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Venerdì 22 NOVEMBRE 2019
Troppi antibiotici. Che fare? Il convegno al ministero della Salute. Sileri: “Unico sistema è consolidare approccio One Health

Nel 2050, secondo le stime, la resistenza agli antimicrobici (Amr) potrebbe uccidere oltre 10mln di persone l’anno, circa 390 mila decessi in Europa. Attualmente in Italia il numero di morti causate da batteri resistenti agli antibiotici è pari a più di 10mila ogni anno. Indispensabile intervenire per arginare il fenomeno. In occasione della “Settimana mondiale sull’uso consapevole degli antibiotici” promossa dall’Oms, il ministero della Salute ha organizzato un incontro con esperti e istituzioni sanitarie e distribuito un nuovo opuscolo per operatori e cittadini. L'OPUSCOLO.

Un immediato cambiamento culturale nella popolazione e nella comunità medica per un impiego appropriato degli antibiotici. Un giro di boa che passa da un lato attraverso una formazione universitaria e post-universitaria ai professionisti per conoscere e prendere coscienza del fenomeno e dall’altra attraverso l’informazione e l’educazione al cittadino con l’utilizzo dei media, dei social e della informazione nelle scuole.
Soprattutto serve un approccio “One Health” in cui tutti i settori della sanità pubblica, della salute animale e dell’ambiente collaborano per cambiare le proprie pratiche
 
Questo in estrema sintesi il messaggio che arriva dalla giornata di confronto per “Un’uso consapevole degli antibiotici”, promossa dal Ministero della Salute, insieme con Aifa, Iss e Agenas nell’ambito della “Settimana mondiale sull’uso consapevole degli antibiotici”, dal 18 al 22 novembre, promossa dall’Oms.
 
“Gli antibiotici sono una pietra miliare nella lotta alle malattie infettive – ha detto il vice ministro Pierpaolo Sileri che ha aperto il confronto – e hanno contribuito a migliorare in modo significativo la salute della popolazione quindi la qualità della vita in quanto una società sana è una società più produttiva. Da subito è comparso, però, il perverso fenomeno dell’Antibiotico-resistenza nato da un misuso del farmaco. In Italia abbiamo 200mila infezioni ospedaliere e purtroppo una fetta porta alla morte, con 10mila decessi l’anno legati a batteri resistenti agli antibiotici. Pertanto – ha aggiunto –  è necessario un approccio “One Health”, ovvero uno sforzo congiunto di più discipline professionali (medicina umana e veterinaria, settore agroalimentare, ambiente, ricerca e comunicazione, economia, e altre) che operano, a livello locale, nazionale e globale, con uno scopo comune che si può riassumere in 3 obiettivi prioritari: prevenire e ridurre le infezioni, soprattutto quelle correlate all’assistenza sanitaria; promuovere e garantire un uso prudente degli antimicrobici; ridurre al minimo l’incidenza e la diffusione dell’antimicrobico-resistenza e i rischi per la salute umana ed animale ad essa correlati”.
 
I numeri dell’antibiotico resistenza. Oggi, in Europa, ha ricordato Sileri, 1/3 delle infezioni è causato da batteri resistenti agli antibiotici. Il 75% delle infezioni da batteri resistenti agli antibiotici è rappresentato da Infezioni correlate all’assistenza. L’impatto delle infezioni da batteri Amr è pari a quello di tubercolosi, influenza e Hiv/Aids messe insieme. I dati sulla diffusione dell’Amr mostrano come l’Italia sia tra i Paesi con il più alto livello, ma nell’ultimo anno è evidente un trend in calo, che indica che la strada intrapresa è quella giusta.
Anche riguardo al consumo di antibiotici, i dati Aifa, relativi al 2018, mostrano come in Italia si faccia ancora abuso di questi farmaci, con il 90% delle prescrizioni a carico del Ssn che proviene dai Mmg e dai Pediatri di libera scelta, che contribuiscono con il 75,2% sul totale dei consumi; il rimanente è distribuito tra le strutture sanitarie pubbliche (8,9%) per farmaci prescritti ai pazienti in ospedale o acquistati su prescrizione della struttura ospedaliera per proseguire il trattamento dopo la dimissione, e acquisto da parte del cittadino in una farmacia senza ricetta rossa (15,9%).
 
L’impiego inappropriato di antibiotici supera il 30% in tutte le condizioni cliniche studiate: influenza, raffreddore comune, laringotracheite, faringite e tonsillite, cistite non complicata e bronchite acuta. “Particolarmente preoccupanti sono i dati sull’acquisto in farmacia senza prescrizione – ha detto Sileri – pratica illegale da disincentivare, e sull’inappropriatezza prescrittiva. I dati sul consumo di antibiotici in ambito veterinario mostrano un trend in diminuzione che ha portato a un calo addirittura del 30% delle vendite nel periodo 2010-2017. Ma ci dicono che non siamo ancora in linea con le migliori pratiche europee. Per questo è essenziale quanto sia necessario e improrogabile sia investire nella formazione dei professionisti sanitari, che basino il loro operato sulle evidenze scientifiche e sugli effettivi bisogni di cura, e nella comunicazione e informazione per la popolazione perché si interrompa la pressione sui medici e cessino le pressanti richieste di antibiotici anche di fronte al primo sintomo di malessere”.
 
Antibiotici solo con la ricetta medica. “L’antibiotico resistenza è una delle minacce più grosse per la sanita pubblica - ha sottolineato Luca Li Bassi, Direttore generale di Aifa – una minaccia mondiale con conseguenze individuali. L’era degli antibiotici è stata contraddistinta da tanti i benefici di salute ma ora siamo entrati in quella post-antibiotici con un batterio su tre resistente agli antibiotici e migliaia di morti. Un problema di cui dobbiamo essere consci e che stiamo affrontando”.
A preoccupare, ha poi spiegato Li Bassi, c’è anche l’acquisto privato: “Il 15,9% degli antibiotici viene acquistato dai cittadini privatamente e quindi non è a carico del Ssn. Ogni giorno nel 2008 sono state acquistate privatamente 3,4 dosi di antibiotici (classe A) ogni mille abitanti”.
Tutti hanno quindi un ruolo da giocare, prosegue: “In questo caso la prima mossa è che l’antibiotico non debba essere dispensato senza ricetta medica, questo potrebbe avere un primo effetto immediato. Deve anche diminuire l’inappropriatezza registrata nel Sud Italia rispetto al Nord, un trend peraltro osservato anche a livello europeo dove un maggiore uso di antibiotico e di resistenza avviene proprio nei paesi del sud Europa. Bisogna quindi concentrarci sull’adeguatezza prescrittiva dei medici che devono lavorare utilizzando le linee guida”.
 
La raccolta dei dati è anche una grande arma per contrastare il fenomeno. “Stiamo fotografando la situazione italiana – ha spiegato Annalisa Pantosti, Responsabile della sorveglianza Ar dell’Iss – per molti anni abbiamo rilevato un peggioramento rispetto all’Europa, ma ora assistiamo a una inversione del trend, anche se rileviamo miglioramenti solo per alcune specie sotto sorveglianza. Siamo comunque sulla strada giusta che però è ancora molto lunga. Il protocollo di sorveglianza quest’anno è cambiato – ha aggiunto – abbiamo il supporto delle Regioni questo ci ha permesso di avere dati più ampi e rappresentativi e anche di osservare che le Regioni si posizionano in maniera diversa a seconda dei micro organismi, un dato importante che ci consente di individuare le azioni da attivare”.
 
Anche il diverso approccio al miglioramento della sicurezza e dell’antibiotico resistenza che le Regioni stanno attuando sta portando buoni risultati, ha assicurato Barbara Labella, Referente ufficio qualità sicurezza dell’Agenas: “Un percorso intrapreso già dal 2005 quando alcune Regioni hanno messo in atto best practice. Soprattutto è stata creata una rete di mille professionisti che hanno messo a disposizione la loro esperienza per informare i loro colleghi su come realizzare buone pratiche per replicarle. Una strategia che si è dimostrata vincente”.
 
Ha puntato i riflettori sul settore veterinario dove l’uso degli antibiotici è strategico sia per gli alimenti che per la sanità pubblica, Loris Alborali Dirigente Izsler “Bruno Ubertini” di Brescia: “La consapevolezza dell’utilizzo degli antibiotici nella filiera alimentare si è tradotta in pratica nel fornire indicatori su quanti antibiotici vengono consumati per gli animali. Fino ora avevamo solo dati di vendita, un indicatore passivo, dal 2016 possiamo invece sapere esattamente quanto l’animale consuma nell’arco di un mese. Il consumo si è ridotto del 35% rispetto al venduto, pensiamo che settore avicolo dal 2015 si è passati dal trattare in media un pollo con antibiotici da 25 giorni a soli due giorni e mezzo”.
 
Ester Maragò

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