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Mercoledì 14 MARZO 2012
Pronto soccorso. Balduzzi: “Niente fondi integrativi a Regioni che non inviano dati su accessi"

Lo ha annunciato il ministro nel corso di un'informativa al Senato per far fronte all'attuale mancanza di dati certi sugli accessi al Ps. Proposto anche un "cruscotto" che monitori la disponibilità dei posti letto in reparto. E poi integrare tre reti: l'emergenza urgenza, l'ospedaliera e la territoriale".

Circa 23 milioni di accessi al Pronto soccorso ogni anno. Sono solo stime, però. Quelli certi, infatti, sono 13 milioni. Perché non tutte le Regioni, tra il 2009 e il 2011, hanno versato i relativi dati. Lo ha sottolineato il ministro della Salute, Renato Balduzzi, nel corso dell’informativa di oggi pomeriggio in Aula al Senato sulle condizioni dei Pronto soccorsi. Per avere al più presto dati certi, il ministro ha quindi annunciato che “dal 1° gennaio 2012 le Regioni inadempienti nel flusso informativo sui dati di pronto soccorso saranno penalizzate in ordine all'attribuzione del finanziamento integrativo a carico dello Stato”.

Quanto alle criticità dei Pronto Soccorso, Balduzzi ha sostenuto che queste sono in particolare una conseguenza dell'iperafflusso, le cui cause sono legate soprattutto al “desidero dell'utenza di ottenere in tempi brevi una risposta a bisogni percepiti come urgenti; a un crescente numero di pazienti fragili che necessitano di interventi in tempi rapidi; alla consapevolezza di trovare una risposta qualificata, mediata anche dall'impiego di tecnologie; a una non conoscenza del compito affidato ai servizi di emergenza-urgenza, un'imperfetta conoscenza del medesimo; il ruolo di rete di sicurezza rappresentato dai pronti soccorsi; aggiungiamo, in qualche caso, anche alla scelta per un servizio che possa bypassare eventuali sistemi di copayment, di compartecipazione ai costi del Servizio sanitario”.

Per Balduzzi, “non basta ragionare sulla rete della continuità assistenziale tra ciò che sta prima e dopo il pronto soccorso”. L’unica soluzione è “riuscire a ragionare delle reti: quella di emergenza urgenza, quella ospedaliera e quella territoriale. La nuova frontiera è questa capacità di tenere insieme queste reti”.

Tra le varie proposte, “importanti e non per questo secondarie”, il ministro ha avanzato ad esempio l’idea di “un cruscotto informatizzato che permetta il monitoraggio nell'arco delle 24 ore della disponibilità di posti-letto nelle unità ospedaliere di degenza”. Per Balduzzi andrebbe poi inserita “una figura di coordinamento, in grado di governare i flussi in ingresso ed in uscita, sia medico sia infermieristico; forse una figura di care-manager, una ulteriore figura di vicinanza a chi entra in Pronto soccorso, lasciata ora a forme importanti di volontariato, ma che forse richiede una migliore integrazione con queste forme; naturalmente, la disponibilità di protocolli e procedure e la loro verifica”.

Ecco il testo integrale dell’intervento del ministro Balduzzi al Senato.

Signor Presidente, a quasi venti anni esatti dal riordino della rete di emergenza-urgenza con il DPR del 27 marzo 1992 siamo ad interrogarci sulla situazione della rete stessa. Quel DPR, che era un atto di indirizzo e coordinamento, fu uno dei primi provvedimenti ad essere adottato d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Quest'atto delineava due sottosistemi dell'emergenza; il sottosistema di allarme sanitario e quello di accettazione di emergenza, con un numero unico di chiamata e la costituzione di centrali operative. Qualche anno più tardi, nel 1996, le cosiddette linee guida Guzzanti, anch'esse adottate d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, completarono il modello, chiarendo ruolo e funzioni dei due sottosistemi disegnati nel 1992. L'acquisizione culturale e normativa, intendendo il DPR e le linee guida come un unico comparto normativo, è pertanto risalente, salvo quanto dirò fra poco.

Vorrei ora soffermarmi sui dati che riguardano le strutture e le attività. Per quanto riguarda le strutture, dai dati del 2009 emerge la presenza di 550 servizi di pronto soccorso, con 343 dipartimenti di emergenza e accettazione attivati, di cui 325 presso strutture pubbliche di ricovero e 18 presso strutture private accreditate. Il pronto soccorso pediatrico risulta presente nel 15 per cento degli ospedali, mentre in più dell'80 per cento degli ospedali è comunque presente un pronto soccorso. I dati di stima sugli accessi al pronto soccorso che si verificano annualmente rilevano circa 23 milioni di accessi. I dati di stima sono il frutto di dati veri e propri, pari a 13 milioni, cui si aggiungono dati stimati perché non tutte le Regioni, tra il 2009 e il 2011, hanno versato i relativi dati. Segnalo a questa Assemblea che dal primo gennaio 2012 le Regioni inadempienti nel flusso informativo sui dati di pronto soccorso saranno penalizzate in ordine all'attribuzione del finanziamento integrativo a carico dello Stato. È perciò probabile che tra un anno noi saremo in condizioni di dare, in un'eventuale informativa, non solo dati stimati, peraltro abbastanza vicini alla realtà, ma dei dati veri e propri.

L'attivazione del sistema va completata con l'attivazione dei punti di pronto intervento presenti in molte Regioni (in altre sono presenti sotto forma di sperimentazione). Attualmente abbiamo 103 centrali operative. Per quanto riguarda i dati di attività, ho già ricordato che è in corso un monitoraggio, che dal 2012 consentirà di disporre di dati veri e propri.

Dalla relazione sulla situazione sanitaria del Paese del 2010, che io stesso ho presentato il 13 dicembre 2011, ricavo un'affermazione importante: «In questi ultimi anni si è fatto molto per cercare di costruire l'integrazione tra i servizi al fine di garantire la continuità assistenziale in tutto il percorso del paziente. Molto rimane ancora da fare, in particolare nella fase dell'integrazione ospedale-territorio». Tale affermazione, contenuta in un documento ufficiale, dà la misura del problema che abbiamo di fronte. La criticità maggiore è rappresentata dall'iperafflusso e dal sovraffollamento dei pronti soccorsi, dei DEA, persino dello stesso numero unico di chiamato 118.

Tra le cause di questo ricorso eccessivo vi sono sicuramente: il desidero dell'utenza di ottenere in tempi brevi una risposta a bisogni percepiti come urgenti; un crescente numero di pazienti fragili che necessitano di interventi in tempi rapidi; la consapevolezza di trovare una risposta qualificata, mediata anche dall'impiego di tecnologie; una non conoscenza del compito affidato ai servizi di emergenza-urgenza, un'imperfetta conoscenza del medesimo; il ruolo di rete di sicurezza rappresentato dai pronti soccorsi; aggiungiamo, in qualche caso, anche la scelta per un servizio che possa bypassare eventuali sistemi di copayment, di compartecipazione ai costi del Servizio sanitario.

Come si può rimediare a tale situazione? Quale risposta è già stata fornita e viene fornita dal sistema? Quali proposte è possibile mettere in campo? Noi abbiamo affrontato il tema in questi anni, perché anche su questo c'è una acquisizione culturale risalente, introducendo nel nostro sistema sanitario nazionale il metodo del triage. In fondo, la stessa individuazione dei codici (bianchi, verdi, gialli e rossi) è un sistema di controllo che consente un triage efficace. Abbiamo proposto, ma non ancora portato a compimento, forme di associazionismo dei medici di medicina generale con lo scopo di disincentivare un ricorso inappropriato al servizio di pronto soccorso e assimilati.

Ma, se è vero ciò che afferma la relazione sullo stato sanitario del Paese, molto rimane da fare. La prima risposta è certamente quella di rafforzare i servizi territoriali attraverso l'estensione dell'attività dei medici di base, dei servizi ambulatoriali di assistenza; di migliorare l'accesso ai servizi diagnostici per le prestazioni ritenute di urgenza; di accrescere la disponibilità di strutture sanitarie post-acuzie e di residenze sanitarie assistenziali per una dimissione più facile dall'ospedale al territorio; di ricostruire un filo di continuità assistenziale che stia prima e dopo il momento del pronto soccorso sia nei riparti sia nella dimissione successiva; in sostanza, di riqualificare lo stesso metodo del triage e l'attivazione dell'unità di osservazione breve e intensiva (la cosiddetta OBI).

Noi sappiamo che è frequente l'accesso al pronto soccorso di pazienti con quadri clinici indefiniti, tali da non consentire l'invio a domicilio, ma che richiedono una chiarificazione diagnostica nelle ore e nei giorni successivi. L'avvio di tali pazienti ad un ricovero ospedaliero ordinario senza un congruo periodo di osservazione può incrementare significativamente la quota di ricoveri inappropriati, ma è inappropriata al tempo stesso una permanenza non giustificata nel pronto soccorso.

Quindi occorre evidentemente trovare lo strumento, quale quello dell'osservazione breve intensiva (OBI).

A queste proposte di soluzioni, tali da andare al cuore del problema, se ne aggiungono altre, se vogliamo, di sfondo, ma importanti e non per questo secondarie, che vanno in dettaglio; per esempio, un cruscotto informatizzato che permetta il monitoraggio nell'arco delle 24 ore della disponibilità di posti-letto nelle unità ospedaliere di degenza; una figura di coordinamento, in grado di governare i flussi in ingresso ed in uscita, sia medico sia infermieristico; forse una figura di care-manager, una ulteriore figura di vicinanza a chi entra in Pronto soccorso, lasciata ora a forme importanti di volontariato, ma che forse richiede una migliore integrazione con queste forme; naturalmente, la disponibilità di protocolli e procedure e la loro verifica.

Nel caso ben noto del Policlinico Umberto I, la relazione degli ispettori, che avevo mandato, mi ha attestato l'inesistenza di regole operative nei confronti dell'iperafflusso. E questo è particolarmente significativo in un grande ospedale e pronto soccorso come quello dell'Umberto I tanto più che nella commissione che proprio in questi mesi ha elaborato nuove regole di triage dei pronto soccorso partecipava con una figura ed una posizione eminente uno dei dirigenti dello stesso Umberto I. Quindi, da un lato ci sono professionalità molto forti ed importanti; dall'altro però mancano le regole operative. Dunque è chiaro che il problema è soprattutto di organizzazione e di buona organizzazione.

Ancora si evidenziano la proposta di un'attività di vigilanza e di monitoraggio dei reparti di degenza per assicurare la piena efficienza, l'attivazione - come ho già detto - degli ambulatori dei medici di medicina generale per consentire la gestione dei casi lievi e moderati.

Tutto questo probabilmente potrebbe consentire un miglioramento del sistema. Il quadro che disegnavo prima ci porta a stimare, accanto al 15 per cento di accessi al pronto soccorso cui segue un ricovero, si registra un 85 per cento di accesso senza ricovero, nei quali sicuramente vi è una forte percentuale di inappropriatezza, possibile peraltro - e questo va monitorato - anche nei casi con ricovero. Dai dati a nostra disposizione, emerge che a fronte del 10 per cento di ricoveri del Piemonte ne risulta un 30 per cento nella Regione Molise. È difficile immaginare una inappropriatezza di accesso così forte e probabilmente tale dato deve essere messo insieme all'inappropriatezza del ricovero. Ai dati bisogna sempre prestare molta attenzione. Essi vanno individuati e capiti nella loro interezza.

Nell'immediato che cosa si intende fare? Tra gli altri, si intende inserire nella discussione in corso sul prossimo Patto per la salute proprio il tema della continuità assistenziale per arrivare finalmente a definire qualcosa di concreto per quanto riguarda il nuovo ruolo della medicina generale. È un dibattito ormai antico, culturalmente maturo, ancora praticamente molto poco segnato.

Non vorrei disegnare un quadro soltanto nero o grigio. Questo non sarebbe un quadro rispettoso della realtà del nostro Servizio sanitario nazionale. Abbiamo 103 centrali operative attivate completate. È stato cioè completato il programma delle centrali operative. Il numero 118 è ormai conosciuto, quasi come il numero dei carabinieri. È un numero entrato a far parte della esperienza quotidiana degli italiani. Lo stesso vale per il servizio di elisoccorso e di telemedicina, che hanno avuto un formidabile accrescimento in questi anni. Ma anche i 343 Dipartimenti di emergenza attivati certamente sono importanti, come i 550 servizi di pronto soccorso ed i punti di pronto intervento.

Ma soprattutto è importante, come accennavo, l'acquisizione culturale. Noi abbiamo un'acquisizione culturale che rimonta a venti anni fa e che è stata confermata con le linee guida del 1996. Oggi, forse, siamo in grado di passare ad un ulteriore momento.

Noi sappiamo, cioè, che non basta ragionare sulla rete della continuità assistenziale tra ciò che sta prima e dopo il pronto soccorso, ma che dobbiamo riuscire a ragionare delle reti: quella di emergenza urgenza, quella ospedaliera e quella territoriale. La nuova frontiera è questa capacità di tenere insieme queste reti.

Non è un caso che, nella attività di affiancamento delle regioni a piano di rientro, uno dei criteri che servono al Ministero della salute e alla AGENAS per verificare, non solo se le regioni stanno nei conti, ma se prestano davvero i servizi sanitari, è quello di andare a vedere se e come hanno disegnato queste tre reti.

Ho voluto terminare su questo punto, signor Presidente, onorevoli senatori, perché, a fronte della giusta sottolineatura delle cose che non vanno e della giusta sottolineatura di ciò che ancora resta da fare, come dice anche la relazione sullo stato sanitario del Paese, è giusto che ci sia anche la giusta considerazione di ciò che è stato realizzato e del lavoro che, quotidianamente (altrimenti non si spiegherebbero 23 milioni di accessi al pronto soccorso), i nostri professionisti e la struttura sanitaria fanno.

In conclusione, occorre un filtro prima del pronto soccorso, occorre una capacità di filtraggio consolidata dentro il pronto soccorso, occorre prendere sul serio i tre livelli, non intendendoli come competitivi: pronto soccorso, DEA di primo livello e DEA di secondo livello, ma come qualcosa che si integri, non soltanto all'interno della regione ma, almeno per quanto riguarda i casi più difficili e per quanto riguarda le altissime specialità, che si integri tra Regioni.

Per quanto attiene ai servizi di pronto soccorso, quindi, non vi è solo un'attenzione a monitorare quanto succede all'interno delle Regioni, ma anche una necessità di fare e di sviluppare un autentico governo, anche nazionale, di questa problematica con un ruolo sicuramente di propulsione e di impulso da parte del Ministero della salute.
 

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