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Mercoledì 27 NOVEMBRE 2019
Patto per la Salute. Dalle Regioni ultimatum al Governo: “O si cambia su commissariamenti e personale o niente firma”

Alla vigilia dell’incontro di domani pomeriggio a Roma con Salute e Mef, gli assessori alla sanità regionali anticipano in una tavola rotonda al Forum Risk Management di Firenze le loro controproposte per chiudere l’accordo con il Governo. “La stagione del contenimento della spesa come unico obiettivo dei Patti deve chiudersi definitivamente. Ora è il momento di rilanciare il Ssn e il Governo deve credere nella nostra capacità di amministrare la sanità pubblica”, dicono gli assessori dalla Sicilia alla Lombardia

31 dicembre 2019: questa la data ultima per la sigla del Patto per la Salute del prossimo triennio alla quale sono vincolati gli aumenti del fondo sanitario previsti dalla legge di Bilancio. Ieri il ministro Speranza si era detto fiducioso che l’accordo si potesse raggiungere in tempi brevi ma oggi, dal palco del Forum Risk Management di Firenze, arriva una brusca frenata dalle Regioni riunite in mattinata nella Commissione Sanità (presenti assessori e direttori dell’assessorato di quasi tutte le Regioni italiane) e poi nel pomeriggio nel corso di una tavola rotonda cui hanno partecipato Luigi Icardi, Assessore alla sanità, regione Piemonte e coordinatore sanità delle Regioni, Stefania Saccardi, assessore alla Sanità della Regione Toscana, Giulio Gallera, assessore al Welfare Regione Lombardia, Sonia Viale, assessore alla Sanità della Regione Liguria,Kyriakoula Petropulacos, Dg Cura Persona Salute e Welfare Regione Emilia Romagna, Enrico Coscioni, Consigliere alla Sanità della regione Campania, Maria Letizia Di Liberti, Dirigente generale Dipartimento Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico dell’Assessorato Regionale Siciliano, Mario Nieddu, assessore alla sanità Regione Sardegna, Vito Montanaro, Dg Assessorato alla sanità regione Puglia, Luca Coletto, assessore alla salute della Regione Umbria.
 
I punti di contrasto, che al momento fanno dire agli assessori che la firma non si può dare assolutamente per scontata, sono le nuove regole per il commissariamento, i tetti per la spesa delpersonale e le ipotesi sulla mobilità sanitaria (come dettagliato nel documento di controproposte consegnato al Governo).
 
Alla domanda se la firma in ogni caso ci sarà,considerando anche il rischio di vedersi bloccare l’aumento di 2 miliardi del fondo 2020, gli assessori non si sono voluti sbilanciare (a un certo punto è stata anche ventilata l’ipotesi di una proroga alla scadenza del 31 dicembre) ma la sensazione è che si stia tentando di spingere il Governo a un compromesso tra le tesi Salute e Mef che in qualche modo venga incontro alle richieste regionali.
 
Ecco le posizioni delle Regioni.
 
Luigi Icardi:“La volontà delle Regioni e del Ministero è quella di cercare di chiudere la partita del Patto per la Salute entro il 31 dicembre. Questo non solo per il pericolo che i 2 miliardi in più sul tavolo possano essere messi in discussione, ma anche per la delicatezza dei temi toccati da quest’intesa. Al Tavolo tecnico e di lavoro tra Ministero della Salute, Regioni e per la prima volta Mef è stata approvata la 33^ versione di un documento che la Commissione Salute oggi ha vagliato. Sono emerse alcune criticità che saranno messe nero su bianco attraverso un verbale in cui chiederemo al Ministero le dovute correzioni. Il Patto deve essere equilibrato e frutto di un’intesa. Questa è la metodologia di lavoro che stiamo perseguendo. Le proposte relative al commissariamento stanno diventando un problema perché creano difficoltà soprattutto a quelle Regioni che sono in piano di rientro. Accettarle si tradurrebbe in un elevato rischio di non uscire più dal commissariamento. Siamo disponibili a controlli sui Lea così come su tutto il resto, ma usando strumenti diversi dal commissariamento”.
 
Stefania Saccardi: “C’è un Rapporto irrisolto tra Salute e Mef. Siamo arrivati al punto che le Regioni al tavolo degli adempimenti vengono trattate come ‘delinquenti’, eppure nonostante la scarsezza dei fondi sono riuscite a garantire i Lea e, in alcuni casi, anche qualcosa in più, come in Toscana dove offriamo servizi aggiuntivi sul fronte socio sanitario. Il sistema quindi fin ora ha retto grazie agli sforzi delle Regioni e alle modalità con cui hanno saputo gestire il sistema. In questo scenario uno dei grandi nodi ancora da sciogliere nel Patto per la salute è la questione del personale: facciamo ancora fatica a trovare soluzioni adeguate. L’apertura del numero chiuso a medicina non è una soluzione e anche sul numero dei posti di specializzazione non ci siamo proprio. Sono le Regioni che devono dire di cosa c’è bisogno, non il Miur. Se non si capisce questo corriamo il rischio di fare solo ragionamenti teorici. I limiti imposti sulle assunzioni di personale sono ai margini di costituzionalità, non si può pensare di imporre paletti anche alle Regioni che hanno i conti in ordine. Non dimentichiamo poi che le Regioni sono responsabili dell’organizzazione del sistema: stiamo quindi assistendo ad un’ingerenza forte nell’autonomia regionale. Su questo punto, quindi, ancora non ci siamo”.
 
Giulio Gallera: “In passato il rapporto Regioni-Governo è stato contraddistinto dalla necessità di contenimento della spesa. Oggi siamo in una situazione molto diversa e questo Patto deve avere un obiettivo differente: dobbiamo passare dalla fase del contenimento della spesa a quella del mantenimento dell’universalismo del sistema sanitario. L’uscita dall’ospedalecentrismo o l’utilizzo dell’innovazione sono elementi che ciascuna Regione sta cercando di attuare. Senza una diversa organizzazione il sistema sanitario non avrà più la possibilità di garantire a tutti i farmaci più innovativi e i migliori macchinari negli ospedali più grandi. Il rischio è che questo Patto contenga ancora un approccio basato sul contenimento dei costi. Vogliamo invece portare una nuova visione: se abbiamo bisogno di cambiare i paradigmi del sistema, ci servono anche gli strumenti per farlo. La politica dei tetti e dei silos non ci permette questo. Chiediamo a un ministro attento da questo punto di vista che il Patto per la Salute abbia una visione e una traiettoria ampia per continuare a mantenere l’universalismo. Un accordo troppo rigido non ci permetterà infatti di garantire un’assistenza uniforme e equa sul territorio”.
 
Sonia Viale: “Il Patto non deve essere un terreno di sfida politico. Tra le Regioni c’è sempre stata una forte collaborazione che trova il suo momento clou nel riparto del Fondo sanitario: abbiamo sempre trovato degli equilibri e, nonostante le diversità, siamo riusciti ad andare incontro alle esigenze di tutti. Oggi sono in difficoltà ad affrontare un Patto che mette le Regioni sul banco degli imputati. L’introduzione di parametri che portano al commissariamento non solo delle singole Regioni ma delle Asl, non aiuta. La programmazione della sanità è competenza regionale rimasta nonostante un tentativo di scardinarla. Dobbiamo cercare un percorso di condivisione, anche se in alcuni punti le indicazioni sono irricevibili. Penso all’edilizia sanitaria. la qualità dei luoghi di cura è fondamentale, ma nel patto ci scontriamo sulle regole del codice degli appalti ormai superato e non adeguato alla programmazione sanitaria. Le risposte tecniche che arrivano da Roma rischiano quindi di non risolvere ma complicare. I territori hanno esigenze specifiche e lo scenario che abbiamo davanti procede invece verso una deriva centralistica. Quindi, su queste basi, considero questo Patto antistorico”.
 
Kyriakoula Petropulacos: “Ritengo che l'ultima versione del Patto contenga anche elementi positivi. Per esempio, ho trovato sul tema della mobilità sanitaria una sintesi condivisa da Regioni con bisogni molto diversi in termini di mobilità attiva e passiva. Il Patto prova proporre un percorso che potrà aiutare a fare un passo avanti. Purtroppo di fronte a aperture come questa, il Mef impone un saldo zero tra costi incrementali e decrementali impossibile da raggiungere in una fase iniziale. Rigidità come questa hanno bloccato il sistema negli ultimi anni. Occorrerebbe un po’ di fiducia in più: oggi le Regioni possono segnare passi importanti e chi è uscito dal piano di rientro ha dimostrato una volontà che dovrebbe essere premiata con una maggior fiducia da parte del Mef. Altri aspetti positivi contenuti nel documento riguardano lo sviluppo dell’attività territoriale e l’integrazione tra gli aspetti socio-sanitari e quelli sociali. Infine, ritengo importante l'attenzione dedicata alla partecipazione dei cittadini, che è ancora una carenza in tutti i nostri sistemi. Facciamo fatica a cogliere quali sono le difficoltà che i cittadini ci evidenziano e avere politiche che ci avvicinino ai loro bisogni è fondamentale”.
 
Enrico Coscioni: “Va dato merito a questo Governo e al Ministro di avere impresso una forte spinta all’avvio dei lavori del Patto, cosa che con il precedente Governo non eravamo riusciti a fare. Abbiamo fatto importanti passi avanti per abbattere quei paletti non più accettabili sul tetto del personale e sui vincoli di spesa per gli obiettivi di Piano, vincoli inaccettabili anche per le Regioni virtuose. È stata fatta un’apertura di una certa flessibilità anche sul privato accreditato. Soprattutto abbiamo importanti fondi in più sul Fondo sanitario nazionake, cosa tutt’altro che scontata”.
 
Maria Letizia Di Liberti: “Come Regione a Statuto speciale prima in piano di rientro e oggi in piano di consolidamento ci sembra che l’atteggiamento, soprattutto da parte del Mef, sia quello di continuare a "bacchettare" senza tener conto di tutti gli sforzi compiuti. In Sicilia abbiamo avuto 10 anni di blocco delle assunzioni, tetti di spesa fermi al 2004 e nonostante tutto questo abbiamo conseguito un punteggio Lea pari a 165. Il commissariamento, così come previsto nel nuovo Patto, non tiene conto dell’impegno profuso dalle Regioni in questi anni.
Dobbiamo cercare di stabilire percorsi differenziati per le Regioni fuori dal piano di rientro e per quelle che hanno fatto sacrifici e oggi si aspettano un percorso di accompagnamento.
 
Mario Nieddu: “Il Mef non può pensare di sostituirsi agli assessori alla sanità, ma questo è quanto traspare dalla bozza del Patto. La proposta della modifica delle percentuali per l’entrata in commissariamento non è accettabile, soprattutto per le regioni autonome. Per quanto ci riguarda daremo battaglia in tutte le sedi se dovesse manifestarsi questa posizione. Da modificare anche i criteri del Dm 70: sono una camicia di forza in particolare per una regione come la Sardegna con una conformazione oro geografica complessa che non consente di adeguarsi. Ci aspettiamo inoltre che il Patto dia risposte importanti sul fronte del personale allargando il numero di specialisti. Rimane comunque il fatto che il Mef ci chiede di tagliare, ma poi chiede nella griglia Lea parametri a spesa crescente. Anche questa è una contraddizione che andrebbe risolta. E ancora, per quanto riguarda l’integrazione con il socio sanitario i rischi che i costi del sociale si riversino nel sanitario sono elevatissimi, la proposta andrebbe quindi andrebbe rivista.
 
Vito Montanaro: “Per la prima volta la Puglia fa parte del Tavolo per il Patto alla Salute, che da sempre intendiamo come un indice delle azioni da intraprendere e non come un tomo pieno di regole cui fare riferimento. Il nostro sistema sanitario è vecchio di 40 anni e non tiene conto dei farmaci innovativi o dei macchinari di ultima generazione. Diciamo no al tentativo di normalizzare l'applicazione delle norme a tutte le Regioni d’Italia. Ciascuna ha caratteristiche e storie diverse ed è impossibile abbracciare tutte le esigenze e le aspettative con un’unica regola.
La Puglia per esempio è in piano di rientro e in programma operativo da 9 anni, ma rispetto alle Regioni del Nord ha fondi Fesr per l'edilizia sanitaria. Ci aspettiamo grandi risultati dal miglioramento delle azioni che stiamo producendo in particolare sulla spesa farmaceutica grazie all'incremento nell'utilizzo dei biosimilari. Dobbiamo dimostrare che siamo in grado di mantenere nel tempo i risultati raggiunti, ma per farlo ci servono nuove norme. Il Patto può essere una grande opportunità che dobbiamo essere in grado di sfruttare fino in fondo”.
 
Luca Coletto: “Non vogliamo politicizzare questo Patto, ma vogliamo risposte forti e chiare per la sanità che non è un costo ma un investimento e lo dimostrano i risultati ottenuti. Se facciamo un confronto con la Germania, l’Italia ne esce fuori vincente: nel rapporto Pil-Fondo sanitario la prima investe esattamente il doppio, mentre la sanità del nostro Paese ha conseguito, nonostante tutto, risultati eccellenti in termini di salute della popolazione. Non solo, dal 2014 la spesa sanitaria è in equilibrio: un dato confortante. La conclusione di fronte a questo scenario è solo una: si dovrebbe guardare in altri ambiti per tagliare. La salute permette di costruire una qualità migliore della vita anche dal punto di vista lavorativo. La riforma del Titolo V è stato uno strumento importante che ha prodotto risultati positivi. E le cure d’urto dei piani di rientro hanno sortito degli effetti positivi, come anche il decreto 70 nonostante le misure in alcuni casi siano particolarmente stringenti. Serve quindi una scelta forte se ci teniamo al nostro Ssn, con un passo indietro da parte del Miur. Nel Patto non servono intenzioni, si dica ‘apertis verbis’ cosa fare. Anche le beghe tra Mef e Miur devono finire. Dobbiamo sottoscrivere un Patto completo anche sugli specializzandi senza rinviare a futuri accordi con Mef e Miur: se si lascia appesa a un filo sottilissimo questa partita, non andrà bene. Personalmente non guardo alle scadenze: non si possono tagliare i fondi solo perché i tempi sono scaduti. L’essenziale è arrivare a un nuovo patto che risponda alle
esigenze di assistenza dei cittadini”.
 
Ester Maragò

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