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Venerdì 06 DICEMBRE 2019
Il nuovo Patto per la Salute e il rapporto con i privati



Gentile Direttore,
anche nelle sue ultime versioni il nuovo Patto per la Salute mantiene tra i suoi punti fermi quello relativo ai controlli sugli erogatori accreditati, sia pubblici che privati, ma con una implicita attenzione particolare agli erogatori privati. Ne è prova il fatto che questo tema è ricompreso dentro la scheda sulla mobilità sanitaria interregionale, dove il  controllo della produzione del privato contrattualizzato è particolarmente sentito.
 
Di questo è a sua volta prova il fatto che da alcuni anni in occasione del riparto del fondo sanitario  la Conferenza Stato-Regioni  provvede d’ufficio ad un abbattimento di parte degli incrementi annuali della produzione di ricoveri in mobilità attiva dei privati. Il Patto al riguardo dei controlli si esprime così: “Governo e Regioni condividono inoltre l’esigenza di avviare un percorso di armonizzazione dei sistemi di controllo di appropriatezza degli erogatori accreditati con l’obiettivo di migliorare l'efficienza e l'appropriatezza nell'uso dei fattori produttivi e l'ordinata programmazione del ricorso agli erogatori pubblici e privati accreditati”.
 
C’è una parziale incoerenza tra la misura prevista (i controlli di appropriatezza) e l’obiettivo dell’ordinata programmazione della attività degli erogatori. E in questa programmazione  il privato merita una attenzione dedicata. In questa sede mi riferisco in particolare alle Case di Cura cosiddette Multispecialistiche.
 
Il peso ed il ruolo di queste  Case di Cura private cambia molto passando da una Regione all’altra come ben documentato nel recentissimo Rapporto Oasi 2019. In molte Regioni, le Case di Cura Private hanno queste caratteristiche: dimensioni medio-piccole, non svolgono attività in urgenza, non sono dotate di terapia intensiva, hanno accreditati posti letto che hanno bisogno di una significativa attività in mobilità attiva per esprimere la potenzialità operativa, sono accreditate soprattutto per le discipline chirurgiche “di base” e gestiscono casistiche di medio-bassa complessità con l’unica eccezione della chirurgia ortopedica protesica.
 
E’ opportuno ricordare che il DM 70/2015 ha consentito alle strutture private ciò che non ha consentito alle pubbliche e cioè di mantenere piccole-medie dimensioni (purché dentro una Rete d’Impresa con strutture anche abbastanza disperse nel territorio) e di lavorare (specie in area chirurgica) in forma prevalentemente programmata. Il rischio in una situazione come questa che le Case di Cura private pur lavorando in condizioni di appropriatezza tradizionalmente intesa (DRG anomali, ricoveri ripetuti, sovra codifica, ecc.) lavorino in competizione piuttosto che non in integrazione con la rete pubblica diventa molto alto.
 
Una struttura dell’offerta privata come quella descritta tende infatti a selezionare e privilegiare alcune linee di attività chirurgica a forte richiamo nelle stesse discipline presenti nelle strutture pubbliche della stessa area. Questa linea di tendenza comporta una serie di rischi:
 
1. il rischio di un massiccio trasferimento nel privato di casistiche di chirurgia programmata in discipline che la rete ospedaliera pubblica deve comunque mantenere per il loro impegno nelle urgenze (vedi l’ortopedia) con un notevole conseguente problema di sovradimensionamento e sottoutilizzazione della rete pubblica;
 
2. il rischio di un eccesso di produzione in mobilità  attiva di confine per prestazioni di medio-bassa complessità una volta che viene riassorbito dalla Regione confinante lasci “vuoti” molti posti letto privati;
 
3. il rischio che il pubblico con i pensionamenti faccia concorrenza a se stesso cedendo al privato competenze create e sostenute per decenni;
 
4. il rischio di un potenziale over treatment di alcune patologie per cui è meglio controllare i tassi di esecuzione degli interventi in questione nella popolazione di riferimento (ho già parlato ad esempio di alcuni picchi marchigiani nella frequenza di prostatectomia per iperplasia  prostatica benigna).
 
Tutti questi rischi (certamente contestuali ad una maggiore opportunità per il cittadino di scegliere tra più erogatori) non si governano con il piano dei controlli, ma con i piani di committenza che hanno bisogno (forse) di nuove regole. Quella da governare di più a mio parere non è la tradizionale dimensione della appropriatezza della produzione, ma la sua congruità programmatoria. Il Patto per la Salute se ne dovrebbe ricordare.
 
Claudio Maffei
Medico in pensione già Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera Umberto I di Ancona, della ASL 3 di Fano e dell'IRCCS INRCA di Ancona  

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