuove epidemie all’orizzonte e altrettanto difficile sarà il superamento delle disuguaglianze in materia di salute.
E’ la storia della medicina che lo dimostra, e l’Universalità è il problema del nostro tempo.
 
Grazia Labate
Ricercatrice in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità

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