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Sabato 20 LUGLIO 2019
La Sanità e il PD. Un’agenda alquanto generica e con assenze eclatanti



Gentile Direttore,
il Partito Democratico ha avviato, nel corso dell’Assemblea nazionale, la Costituente per le idee, con un documento che riguarda anche la sanità, pubblicato integralmente sul vostro quotidiano. Si tratta di un indubbio passo avanti, poiché tale tematica era, in sostanza sparita, dal dibattito politico e dai programmai elettorali del Pd e dalla stessa “memorialistica” dei diversi leader o e segretari, che a tale questione  hanno dedicato assai poca (o punta) attenzione.
 
Le proposte che vengono avanzate sono per lo più condivisibili, quanto generiche e talora ovvie, un po’ del tipo “meglio essere benestante e sano che povero e malato…”. Chi negherebbe l’opportunità di un piano nazionale per le cure odontoiatriche o per i primi 1000 giorni del bambino o l’indennità di cura per le persone non autosufficienti?
 
Quello che lascia perplessi è la genericità di alcune proposte.
 
Mi riferisco in particolare all’assunzione di 100 mila operatori sanitari in 3 anni. Condivido la proposta, ma bisogna dire, con un po’ meno di vaghezza, quali siano le priorità.
 
1. Per i medici la priorità non  è la loro numerosità, ma la revisione  degli accessi alla specializzazione (come specificato) che comporta una ridiscussione e ridefinizione dei rapporti con l’Università (argomento non accennato!). In un mondo che si confronta  e si pone il tema del rapporto scuola – lavoro non è possibile che la determinazione del fabbisogno di professionisti in base alle diverse specializzazioni segua prevalentemente – o sostanzialmente – criteri interni all’Accademia e che l’Agenda non venga invece dettata dal fabbisogno del Servizio sanitario nazionale, con una totale apertura degli ospedali e delle strutture sanitarie territoriali alla formazione specialistica.
 
2. Per i medici di medicina generale risulta ormai urgente mettere mano ai criteri fondativi della convenzione, per indirizzare e incentivare la medicina di gruppo, rivedendo anche le modalità di formazione di tali professionisti.
 
3. L’assente, in questa breve proposta del Pd sul personale sanitario è l’infermiere, termine che non appare neanche nel documento.  E invece, come noto e documentato, è il punto critico del nostro Ssn, che ha un numero di infermieri rispetto alla popolazione fra i più bassi d’Europa! Questa è la vera priorità, in termini di acquisizione, e formazione, di personale.
 
Quello che invece lascia contrariati è l’assenza di due punti centrali del dibattito politico sulla sanità: il regionalismo differenziato e il cosiddetto secondo pilastro (e welfare aziendale).
 
Regionalismo differenziato
Mi rendo conto di un notevole imbarazzo sul tale problematica, poiché da decenni questa forza politica ha avuto atteggiamenti confusi e contraddittori, segnati da una serie di iniziative autolesioniste quando non veri e propri “caporetto”. La storia ha inizio nel 2001 con l’audace riforma del Titolo V della Costituzione, nella furba (e irrealistica) ipotesi di sbarrare il passo alla Lega.
 
Segue poi un’alternata responsabilità in qualità di partito di maggioranza relativa e di governo, incapace di riportare al centro il Parlamento e la sua funzione di garante di una politica nazione, la sua capacità nel riconoscere e promuovere le autonomie locali, nell’attuare nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo e nell’adeguare i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento, come recita l’articolo 5 della nostra Costituzione.
 
Un ulteriore passaggio prende corpo inserendo, far le numerosissime, diversificate e confuse modifiche costituzionali, anche una riscrittura del Titolo V, volta a limitare le autonomie regionali proprio, come frequentemente esplicitato nel dibattito referendario, per evitare che la sanità si mantenesse spezzettata in 21 sistemi sanitari “con differenze nella disponibilità dei farmaci per i malati di tumore”. Ricordate questi slogan?
 
Dopo la caporetto referendaria assistiamo a un rapido cambio di casacca di molti politici e amministratori Pd, che sposano il regionalismo differenziato.
 
Nel febbraio del 2018 infine il governo Gentiloni affida all’attivissimo – in tal campo - sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianclaudio Bressa (veneto, da rieleggere in Regione a statuto speciale con accordo Pd - SVP), la firma dell’accordo preliminare che dà, come dire, la stura all’attuale confronto con le tre Regioni. Un atto illegittimo (politicamente) e inopportuno (istituzionalmente) per un Governo dimissionario e quindi delegato alla ordinaria amministrazione!
 
Questa breve disanima per comprendere l’imbarazzo del Pd su tale tema, che tuttavia non può essere superato con il silenzio, ma con una disanima di diverse opzioni e con – almeno - alcune indicazioni di massima. Nel dibattito vi sono posizioni critiche o contrarie all’attuale proposta, che vanno dalla assoluta necessità di non collocare la sanità fra le materie del regionalismo differenziato, stante che  l’attuale ordinamento regionale offre ampia autonomia e decentramento su tale problema, al riconoscere che varie istanze poste dalle tre Regioni  sono legittime, ma comuni anche alle altre e che, pertanto, necessitano di una risposta a livello nazionale; successive specifiche articolazioni regionali debbono essere controbilanciate da un rafforzamento della governance nazionale.
 
Almeno di tali posizioni dovrebbe dare atto il documento, affermando che le ipotesi attuali comportano invece, in questo, come su altri settori, una rottura dei canoni fondamentali di eguaglianza e di solidarietà.
 
Secondo pilastro
Anche su tale questione non sarebbe logico attendersi, da un primo documento che vuole avviare un confronto, una posizione definita. Tuttavia si resta sconfortati dall’assoluto silenzio, dopo che su tali problematiche e su proposte e documenti del settore assicurativo esponenti ed esperti prossimi al Pd hanno avuto, come dire, un forte “collateralismo” !
 
Anche qui le ipotesi sono diversificate: si va da ritenere ogni spazio per prestazioni integrative inopportuno, poiché indebolisce la spinta ad un ampliamento dell’offerta (dei Lea) del Ssn, al sostenere che solo le prestazioni integrative siano meritevoli di sostegno fiscale, purché si definisca chiaramente a livello nazionale cosa sia integrativo e sostitutivo, al privilegiare infine solo quelle attività integrative che vengano svolte a livello territoriale, di comunità e non solo su categorie professionali etc.
 
Questa breve elencazione non offre, ovviamente, un quadro complessivo, ma dà atto che vi sono diverse posizioni; necessiterebbe quindi, da parte di una forza politica, che venisse tracciata una line di confine, un chiaro distinguo.
 
Quello che viene attualmente proposto, e fortemente sostenuto, è invece un sistema misto: un neo sistema mutualistico  che copra la diagnostica, la specialistica e alcune ulteriori attività (le più lucrose) affiancato da un sistema pubblico per i grandi rischi e residuale per chi non sia coperto dal sistema assicurativo – mutualistico: pensionati, disoccupati, lavori precari, giovani etc..
 
Poi si intravede una diffusione della defiscalizzazione al sistema assicurativo sanitario nel suo complesso (una richiesta esplicita dell’ANIA) e l’uscita dalla fiscalità generale  (opting out) da parte degli assicurati, come sostenuto, in modo esplicito, da vari economisti (Francesco Giavazzi, Alberto Alesina, Nicola Rossi etc…).
 
La Flat Tax servirà anche a questo. Oggi la sanità, domani la scuola. Almeno su questo il Pd batta un colpo!
 
Marco Geddes da Filicaia

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