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Lunedì 18 NOVEMBRE 2019
Autonomie regionali. Da Speranza avrei voluto più coraggio

Pochi giorni fa il ministro Speranza in audizione presso la commissione parlamentare per le questioni regionali, ha indicato i punti problematici che secondo lui riguardano il regionalismo differenziato e dico subito che a me, pur condividendoli in toto, sono apparsi molto al di sotto dei pericoli reali che corre la sanità pubblica a causa del regionalismo differenziato

Se con la prima audizione in Parlamento, quella sulle linee programmatiche, ho capito quanta vecchia politica sanitaria del PD scorra nelle vene del ministro Speranza, (QS, 28 ottobre 2019), con la seconda, quella sul regionalismo differenziato, ho capito quanta vecchia politica sanitaria dell’Emilia Romagna c’è in quel PD che scorre nelle vene del ministro.
 
Del resto, per restare nella metafora, se si è malmessi e si ha bisogno di fare delle perfusioni tutto dipende da quello che ti mettono in vena. Se in vena ti mettono un pensiero debole vecchio e inadeguato, il sistema probabilmente nel tempo si aggraverà, se al contrario ti mettono un pensiero forte cioè davvero riformatore probabilmente il sistema potrà riprendersi.
 
Che in sanità a decidere, anche oggi, ci sia l’Emilia Romagna non deve sorprendere e certamente non è una novità a parte che Leu è un partito comandato da emiliani. Si tratta di una regione che ha sempre avuto un ruolo egemonico al punto che tutte le riforme fatte dopo la 833, in particolare quella del ‘92 e del ‘99, tutti i patti per la salute, tutte le scelte politiche più importanti a partire dalla sciagurata modifica del titolo V, hanno dietro l’Emilia Romagna.
 
L’unica cosa che all’Emilia non è riuscita ad avere, pur avendoci provato, è stata quella di nominare un proprio ministro della salute, ma vi garantisco che i ministri ombra non sono mai mancati, in tutti i modi e in tutte le circostanze. 
 
Le mie speranze e Speranza
Speranza non lo conosco. All’inizio pensai di andare a spiegargli con spirito di servizio e null’altro sia chiaro, le mie idee e ovviamente il mio lavoro e le mie proposte, la mia idea di quarta riforma, che come è arcinoto da anni non sono idee esattamente in linea né con quello che pensa normalmente Errani e né con quello che pensa normalmente Bonaccini e i loro sempiterni epigoni. Ministri ombra compresi.
 
Ma poi ci ho ripensato. Dopo l’esperienza mortificante fatta con la Grillo sulla mia idea di board oggi sono molto più cauto con chi dice di voler cambiare il mondo senza avere né una coscienza riformatrice né un pensiero di cambiamento. E poi se non invitato non sono tipo da presentarsi in ogni caso al ministero. Se Speranza ha voglia di capire, di fare davvero politica, di lasciare un segno, di essere di sinistra fino in fondo, è un conto, ma se, per tante ragioni, non ha voglia di tutte queste cose, perché perdere tempo? Lui farà il suo mestiere e io il mio.
 
E’ noto che, per me, mettendo insieme i grossi problemi della sanità pubblica e quelli altrettanto grossi della sinistra, ma più in generale del pensiero progressista, scuola alla quale appartengo da quando sono nato, ci vorrebbe un pensiero e una politica più robusta e più coraggiosa, cioè ci vorrebbe quel vero autentico pensiero riformatore che alla fine come sinistra ci è sempre mancato  soprattutto quando ci siamo accontentati di volare basso e di amministrare al meglio una sanità ancora per gran parte invariante in tante cose fondamentali.
 
Ma l’Emilia non accetterà mai questa tesi perché non ammetterà mai di aver avuto un pensiero debole.
 
Speranza l’emiliano
Speranza ha un volto buono gentile, pulito, “nu brave barasce”, come direbbero dalle sue parti, è sinceramente convinto del grande valore che ha la sanità pubblica, ma nello stesso tempo, soprattutto, quando entriamo nel merito delle scelte strategiche, la mia  impressione è che non si renda conto del rischio che sta correndo di diventare, suo malgrado, uno strano ircocervo cioè un ministro del sud, quindi lucano, ma che pensa e si comporta come un ministro del nord  e più precisamente come un ministro emiliano.
 
Nulla di male se l’Emilia Romagna fosse alla testa di un movimento riformatore in grado di rappresentare tutta l’Italia, ma il problema è che non è così. Essa per prima ha dato inizio 20 anni fa alla revisione del titolo V per prima ha teorizzato l’aziendalizzazione della sanità, ed oggi cerca di dare luogo ad un processo di secessione della sanità definito eufemisticamente regionalismo differenziato, al quale si sono poi accodate la Lombardia e il Veneto.
 
E poi la sanità è più grande dell’Emilia Romagna e interpretare i suoi problemi con gli occhiali di questa regione non è automaticamente ciò che converrebbe a questo Paese.
 
Difendere la sanità pubblica ma per finta
Pochi giorni fa il ministro Speranza in audizione presso la commissione parlamentare per le questioni regionali, ha indicato i punti problematici che secondo lui riguardano il regionalismo differenziato e dico subito che a me, pur condividendoli in toto, sono apparsi molto al di sotto dei pericoli reali che corre la sanità pubblica a causa del regionalismo differenziato e molto, forse troppo, calibrati sulla posizione, certamente tutt’altro che neutrale, proprio dell’Emilia Romagna.
 
Il ministro Speranza si è dichiarato perplesso ad affidare all’autonomia regionale:
• la definizione del sistema tariffario, di rimborso e di remunerazione della spesa sanitaria,
• la risoluzione del problema  “carenza di medici”, di quello “dei contratti di formazione specialistica”, ecc,
• il governo delle regole  nel settore della farmaceutica.
 
Benissimo, ma non ha detto nulla, assolutamente nulla, sulle proposte di de-regolazione avanzate proprio dell’Emilia Romagna:
• accrescere il numero di prestazioni sanitarie quindi i Lea facendo ricorso ai fondi integrativi,
• avere le mani libere sulle competenze professionali, sulla definizione delle professioni, sui sistemi formativi.
 
Non solo, non ha detto nulla su alcune questioni trasversali ritenute tali perché condivise “metodologicamente” dalle tre regioni richiedenti, compresa l’Emilia Romagna:
• la possibilità di autofinanziare la sanità regionale con il proprio pil e quindi di svincolarsi in ragione della propria autarchia economica dal sistema nazionale esentati dall’obbligo di concorrere per quota parte al finanziamento del sistema,
• la possibilità di definire i fabbisogni standard in relazione solo alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale.
 
Un bidone di sinistra
Caro ministro Speranza se lei non obietta contro le questioni più importanti, ci prende in giro, cioè fa finta di opporsi al regionalismo differenziato quando in realtà, come si evince anche dal tono molto possibilista della sua relazione, lei si appresta a spalancare le porte al nemico. Cioè al paradosso dell’Emilia Romagna contro riformatrice.
 
Ribadisco, io per primo, caro ministro che è un paradosso, ma è inutile dirle che:
• usare i fondi integrativi per accrescere le prestazioni, vecchio sogno dell’Emilia Romagna, è un siluro sparato alla natura pubblica del sistema, premessa sufficiente per aprire al sistema multi pilastro,
• autorizzare le regioni a pasticciare con le competenze professionali, altro vecchio sogno dell’Emilia Romagna, è semplicemente un atto di irresponsabilità che per badare al risparmio si ignora la qualità della tutela e le regole basilari della medicina,
• calcolare il fabbisogno di cura non di salute interpolando redditi e persone è un modo per sancire delle diseguaglianze e confermare gli iniqui criteri della quota capitaria pesata, altro vecchio cavallo di battaglia dell’Emilia Romagna.
 
Signor ministro, lei come ministro di sinistra e non solo dell’Emilia Romagna, prima di ogni cosa, avrebbe dovuto dire con chiarezza che la natura pubblica e universale della sanità, la rende indevolvibile, anche perché, come ammette lei stesso nella sua relazione, i poteri già devoluti alle regioni non sono pochi e meno che mai marginali e di diseguaglianze ne abbiamo fin troppe per permetterci il lusso di un’ulteriore frammentazione del sistema nazionale.
 
Naturalmente dichiarare la indevolvibilità non vuol dire in nessun caso apologia dello status quo. Le strade per risolvere i problemi dei quali le regioni si lamentano sono ben altre anche se ho il sospetto che non incrocino il senso comune della sinistra. Ho quindi paura che lei, come chi l’ha preceduta, si prepari a rifilarci un bel bidone.
 
La perdita di credibilità
La sinistra in questi ultimi anni a forza di tirare bidoni alla sanità in questo settore ha perso molto del proprio consenso politico. Cioè ha perso la sua credibilità riformatrice soprattutto in quelle regioni rosse dove la sanità è sempre stata il loro principale fiore all’occhiello. La vicenda dell’Umbria è emblematica. Ma badate che l’Emilia Romagna o la Toscana non sono diverse.
 
Sulla sanità emiliana, di propaganda soprattutto ora in campagna elettorale, se ne fa tanta ma guardate che la condizione della gente, mi riferisco tanto a chi lavora tanto a chi usa i servizi, non è idilliaca. Non è un caso se la Lega stia usando proprio la sanità come uno degli argomenti contro la regione avversaria.
 
In questo contesto si inserisce la sentenza della Corte che ha costretto l’ordine di Bologna ad annullare il provvedimento di radiazione contro l’assessore Venturi, percepita dai più come un regalo alla politica e un favore alla regione Emilia Romagna.
 
Pensate che Venturi faccia guadagnare al Pd dei voti? Io credo proprio di no. La gente è stanca delle solite politiche, è stanca di subire restrizioni solo perché non si hanno idee diverse da quelle solite, è stanca di essere amministrata come se le persone fossero numeri è stanca di essere continuamente svalutata.
 
Il pensiero debole politicamente non paga non perché intellettualmente è un problema ma perché pragmaticamente non risolve i problemi fino a costringere una regione rossa come l’Emilia Romagna a scegliere soluzioni neoliberali avventurandosi nel terreno infido del contro riformismo.
 
La proposta di regionalismo differenziato dell’Emilia Romagna è una proposta del tutto ispirata da logiche neoliberali e antistataliste che non sanno più cosa voglia dire solidarietà, uguaglianza e unità.
 
In sanità una sinistra che non sa riformare e si limita ad amministrare finisce come dimostrano i fatti, prima o poi, con il contro riformare. Se l’Emilia Romagna vuole introdurre i fondi integrativi e per risparmiare vuole giocare con le competenze professionali mettendo gli uni contro gli altri, se continua a finanziarsi con le quote capitarie pesate, che lucrano sulle disgrazie del sud, è solo perché non è in grado di definire da sinistra un’altra idea di sostenibilità, un’altra idea di sanità e un’idea di tutela diversa da quella mutualistica, un’altra idea di lavoro, un’altra idea di professione e di prassi un’altra idea di equità. Un’altra idea di cultura sanitaria.
 
Conclusioni
Il guaio è che la sinistra tira dei bidoni ma non fa mai autocritica. Tira avanti, sempre con le stesse persone, le stesse ricette, buone per tutte le stagioni, come se le loro scelte fossero dettate da leggi celesti, e chi osa, avere idee diverse, o si permette di pensare in modo autonomo, o di analizzare  le audizioni del ministro Speranza e, dopo anni di lavoro, di studi, di impegno sul campo, si permette di avanzare una propria proposta politica riproponendo il  vecchio sogno riformatore, è semplicemente un nemico primo dell’Emilia Romagna e quindi per la regola transitiva del resto del mondo e in particolare del ministro alla salute in carica.
 
E la sanità? Che domanda! Che c’entra la sanità? Prego niente domande impertinenti.
 
Ivan Cavicchi

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