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Martedì 30 LUGLIO 2019
Chiropratici. L'Aic presenta alle Regioni la road map verso la laurea magistrale quinquennale

L’Associazione Italiana Chiropratici ha avviato una serie di colloqui con i vertici sanitari delle Regioni per sensibilizzare assessorati e Presidenti sulla necessità di formare i dottori Chiropratici Italiani nel solco di quanto avviene a livello internazionale. Williams: “Italia si doti di stesso percorso formativo di Paesi Ue ed extra Ue”

Una Road Map per sensibilizzare le istituzioni sulla necessità di formare i dottori Chiropratici Italiani nel solco di quanto avviene a livello internazionale.
 
È quanto ha tracciato l’Associazione Italiana Chiropratici che ha avviato una serie di colloqui con i vertici sanitari delle Regioni per sensibilizzare assessorati e Presidenti sulla necessità di formare i dottori Chiropratici Italiani nel solco di quanto avviene a livello internazionale.
 
Nella “road map” dell’Associazione, l’unica accreditata presso gli Enti rappresentativi internazionali della professione, si offre un contributo per illustrare ai decisori politici le numerose analisi costi benefici redatte e pubblicate a livello mondiale in ambito sanitario. Ricerche concordi sul fatto che la chiropratica riveste un ruolo fondamentale nella lotta alle patologie dell’apparato muscolo scheletrico con benefici in termini di risparmio di ore lavorate, costi farmaceutici evitati e benefici a livello amministrativo.
 
Il presidente dell’AIC, John Williams, ha già incontrato i vertici della sanità regionale di Sicilia, Toscana e Lombardia, e ora si appresta a relazionare in Piemonte, rispetto alla necessità di un’adeguata formazione dei dottori chiropratici. “Un percorso formativo che sia in linea con l’esperienza dei principali Paesi europei ed extra europei, dove l’unica formazione prevista è la Laurea Magistrale della durata di cinque anni”.
 
“Questa serie di incontri si è resa necessaria perché le Regioni, insieme al Consiglio Superiore di Sanità, rivestono un ruolo chiave nella predisposizione del parere tecnico che verrà inoltrato al Miur – spiega il Presidente John Williams – e che dovrà dirimere la questione del sostanziale declassamento tecnico del chiropratico in Italia, unico caso al mondo, così come paventato dalle recenti proposte di riforma delle professioni sanitarie”.
 
Le osservazioni alla proposta del Ministero della salute sul profilo professionale del chiropratico riscontrano infatti alcune criticità che in Italia porrebbero la professione chiropratica e la relativa formazione, al di fuori dei livelli richiesti nel resto dei paesi europei dove è già disciplinata da molti anni. La conseguenza principale di questa scelta metterebbe in serio rischio la salute di coloro che si rivolgessero ad un chiropratico in Italia, oltre che a creare un’enorme mole di contenzioso giudiziario.
 
Secondo l’Associazione, come più volte illustrato nelle sedi competenti, un’adeguata formazione per un chiropratico richiede minimo una laurea magistrale (OMS, CEN, IFEC, Università di Zurigo) mentre una laurea triennale sarebbe del tutto inadeguata all’esercizio sicuro della professione, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica.
 
Ecco alcuni passaggi tecnico-legislativi e relative proposte dell’Associazione Italiana Chiropratici alla bozza di profilo presentata dal Ministero:
 
1. In primo luogo si contesta l’inserimento nel profilo del riferimento alla laurea triennale universitaria abilitante di cui all’art. 1, comma 1.
Come più volte illustrato nelle sedi competenti, un’adeguata formazione per un chiropratico richiede minimo una laurea magistrale (OMS, CEN, IFEC, Università di Zurigo) e una laurea triennale sarebbe del tutto inadeguata all’esercizio sicuro della professione, con gravi ripercussioni sulla salute pubblica.
Tale riferimento sarebbe, inoltre, anche contrario alla normativa vigente poiché l’art. 7 della legge n. 3/18, non ha abrogato la precedente legge n. 244 del 2007, art. 2, comma 355, che prevedeva il conseguimento della laurea magistrale in chiropratica per l’iscrizione al registro istituito presso il Ministero della salute (ora albo dopo la riforma degli Ordini).
Né può ritenersi che vi sia stata abrogazione tacita dell’articolo suddetto in quanto esso non è incompatibile con la seguente norma del 2018, che si limita a richiamare l’art. 5 della legge 43/06, come modificato dalla stessa legge 3/18, art. 6, al solo fine di indicare la procedura da seguire per completare la regolamentazione della professione chiropratica quale appartenente all’area sanitaria e non inserisce espressamente la chiropratica nella suddetta legge.
Al contrario, l’art. 7 della l. 3/18 conferma quanto contenuto nella norma del 2007 stabilendo, di nuovo, che la chiropratica appartiene all’ambito delle professioni sanitarie.
 
Ad abundantiam si rileva che né nella legge 43/06, né nella legge 251/2000, è presente alcun riferimento od obbligo all’istituzione di lauree triennali per le professioni sanitarie esistenti o nuove appartenenti alle aree ivi individuate. Semplicemente, le leggi richiamate si sono trovate a dover dare indicazioni per la trasformazione ed il riconoscimento dei titoli già conseguiti da alcune figure professionali (infermiere, ostetrica, fisioterapista, ecc. ) che, riconosciute dallo Stato, si erano formate sotto i vecchi corsi di studio, i quali prevedevano il conseguimento di meri diplomi.
Nessun limite specifico al percorso universitario delle nuove professioni è dato trovare nelle norme di cui alla legge 43/06 e 251/2000.
 
2. Del tutto superflua e priva di reale efficacia è la frase “in riferimento alla diagnosi di competenza medica” contenuta all’art. 2), comma 1, della proposta del Ministero della salute.
 
Tale frase, foriera di un importante contenzioso giudiziale per la formulazione ambigua, non risponde nemmeno alla normativa di riferimento poiché né nella legge del 2007 (art. 2, comma 355), né nelle leggi del 2000 e del 2006 sopra richiamate è prevista una tale affermazione.
 
La legge 251 del 2000 si limita a stabilire che i professionisti appartenenti alle aree ivi individuate “svolgono con titolarità e autonomia professionale” le proprie competenze.
Nella formulazione del profilo professionale è chiaro che il chiropratico dovrà occuparsi solo della valutazione dei problemi neuromuscoloscheletrici e della relativa cura secondo i principi propri della professione chiropratica, non dovrà prescrivere farmaci né effettuare interventi chirurgici.
 
La diagnosi medica, del tutto diversa in base ai principi della professione, è di competenza di coloro che hanno conseguito una laurea in medicina e chirurgia e si sono iscritti al relativo albo, non vi è alcun dubbio.
E’ evidente la differenza tra le due attività segnata anche dal divieto posto dall’art. 5 della legge 43/06, come riformulato dalla legge 3/18, che impedisce la sovrapposizione di competenze con quelle di professioni già riconosciute.
 
L’introduzione della frase “in riferimento alla diagnosi medica” nella sua ambiguità comporterebbe, di fatto, un’impossibilità per i professionisti chiropratici di svolgere serenamente il proprio lavoro poiché in tutti i casi in cui il paziente si rivolge legittimamente loro in via diretta senza prima rivolgersi ad un medico, sarebbero esposti alla possibilità di una denuncia penale per abuso di professione e, vista la riforma delle pene effettuate proprio dalla legge 3/18, si verificherebbe nella realtà quello che si sta verificando con le denunce nei confronti dei medici per errori presunti e presunta responsabilità professionale.
 
Pertanto, soltanto il profilo professionale basato sulla laurea quinquennale garantirebbe la possibilità di individuare compiutamente le competenze del chiropratico senza ambiguità e la definizione di un ordinamento didattico proprio di una laurea magistrale da parte del MIUR di concerto con il Ministero della salute.

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