quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Giovedì 04 LUGLIO 2019
Antitrust 2018: la Relazione annuale rileva per la sanità i casi di tre Regioni, le incongruenze della legge di Bilancio e le difficoltà nella determinazione dei prezzi dei farmaci. E difende le parafarmacie

Un commento anche sull'intelligenza artificiale per la quale l'Antitrust sottolinea la necessità di favorire lo sviluppo di un diffuso clima di fiducia che possa incentivare sia le imprese che i singoli cittadini a utilizzarla. per non frenare gli investimenti finalizzati allo sviluppo delle innovazioni. LA RELAZIONE.

L’Antitrust nel 2018 ha effettuato 63 interventi di segnalazione e di consulenza per varie attività economiche e di queste 3 riguardano la sanità (tre Regioni: Sicilia, Basilicata e Puglia) per la quale ha effettuato anche due interventi sul totale dei 21 dello scorso anno.

E ha proseguito il lavoro di monitoraggio della propria attività di advocacy, avviato nel 2013, per poter rilevare il livello di efficacia dei propri interventi di segnalazione e consultivi.
 
In questo senso nella Relazione Annuale sull'attività svolta nel 2018, illustrata nei giorni scorsi, per la sanità l’Authority ricorda il caso della Sicilia, sulla definizione dei criteri per la determinazione degli aggregati di spesa per l’assistenza specialistica da privato in cui ha espresso un parere in merito ai problemi concorrenziali derivanti dal decreto assessorile della stessa Regione Sicilia n. 743/2018 “Sostituzione dell’articolo 2 del DA n. 2777 del 29 dicembre 2017 relativo alla determinazione degli aggregati di spesa per l’assistenza specialistica da privato - anno 2017”. In questo l’Autorità ha evidenziato la mancata definizione tempestiva e preventiva dei criteri per individuare gli aggregati di spesa e ripartire il budget per le prestazioni sanitarie erogate a livello regionale dai laboratori privati convenzionati, per il 2018 e per gli anni successivi, in maniera idonea a valorizzare adeguatamente aspetti prestazionali dell’attività, sul piano quali/quantitativo.
 
L’Autorità ha quindi auspicato che la Regione Sicilia intervenga tempestivamente in modo da definire quanto prima nuovi criteri di attribuzione del budget per le strutture sanitare private convenzionate che, tanto per il 2018 che gli anni successivi, consentano di seguire un approccio più attento alla valutazione della performance.
 
Per quanto riguarda la concorrenza, la Relazione sottolinea un processo virtuoso che, passando dal miglioramento qualitativo dei beni e dei servizi, permette alle imprese di ridurre il loro prezzo finale, con ricadute benefiche sui consumatori e sull’intero sistema produttivo. Benefici economici storicamente accompagnati alla diffusione di migliori condizioni igienico-sanitarie, all’innalzamento del tasso di istruzione e al miglioramento delle condizioni culturali in un’area sempre più vasta del pianeta.
 
Un capitolo importante lo dedica poi all’intelligenza artificiale (IA) per la quale sottolinea la necessità di favorire lo sviluppo di un diffuso clima di fiducia che possa incentivare sia le imprese che i singoli cittadini a utilizzarla.
 
In questa ottica, la Commissione si è posta come obiettivo la creazione di un mercato unico digitale, anche attraverso la presentazione di alcune proposte normative come il regolamento sulla libera circolazione dei dati non personali, la proposta di regolamento sull’e-privacy e quella per una legge sulla sicurezza informatica, che potranno contribuire a rinforzare la fiducia dei cittadini nei confronti dei mercati online.
 
Un mercato unico digitale ha infatti bisogno di regole certe, comuni e condivise: l’esistenza di regolazioni non omogenee o, addirittura, fra loro confliggenti è – secondo un’indagine condotta presso le principali società europee attive nei settori alimentare, sanitario, idrico e dell’energia – uno dei principali freni agli investimenti finalizzati allo sviluppo delle innovazioni.
 
Focus anche sulla legge di Bilancio 2019, in cui secondo l’Antitrust diverse disposizioni presentano criticità che vanno a ridurre il livello di concorrenzialità dei mercati.
 
Alcune norme sono state già oggetto di una segnalazione durante l’iter di approvazione della legge, ma, sottolinea l’Antirust, “sono rimaste inascoltate”.
 
L’Autorità si riferisce in particolare, alle comunicazioni informative in ambito sanitario, per le quali viene espressamente escluso che le stesse possano contenere elementi di carattere promozionale o suggestivo.
 
La norma vieta sostanzialmente la pubblicità sanitaria, privando le imprese di un’importante leva competitiva e di stimolo al miglioramento della qualità del servizio – si pensi, ad esempio, alle strutture sanitarie – e i pazienti/consumatori di uno strumento in grado di colmare le gravi asimmetrie informative che ancora caratterizzano il settore.
 
Questa nuova disciplina rappresenta secondo la Relazione un netto passo indietro rispetto al processo di liberalizzazione più volte auspicato dalla stessa Autorità, che aveva portato a delineare un quadro normativo che bilanciava le esigenze di tutela della salute del consumatore con l’interesse generale della tutela della concorrenza.
 
Allo stesso modo, la norma che, in caso di violazione dei limiti sulle comunicazioni informative in ambito sanitario, attribuisce la competenza ad adottare eventuali provvedimenti sanzionatori all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, contrasta con la competenza esclusiva dell’Autorità in materia di pratiche commerciali scorrette in tutti i settori, compresi quelli regolati, e rischia di provocare un conflitto di competenze tra le due Istituzioni.
 
Sempre per quanto riguarda l’ambito sanitario, l’Autorità rileva che la legge ha anche introdotto “ingiustificate restrizioni” all’esercizio dell’attività di direttore sanitario delle strutture sanitarie private, imponendo a quest’ultimo di essere iscritto all’Ordine territoriale nel cui ambito ha sede la struttura in cui opera: tale imposizione rappresenta una ingiustificata restrizione della concorrenza nell’offerta dei servizi professionali in ambito sanitario, che non appare supportata da obiettive esigenze di tutela di altri interessi generali.
 
Nel mercato dei farmaci la Relazione ricorda in particolare l’intervento di enforcement nel caso Aspen (un procedimento avviato nei confronti di del gruppo farmaceutico Aspen per verificare l’ottemperanza dell’azienda farmaceutica al provvedimento di condanna del 2016 per abuso di posizione dominante nella vendita di farmaci antitumorali) contro pratiche abusive messe in atto dall’impresa in posizione dominante, ha permesso di ridurre il prezzo di vendita dei farmaci, con ricadute benefiche sia sui consumatori (e, in particolare, su una fascia particolarmente debole di consumatori, rappresentata dalle persone non in salute) che sul Sistema Sanitario Nazionale.
 
Ad avviso dell’Autorità, il caso Aspen è emblematico nel dimostrare come l’attuale disciplina del processo di negoziazione del prezzo dei farmaci crei uno squilibrio fra AIFA e le società farmaceutiche, a tutto favore di queste ultime.
 
Infatti, spiega la Relazione, anche dove la trattativa fra AIFA e l’impresa farmaceutica non giunga a un accordo, il farmaco viene comunque inserito nella fascia di prezzo libero (fascia C), facendo salva la posizione commerciale sul mercato italiano dell’impresa farmaceutica (senza rimborso da parte del SSN).
 
Allo stesso tempo, gli oneri economici dell’acquisto finiscono per gravare, sottolinea l’Antitrust,  interamente sui pazienti, ovvero su fondi regionali non rientranti nel fondo sanitario nazionale.
 
“A ciò si aggiunge – si legge nella relazione - che l’attuale quadro regolamentare favorisce la sussistenza di una marcata asimmetria informativa, a vantaggio dell’industria farmaceutica, nella definizione delle variabili di costo rilevanti; tale asimmetria può essere utilizzata dalle case farmaceutiche per incrementare in modo del tutto ingiustificato il prezzo di un farmaco già in commercio (o per definire un nuovo prezzo di un farmaco in fase di prima immissione), a scapito dei pazienti”.
 
In questa prospettiva, l’Autorità ha anche valutato positivamente alcune disposizioni contenute nella legge di bilancio 2019, che mirano a riequilibrare le asimmetrie di potere contrattuale fra AIFA e le case farmaceutiche. Il riferimento è, in particolare, alla norma che prevede l’adozione di un decreto ministeriale che detti nuovi criteri di negoziazione dei prezzi dei farmaci  e a quella che ha previsto la possibilità per l’AIFA di riavviare la negoziazione con l’azienda titolare di un farmaco – prima della scadenza dell’accordo esistente – in relazione a possibili aumenti dei ricavi totali dovuti all’incremento dell’utilizzo del farmaco, ovvero a un peggioramento del rapporto costo/beneficio rispetto ad altri farmaci presenti sul mercato.
 
L’Autorità auspica che la futura disciplina sia in grado di rimuovere le distorsioni sopra richiamate, con conseguenti benefici per il Sistema Sanitario Nazionale e per i consumatori.
 
La Relazione ricorda poi l’istruttoria avviata nei confronti delle tre società (GE, Siemens, Philips) attive in Italia nella produzione di apparecchiature di diagnostica per immagini. In particolare, il procedimento mira a verificare se le tre società abbiano posto in essere delle condotte finalizzate a ostacolare l’ingresso e la permanenza nell’attività di manutenzione di soggetti indipendenti, precludendo, in tal modo, la possibilità di risparmiare alle strutture sanitarie e, in particolar modo, al Servizio Sanitario Nazionale.
 
Per quanto riguarda la sanità, la Relazione Sanità cita altri due pareri che riguardano attività regionali.
 
Il primo è sull’accreditamento delle strutture sanitarie della Basilicata in cui ha dichiarato improcedibile l’istanza di accreditamento istituzionale di una società già autorizzata, nelle more della ridefinizione dei criteri di determinazione del fabbisogno delle prestazioni specialistiche e strumentali ambulatoriali.
 
L’Autorità ha rilevato che subordinare per un tempo considerevole e dalla durata indeterminata, l’accreditamento (e poi il convenzionamento) di una struttura sanitaria, già autorizzata, alla nuova definizione del fabbisogno da parte della Regione, che tuttavia rimane intanto inerte, ha l’effetto di consolidare l’offerta nelle mani degli operatori convenzionati, pubblici o privati, già esistenti e di ridurre l’offerta di servizi sanitari/ambulatoriali a scapito dell’efficienza e dell’innovazione della rete di assistenza.
 
L’altra Regione è la Puglia su cui l’Antitrust si è espressa su pareri negativi della Regione in merito all’installazione di apparecchiature RMN e TAC in strutture autorizzate dell’ASL di Bari.
 
L’Autorità ha ritenuto che simili atti amministrativi introducano restrizioni all’offerta di prestazioni sanitarie in regime privatistico che non appaiono giustificate da esigenze imperative di interesse generale né proporzionate all’obiettivo da perseguire.
 
I cittadini, sottolinea l’Antitrust, devono poter scegliere liberamente il luogo di cura e i professionisti cui rivolgersi. Inoltre, l’obbligo di effettuare la verifica regionale di compatibilità “in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale”, deve essere interpretato in modo da non impedire agli operatori di offrire autonomamente mezzi e strumenti di cura e assistenza sul territorio in regime privatistico, con corrispettivo unicamente a carico degli utenti.
 
In caso contrario, sottolinea l’Autorità, una politica di contenimento dell’offerta sanitaria si tradurrebbe in un privilegio per gli operatori del settore già presenti sul mercato.
 
In conclusione, l’Autorità ha ritenuto che i dinieghi all’autorizzazione rilasciati dalla Regione Puglia, in attuazione della disciplina regionale in materia di autorizzazioni alla installazione di nuove apparecchiature medicali, integrino specifiche violazioni dei principi concorrenziali in quanto limitano l’esercizio dell’attività sanitaria esclusivamente privata, e dunque non a carico del SSN, in assenza di esigenze di interesse generale, con conseguente lesione del principio della libera scelta del luogo di cura e dei professionisti a cui rivolgersi.
 
Infine, una nota nella Relazione riguarda anche il convenzionamento delle parafarmacie per la vendita di dispositivi medici e di alimenti per fini medici.
 
Secondo  l’Autorità,  le singole Regioni adottano prassi differenziate sull’autorizzazione alla vendita al pubblico a carico del SSN dei dispositivi medici, dei prodotti per diabetici e degli alimenti per fini medici specifici.
 
La Relazione spiega che l’Antitrust ha sottolineato in più occasioni la rilevanza del canale delle parafarmacie nello sviluppo della concorrenza nel settore della distribuzione e vendita di prodotti farmaceutici e dell’erogazione dei servizi per le prestazioni sanitarie, rilevando come escludere le parafarmacie dalla possibilità – riconosciuta alle farmacie – di offrire prodotti e servizi idonei ad ampliare la gamma della propria offerta al pubblico, e conseguentemente ad attrarre maggiore clientela presso il proprio punto vendita, sia lesivo delle norme e dei principi a tutela della concorrenza. 
 
Giudizio negativo quindi, sul piano della concorrenza, per quanto riguarda il rifiuto da parte di alcune Regioni di convenzionarsi con le parafarmacie per la vendita di dispositivi medici e di alimenti per fini medici specifici: “tale prassi – sostiene l’Antitrust - risulta attuativa di una discriminazione tra diversi canali di vendita, che determina un pregiudizio ai consumatori in termini di limitazione del numero dei punti vendita presso i quali rinvenire un determinato prodotto”.
 
L’Autorità ha evidenziato che questa discriminazione non ha fondamenti normativi e, inoltre, le Regioni possono, tramite degli accordi stipulati a livello locale, erogare questi prodotti utilizzando il canale distributivo delle farmacie in via prioritaria, ma non esclusiva. Ciò implica che la loro erogazione a carico del SSN possa avvenire anche da parte di altri esercizi che possono stipulare accordi con le Regioni. 
 
L’Autorità, quindi, ha ritenuto che l’esclusione delle parafarmacie non può giustificarsi nella tutela della salute dei cittadini, dal momento che la legge impone anche all’interno di queste  la presenza di un farmacista, che possiede le competenze ritenute necessarie dall’ordinamento a garantire il presidio sanitario richiesto dal SSN a tutela dei cittadini.
 
E per questo ha invitato i destinatari del parere (Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, ministero della Salute e ASP Catania) ad adottare  provvedimenti che consentano alle parafarmacie come per le altre farmacie, “la vendita in convenzione di dispositivi medici e alimenti per fini medici specifici”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA