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Lunedì 03 GIUGNO 2019
Diagnosi tardiva di tumore: la Cassazione conferma la condanna di due medici

Secondo i giudici (sentenza 23252/2019) la scienza medica sostiene la necessità di diagnosticare tempestivamente le patologie tumorali, posto che da ciò dipende la loro prognosi. Tuttavia essendo il reato prescritto la pena si è limitata alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili (eredi) della paziente. LA SENTENZA. 

La Cassazione torna ancora sull'omessa diagnosi di una patologia tumorale da parte del medico: va valutata con particolare rigidità, per la delicatezza e la particolare rilevanza degli interessi che vengono in gioco secondo la sentenza 23252/2019, confermando la colpevolezza di un medico oncologo il cui reato in base all’articolo 590 del codice penale (lesioni personali colpose) è “estinto per prescrizione”, ma condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili (eredi).

Il fatto
Un medico in servizio presso un Centro di Prevenzione Oncologica, visitando una paziente che poi si rivelata affetta da carcinoma mammario, non le aveva prescritto approfondimenti diagnostici (una mammografia) non diagnosticandole la neoplasia, ed erroneamente rilevando una cisti e praticando un ago aspirato che procurava il peggioramento della patologia, cagionava alla paziente lesioni personali consistite nel progredire della malattia, con la conseguente necessità di intervento chirurgico di mastectomia radicale, con asportazione dei linfonodi e l'effettuazione di 8 cicli di chemioterapia, seguiti da radioterapia e da ormonoterapia per 5 anni, oltre alla riduzione delle aspettative di vita.

Il medico si era limitato a una ecografia da cui risultavano mammelle a prevalente struttura fibroghiandolare in cui si evidenziavano multiple e millimetriche formazioni cistiche, ma non si riconoscevano focalità sospette in senso eteroformativo.

Il dolore proseguiva anche nei giorni successivi e il medico la indirizzava dal chirurgo che prescriveva alla donna una terapia antinfiammatoria per tre mesi dopo la quale la paziente non avvertiva più il dolore alla spalla e al braccio, ma sempre quello al seno che si manifestava ogni tanto, in forma di "stilettata".

Successivamente, proseguendo e intensificandosi il dolore, la sorella della paziente l’accompagnava presso uno studio medico dove il sanitario si è categoricamente rifiutato di sottoporla a ulteriore visita, escludendo di sottoporla anche alla mammografia che la donna gli chiedeva di fare il giorno stesso. La rassicurava sul fatto che si trattava di cisti che non potevano trasformarsi in qualcosa di più preoccupante, non faceva né consigliava approfondimenti.

Cinque mesi dopo la pazinte prese un nuovo appuntamento col medico perché, nel corso della notte aveva avvertito dolori molto intensi e perché il seno aveva cambiato morfologia. A questo punto, dopo una nuova ecografia, il medico prescriveva la mammografia dalla quale risultava la presenza di un tumore maligno in fase avanzata e si rendeva quindi necessaria una mastectomia radicale con linfoadenectomia ascellare e successiva chemioterapia per far regredire la massa tumorale che intanto si era evoluta.
 
La sentenza

Per i giudici della quarta sezione penale, l'errore diagnostico per l'intempestiva diagnosi di un tumore è causa dell'evento dannoso perché, secondo la scienza medica, è necessario diagnosticare sollecitamente le patologie tumorali, posto che la loro prognosi varia a seconda della tempestività con la quale sono state accertate.

L'errore diagnostico è non solo quando il primo medico, in presenza di determinati sintomi, non riesca a inquadrare il caso clinico in una patologia nota o lo inquadra in maniera errata, ma anche quando non esegue tutti i controlli e gli accertamenti per procedere a una diagnosi corretta e il medico è penalmente responsabile anche quando la sua omissione contribuisce alla progressione del male.

La Corte di cassazione, giudicando di un'ipotesi di errore diagnostico rispetto a un carcinoma mammario, ha ritenuto opportuno anche ricordare quali sono le regole che governano l'accertamento della responsabilità in caso di comportamento omissivo.

“In proposito – si legge nella sentenza - gioverà ricordare che, in caso di comportamento omissivo, l'accertamento della responsabilità e, in particolare, la verifica della sussistenza del nesso di causalità sono sottoposti a regole identiche a quelle applicabili in caso di comportamento commissivo, essendo i due tipi di comportamento strettamente connessi, dato che, nella condotta omissiva, nel violare le regole cautelari, il soggetto non sempre è  assolutamente inerte, ma non infrequentemente pone in essere un comportamento diverso da quello dovuto, cioè da quello che sarebbe stato doveroso secondo le regole della comune prudenza, perizia e diligenza”.

Secondo la Cassazione l'unica distinzione è nella necessità, in caso di comportamento omissivo, di fare ricorso, per verificare il nesso di causalità, a un giudizio controfattuale “meramente ipotetico (dandosi per verificato il comportamento invece omesso), anziché fondato sui dati della realtà; infatti, nel caso di comportamento omissivo, è solo con riferimento alle regole cautelari inosservate che può formularsi un concreto rimprovero nei confronti del soggetto e verificarsi, con giudizio controfattuale ipotetico, la sussistenza del nesso di causalità”.

“In tema di nesso causale nei reati omissivi – prosegue la Cassazione - non può escludersi la responsabilità del medico il quale colposamente non si attivi e contribuisca con il proprio errore diagnostico a che il paziente venga a conoscenza di una malattia tumorale, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, laddove, nel giudizio controfattuale, vi è l'alta probabilità logica che il ricorso ad altri rimedi terapeutici, o all'intervento chirurgico, avrebbe determinato un allungamento della vita, che è un bene giuridicamente rilevante anche se temporalmente non molto esteso”.

Respinta anche la richiesta di “colpa lieve” secondo la legge Balduzzi sia dalla Corte di appello che dalla Cassazione, la sentenza respinge tutti i motivi di ricorso dei medici (oncologo e chirurgo)  e li condanna alla refusione delle parti civili e al pagamento delle spese.

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