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Lunedì 30 SETTEMBRE 2019
Suicidio assistito. Se la Fnomceo resta indietro



Gentile direttore,
ieri l’altro la Corte Costituzionale ha stabilito che l’assistenza al suicidio attuata in precise condizioni non è reato. Non abbiamo ancora il testo della sentenza, ma c’è un Comunicato stampa ufficiale in cui si legge che “la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi”.
 
Tra le condizioni richieste sta che la pratica comporti “modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”.  Restiamo in attesa di leggere il testo della decisione per avere ulteriori conferme e eventuali precisazioni, ma le parole riportate danno due indicazioni sicure e importanti:
 
- agevolare (aiutare) il suicidio in certe precise e specifiche condizioni non è punibile;
- una di queste condizioni è che nella pratica sia coinvolta una “struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”.
 
Considerata la chiarezza delle parole sopra riportate, si fa fatica a capire come mai il Presidente della Fnomceo, dr. Filippo Anelli, abbia potuto dire che “Non è scritto da nessuna parte che il suicidio medicalmente assistito debba avvenire all’interno di strutture del Ssn”. Ma come?!? È scritto proprio nel Comunicato ufficiale della Corte Costituzionale! O Anelli non lo ha letto, o non ha capito: se è vero che i medici hanno un ruolo centrale e preminente nel SSN, dopo la sentenza della Corte non è più vero né che i medici non c’entrano nulla con l’assistenza al suicidio, né tantomeno che “il suicidio non può essere un atto medico”.
 
La tesi di Anelli è tanto più strana se si considera che nella Sua intervista ha esordito precisando che, “come medici e come cittadini […]siamo per il rispetto assoluto della sentenza della Corte”.
 
Anelli sa bene che “assoluto” significa “totale, completo, senza esitazione”, e che quando si dichiara il “rispetto assoluto” si intende il totale e pieno ossequio, o l’obbedienza senza se e senza ma. Ma come fa Anelli a dire di essere “per il rispetto assoluto” della sentenza della Corte e, allo stesso tempo, volere anche che la gestione dell’assistenza al suicidio “non fosse affidata al medico”?!? Per il rispetto dovuto alle parole e al significato dei termini, Anelli non può pensare di dire tutto e il contrario di tutto.
 
Per sostenere la tesi che “non può essere il medico ad avviare il processo del suicidio”, Anelli richiama anche (in modo un po’ trito) il povero Ippocrate e il suo Giuramento, richiamo che non esamino per  non divagare. Chi afferma il “rispetto assoluto” per la sentenza della Corte, deve riconoscere che dopo di essa anche l’agevolazione del suicidio è un atto medico, come lo è diventato l’aborto dopo la decisione della Corte Costituzionale del 1975. I criteri che informano la medicina non sono fissi, immutabili o eterni, come pare supporre Anelli: la medicina è una professione di servizio alle esigenze di salute, e queste cambiano col mutare delle conoscenze, dei bisogni, delle aspirazioni, del senso di dignità, ecc.
 
Oggi, in Occidente, è in crescita il numero delle persone che stanno irrimediabilmente male (il Dj Fabo ne è prova lampante) e che chiedono di essere aiutati a morire. Le esigenze sociali vanno alla ricerca di una risposta, e sarebbe stato meglio che questa fosse data subito dai medici: purtroppo, non sono stati pronti, e così chi sta irrimediabilmente male si è rivolto alla Corte Costituzionale, la quale ha stabilito che a certe condizioni le persone hanno diritto di chiedere di essere aiutate a morire a chi li ha aiutati a vivere fin tanto che la vita era accettabile. Ecco perché la medicina deve cambiare, con buona pace di Anelli.
 
Invece di prendere atto del cambiamento ormai intervenuto, e cercare di riguadagnare un po’ del terreno perduto offrendo pronta collaborazione, Anelli insinua che la Corte avrebbe aperto al suicidio assistito solamente per “tutelare minoranze esigue”, lasciando così intendere che casi come quelli di dj. Fabo sono pochi e poco rilevanti per il medico.
 
Può così formulare la domanda: “Ma in questo i medici cosa c’entrano?”, quasi a dire che i pochi nelle condizioni di dj Fabo non sarebbero rilevanti sul piano clinico. Arriva così a lanciare l’idea di affidare il compito aun apposito “funzionario di Stato […] che dia il via libera al suicidio”: proposta sicuramente fantasiosa e stravagante, che non merita ulteriori commenti.
 
Se la si guarda, però, dal punto di vista culturale si può osservare che essa è rivelatrice della forza del tabù: gli antropologi culturali (si legga per tutti l’aureo volume di Franz Steiner, Taboo, 1956) ci hanno insegnato che un “taboo” è un divieto netto e profondo del quale non si conoscono le ragioni, un divieto che blocca e quasi paralizza. Noi occidentali del xxi secolo tendiamo a credere che i tabù siano un retaggio del passato o delle società “primitive”, e ce ne riteniamo immuni o vaccinati: forse non è così, e la resistenza ingiustificata di Anelli rivela che la morte resta un tabù. Di fatto il suicidio continua a essere oggetto di stigma: qualcosa da tenere nascosto e di cui non parlare.
 
Ancora qualche giorno fa il cardinal Bassetti ha cercato di confermare questo stigma osservando che il suicidio è pur sempre “un atto di egoismo, un sottrarsi a quanto ognuno può ancora dare”.
 
Ma come si fa, cardinal Bassetti, a dire di uno nelle condizioni di dj Fabo che è un “egoista”?!? Ma come si fa, Presidente Anelli, a dire che in circostanza analoghe a quelle di dj Fabo mai “può essere il medico ad avviare il processo del suicidio”?!? Forse l’unica risposta è riconoscere che, a volte, il tabù acceca e impedisce di vedere la realtà, come fa il pregiudizio, suo parente stretto.
 
Ultima nota: decidendo in materia di suicidio assistito, la Corte Costituzionale non ha né operato un’indebita supplenza né tantomeno ha espropriato le competenze del Parlamento, ma ha semplicemente svolto il proprio compito istituzionale, che è quello di dare pronta risposta alle esigenze dei cittadini sulla scorta dei principi costituzionali. Un eventuale rinvio o mancato intervento avrebbe configurato un caso di denegata giustizia. La Corte non ha fatto altro che approfondire la linea di riflessione intrapresa da tempo e ribadire i principi già stabiliti altre volte su altri temi, ossia che il nostro ordinamento giuridico non è affatto informato alla sacralità o inviolabilità della vita umana.
 
La sentenza ha chiarito, una volta di più, che quella tesi antica, ancora sostenuta da alcuni rumorosi giuristi, è priva di fondamento. Anzi, sarebbe stato auspicabile meno timore nello sviluppo delle conseguenze logiche, perché la vulnerabilità c’è sia per chi vuole vivere come per chi vuole morire, e i rischi di abusi nei confronti delle persone vulnerabili vanno in entrambe le direzioni (e non solo in una).
 
Piaccia o no, la sentenza della Corte Costituzionale ha aperto una nuova stagione per l’assistenza sanitaria. Invece di essere all’avanguardia nel processo di innovazione e pronta a indicare gli obiettivi che informano il nuovo scenario che va delineandosi, la Fnomceo si mette di traverso, tira il freno a mano e si fa indicare la strada dai giuristi.
 
Peccato. La biomedicina sta rivoluzionando il mondo e ci si aspetterebbe che siano i medici a capire dove sta portando l’onda che essi stessi hanno creato e a guidarla a beneficio di tutti. Invece, vediamo che il presidente Anelli non fa altro che asserragliarsi nel fortino del passato e propone che il compito del medico sia svolto da un funzionario di Stato. L’auspicio è che la base dei medici sappia prendere le distanze dalle obsolete indicazioni della Fnomceo e si mostri in grado di dare una risposta efficace alle nuove esigenze di salute  dei cittadini in linea con le indicazioni della Corte Costituzionale.
 
Maurizio Mori
Ordinario di bioetica, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione, Università di Torino
Presidente della Consulta di Bioetica Onlus
Componente del Comitato Nazionale per la Bioetica

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