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Venerdì 30 AGOSTO 2019
Il principio dell’“affidamento” limita la responsabilità penale nell’équipe chirurgica. Rinviata alla Corte di Appello la condanna per omicidio colposo di un chirurgo

La Cassazione (quarta sezione penale, sentenza 30626/2019) ricorda come il principio dell'affidamento consenta di confinare l'obbligo di diligenza entro limiti compatibili con la personale responsabilità penale. Quindi un medico può non essere ritenuto responsabile di un evento dannoso quando questo può essere attribuito alla condotta esclusiva di qualcun altro, contitolare di una posizione di garanzia, e su cui il primo abbia fatto affidamento. LA SENTENZA

Il “principio dell’affidamento” è quello che vale per determinare in una équipe il livello di responsabilità entro limiti compatibili con il carattere personale della responsabilità penale previsto dall'art. 27 della Costituzione, secono il quale, tra le altre indicazioni, La responsabilità penale è personale).

Quindi il medico che anche sia il titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente e per questo tenuto giuridicamente a impedire eventi dannosi, può non essere ritenuto responsabile di un evento dannoso, appunto, quando questo  può essere attribuito alla condotta esclusiva di qualcun altro, contitolare di una posizione di garanzia, e su cui il primo abbia fatto affidamento.

A stabilirlo la Cassazione, quarta sezione penale, che con la sentenza 30626/2019 ha annullato, con rinvio della condanna in Corte di Appello, la condanna di uno dei due chirurghi di un’équipe che avevano operato una donna deceduta per una sindrome da disfunzione multiorgano.

Il fatto
Due chirurghi con gli incarichi rispettivamente di primario e di aiuto anziano, sono stati ritenuti responsabili del reato di omicidio colposo di una paziente, deceduta a causa di: una "Multi Organ Failure da polmonite a focolai confluente dal lobo inferiore del polmone destro e ad estensione del lobo superiore del polmone sinistro con stato settico; una grave insufficienza circolatoria per shock emorragico da sanguinamento intraepatico; una insufficienza epatica con ittero severo; una insufficienza renale acuta in paziente operata per colecistite cronica colesterolosica e calcolosa e più volte rioperata per complicanze locoregionali ed addominali con ematoma sottocapsulare del fegato interessante i segmenti VI, VII e VIII e infarto ischemico del lobo destro del fegato in esiti di flogosi peritonitica con diffusa situazione aderenziale prevalente a livello della loggia sovramesocolica, perforazione coperta della parete anteriore del duodeno poco distale alla papilla pregressa sede di tubo duodenostomico di Petzer.

I due medici, quali incaricati di eseguire l'intervento di colecistectomia laparoscopica, sono stati ritenuti responsabili di avere omesso, per negligenza, imprudenza e imperizia, di eseguire un controllo pre - operatorio con esofagastroduodenoscopia in presenza di pregressa gastrite emorragica da farmaci e malattie del tubo digerente (ulcera - gastrite) e per avere determinato, nel corso delle manovre di isolamento della colecisti e della lisi aderenziale, una discontinuazione della parete duodenale con conseguente peritonite da perforazione duodenale e di aver successivamente seguito, con negligenza, imprudenza e imperizia, un intervento di rafia di perforazione duodenale e toilette del cavo peritoneale per via laparoscopica quando invece si sarebbe dovuto procedere con l'asportazione dei margini della perforazione duodenale su tessuto sano ed operare una sutura in allargamento per meglio assicurarne la tenuta e un ulteriore intervento laparotomico di rafia di deiscenza di sutura di perforazione duodenale e toilette del cavo peritoneale mentre invece, in considerazione della presenza di recidiva di perforazione duodenale nella stessa sede dopo che questa era stata suturata, si sarebbe dovuto procedere a resezione gastroduodenale o escludente determinando una nuova (terza) perforazione/deiscenza.

I due chirurghi sono stati accusati anche di avere determinato, per negligenza, imprudenza e imperizia, l'insorgenza di un ematoma epatico con importante espansione nel corso dell'intervento effettuato successivamente a causa della presenza di una grave insufficienza epatica e compromissione generale multi - organo conseguente alla peritonite, alla sepsi prolungata e ai ripetuti interventi chirurgici, nel posizionamento dei divaricatori, delle spatole laparotomiche, nelle trazioni e manipolazioni chirurgiche sul fegato
dirette e indirette.
 
La sentenza
La Cassazione ha dato ragione al ricorso di uno dei due chirurghi sul ruolo da lui svolto nell'ambito dell'equipe medica, riguardo alla preminente responsabilità del capo - équipe, individuato nella persona del primario “alla stregua delle emergenze probatorie segnalate nel ricorso e in particolare delle dichiarazioni rese da quest'ultimo nel corso del dibattimento di primo grado che non sono state valutate nel loro complesso ma solo parzialmente.

Secondo la Cassazionel'iter motivazionale risulta viziato in relazione all'omessa verifica della sussistenza del nesso causale tra la condotta individuale posta in essere dal ricorrente e l'evento, in violazione delle regole cautelari che si assumono inosservate. Tale verifica da parte del giudice deve essere particolarmente attenta nella ipotesi di lavoro in equipe e, più in generale, di cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica, cioè in tutti i casi in cui alla cura del paziente concorrono, con interventi non necessariamente omologabili, sanitari diversi, magari ciascuno con uno specifico compito”.
 
“La delicatezza del tema – si legge nella sentenza - discende dalla necessità di contemperare il principio di affidamento  in forza del quale il titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, contitolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento, con l'obbligo di garanzia verso il paziente in forza del quale tutti i sanitari che partecipano contestualmente o successivamente all'intervento terapeutico”.
 
Secondo la Cassazione “in tema di colpa professionale, per l'affermazione della responsabilità penale del singolo sanitario operante in equipe chirurgica, è necessario non solo accertare la valenza con-causale del suo concreto comportamento attivo o omissivo al verificarsi dell'evento ma anche la rimproverabilità di tale comportamento sul piano soggettivo secondo i noti criteri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di colpa”.
 
E i giudici precisano anche che “in tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in équipe, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell'attività altrui, se del caso ponendo rimedio a errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze  scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell'intervento in cui i ruoli e i compiti di
ciascun operatore sono distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell'affidamento per cui può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di nvasione negli spazi di competenza altrui”.
 
“Nell'ambito dell'attività medica  - chiarisce la sentenza -  proprio il principio di affidamento consente infatti di confinare l'obbligo di diligenza del singolo sanitario entro limiti compatibili con l'esigenza del carattere personale della responsabilità penale, sancito dall'art. 27 Cost”.
 
Quindi la Cassazione ha accolto il ricorso ritenendo viziato l'iter motivazionale per l'omessa verifica del nesso causale tra la condotta individuale del ricorrente e l'evento, essendo emerso che al medico era stata addebitata la responsabilità per un errore riconducibile a un altro medico e non riscontrabile durante l'intervento per le manovre di posizionamento dei divaricatori.

Secondo la Cassazione il giudice deve essere particolarmente attento nel lavoro in équipe e, più in generale, di cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica, cioè in tutti i casi in cui alla cura del paziente concorrono, con interventi non necessariamente omologabili, sanitari diversi, magari ciascuno con uno specifico compito e deve essere compiuta un’attenta verifica del nesso causale rispetto al ruolo di ciascuno non potendo configurare una responsabilità di gruppo in base a un ragionamento aprioristico.

La sentenza impugnata ha anche omesso secondo la Cassazione di appurare se e in quale misura la condotta del ricorrente si sia discostata dalle linee guida di settore o dalle buone pratiche clinico-assistenziali.

Per questo la Cassazione “annulla la sentenza impugnata” limitatamente al ricorrente “con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello per nuovo giudizio”.
 

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