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29 SETTEMBRE 2019
Anno dell’Infermiere. Se non ora, quando?



Gentile Direttore
mi riferisco al dibattito dominante e crescente in questi mesi circa la numerosità dei medici e dei medici specialisti in Italia. I dati Ocse, Eurostat, del Ministero della Salute appaiono ben chiari. Pur considerando le proiezioni, le classi di età e tanto altro, ci pongono tuttora ai vertici per numerosità di medici  al mondo. In altre parole, i medici non sono pochi, tranne per talune specializzazioni ed alcune aree del paese. Appare evidente anche dal dibattito interno alla stessa professione medica come il problema sia legato, quanto meno in qualche misura anche alla mancata capacità assunzionale, evento che ha portato ad espatriare migliaia di operatori sanitari (medici, infermieri, tecnici, etc.) negli ultimi 10 anni.
 
Il combinato disposto tra grande interesse mediatico che talvolta porta i giornalisti a disegnare scenari apocalittici e i peculiari correttivi contingenti proposti da più parti, politiche ed istituzionali, sulla base degli allarmi lanciati da alcune organizzazioni della categoria medica, quali l’abolizione di numero chiuso, l’assunzione di medici non specializzati, deroghe per età ed orari di lavoro, l’incremento indiscriminato di posti in specializzazione, un vero e proprio mix esplosivo di proposte che fa ipotizzare scivolosi piani inclinati anche legati al rischio clinico, come palesato dalle stesse organizzazioni mediche sindacali di categoria.
 
Tali proposte - a chi scrive - appaiono intrise di una visione dell’Italia e del suo quadro demografico – epidemiologico, perennemente ancorata al passato, in una visione della salute ospedalo-centrica ed in particolare medico-centrica.
 
Decisamente timide sono le premesse di mutamento, connotate spesso da genericità ed alto gradiente interpretativo, così come presentate nelle bozze, meritoriamente pubblicate da Quotidiano Sanità del Patto della Salute e nel documento delle regioni.
 
Appare chiaro ai più che, tranne diverse ma sporadiche esperienze territoriali, non si è mai realizzata in Italia, se non ipotizzata su carta -piani triennali, patti, documenti, tavoli di lavoro e tanto altro-, una vera transizione evolutiva del Servizio Sanitario, fallimento dovuto anche alle limitazioni riconducibili anche alla regionalizzazione dei sistemi sanitari.
 
Sistemi sanitari davvero riorientati verso la promozione della salute, le cure primarie, le attività di prevenzione e di assistenza di comunità, di territorio, di famiglia e che tengano conto della digitalizzazione: questo muterebbe radicalmente l’organizzazione e conseguentemente le funzioni in carico ai medici, agli infermieri e alle altre professioni sanitarie.
 
Solo questo “radicale” passaggio potrà garantire la sostenibilità dello stesso. E questo mutamento non può essere fatto con il passo del pinguino o come quello del gambero: tornare indietro invece che innovare.
 
Ma vi è di più non può essere fatto lasciando spazi amplissimi di non chiarezza nei documenti o non ascoltando con attenzione le istanze delle Associazioni scientifiche, regolatorie o sindacali dei professionisti e dei cittadini, o facendo, ad esempio, prevalere una categoria, rispetto all’interesse prioritario di salute.

Quel che meraviglia ancora di più è la poca capacità di intercettare pratiche che sono comuni e altamente apprezzate e pervasive in altre Nazioni. Tra queste pratiche,  fin dagli anni ’60, gli Stati Uniti e poi Canada, Svezia, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Irlanda, Spagna e tanti altri paesi hanno via via garantito il full scope of nursing practice – il pieno scopo della pratica infermieristica attraverso l’esercizio della pratica infermieristica avanzata  che prevede, con abilitazione all’esercizio professionale differenziata, anche l’autorità di poter prescrivere farmaci e presidi, in forma autonoma o interdipendente,  in pieno collegamento con l’attività che viene svolta per il paziente. Qualora applicato cosa significherebbe questo? Si arriverebbe ad una semplificazione della gestione delle cronicità, del wound care, delle stomie, di taluni esami diagnostici o di medicazioni avanzate, oltre alla possibilità ampia di esercitare una vera infermieristica di famiglia o garantire davvero le attività di primary care, con riverbero sicuramente positivo sulla funzionalità complessiva e sulla soddisfazione dell’utenza.

In questo, qualche elemento di confusione all’interno della stessa professione infermieristica tra competenze specialistiche, esperte, avanzate (che non sono per niente termini interscambiabili), il voler perseguire in alcuni contesti – regolatori, accademici e manageriali - una via tutta italiana, molto diversa dalle buone pratiche presenti in altri paesi, certamente non ha facilitato il rapido sviluppo delle stesse. Anche il recente contratto, peraltro già in scadenza, non ha facilitato o chiarito il quadro..
 
Tutti gli studi presenti in letteratura, compresa una revisione Cochrane del 2018, mostrano ad esempio come i servizi di cure primarie gestite da infermieri anziché da medici portano a un “risultato di salute” dei pazienti simile o migliore e ad una maggiore soddisfazione dei pazienti. E’ dimostrato che l’utilizzo di infermieri al posto dei medici garantisce pari qualità ma con un approccio al paziente che per “filosofia” infermieristica è orientano alla salute ed al benessere complessivo, rispetto ad un focus più ampio sulla patologia del personale medico.
 
Naturalmente per esercitare nell’ambito dell’Advanced Practice Nursing anche quale prescrittore sono necessari infermieri con una formazione post-graduate decisamente diversa da quella odierna per garantire un corpus di competenze indispensabili per l’esercizio delle funzioni e la sicurezza del paziente.
 
Avremmo però a disposizione in tempi ragionevolmente brevi professionisti preparati in grado di garantire perfettamente e senza rischi, come ampiamente dimostrato in letteratura, i bisogni di salute di un ampio numeri di pazienti. In tale ambito va valutata positivamente anche la consistente riduzione dei costi e il beneficio complessivo sul sistema.
 
Per l’immediato, appare invece il caso di garantire organici adeguati di personale infermieristico, espandere i modelli infermieristici legati all’area emergenza-urgenza, quelli per le urgenze minori che hanno dimostrato di funzionare come il see and treat da estendere in tutte le regioni e  da attuare anche in area territoriale in forma evoluta, oltre all’infermieristica in ambito scolastico e di famiglia/comunità.
 
Garantire il pieno scopo della pratica infermieristica non significa quindi “prendere” competenze di altri, non significa mettere a rischio i pazienti, significa garantire appieno la salute ai cittadini, significa poter garantire assistenza infermieristica a livelli crescenti dalle cure fondamentali passando per le competenze specialistiche ed avanzate, per arrivare alla prescrizione, in linea con il continuum dell’assistenza tratteggiato dal Consiglio Internazionale degli Infermieri (ICN) e dalle indicazioni europee.

Significa espandere e valorizzare davvero la pratica infermieristica con benefici e ricadute anche per tutti gli altri professionisti sanitari. Ad esempio, i medici specializzati potrebbero di certo essere impiegati al meglio all’interno dei servizi e degli ospedali.
 
Le obiezioni di chi difende le proprie rendite di posizione, presenti in tutte le professioni, dovrebbero cadere davanti ai prioritari interessi di salute del Paese e dinanzi a tanti modelli e Paesi che hanno stabilizzato queste esperienze con notevole successo.
 
Un paese come il nostro in cui i livelli di popolazione anziana e di non autonomia sono crescenti, deve spostare decisamente l’asse del servizio sanitario verso il territorio, la comunità ed il domicilio del paziente: dobbiamo interrogarci e pianificare i prossimi decenni, e non solo il prossimo triennio. E non può ancorarsi a statistiche di funzionamento ed organici basati sulla fotografia del passato e non sulla visione del futuro. E il futuro va programmato con obiettivi ed indicatori di raggiungimento di risultato chiari e trasparenti.
 
Nessuno dei professionisti sanitari, infermieri, medici, tecnici, e forse nessuno dei cittadini ritiene più percorribile l’attuale organizzazione generale del nostro servizio sanitario, specie in talune aree geografiche.
 
Quindi, se non ora, quando: l’iniziativa globale Nursing now di OMS, ICN e Burdett Trust for Nursing di cui CNAI è leading Association per l’Italia  e la recente designazione dell’anno 2020 come Anno dell’infermiere pongono obiettivi importanti e la necessità di agire concretamente (andando ben oltre la usurata e generica e molto interpretabile “valorizzazione”) per garantire davvero la salute dei cittadini attraverso l’assistenza infermieristica in linea con i tempi, ponendo in essere iniziative di innovazione organizzativa e gestionale e realizzarle a beneficio dell’intera comunità. 
 
Anche attraverso un nuovo Patto tra professioni, per la salute. 
Ci vuole visione e coraggio per farlo. Il futuro va costruito. Se non ora, quando?
 
Walter De Caro
Presidente Nazionale
Consociazione Nazionale
delle Associazioni Infermiere/i (CNAI)

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