quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Martedì 20 MARZO 2012
Scoperto il gene dell’obesità. Non permette che il senso di sazietà arrivi al cervello

L’eccessivo sovrappeso potrebbe essere causa di una cattiva risposta cerebrale agli ormoni dell’appetito, un problema di comunicazione tra organismo e cervello. Secondo i ricercatori, se la scoperta fosse confermata, si potrebbero sintetizzare farmaci in grado di risolvere il problema.

Da anni il mondo accademico è alla ricerca del “gene dell’obesità”, quello cui possa essere data la colpa del grasso eccessivo nel caso sia alterato o associato alla sovraespressione di proteine particolari. Negli anni passati erano state individuate alcune unità ereditarie legate alla condizione di sovrappeso, ma nessuno aveva mai capito come questo collegamento potesse funzionare. Fino ad oggi. Uno studio del Georgetown University Medical Center, pubblicato su Nature Medicine, ha infatti individuato una mutazione in un gene, che impedisce all’organismo di ricevere il messaggio di smettere di mangiare. Un problema di comunicazione tra cervello e organismo.
 
Secondo i ricercatori, su modello murino si dimostra come l’obesità possa essere causa di una cattiva risposta cerebrale agli ormoni dell’appetito: il gene alterato non riuscirebbe a cogliere i giusti messaggi, cosicché risulti molto più difficile controllare il proprio peso corporeo. Quando mangiamo, infatti, l’aumento dei livelli di ormoni come insulina e leptina comunica al cervello che l’organismo è sazio e dunque che non c’è più bisogno di mangiare. I ricercatori hanno invece dimostrato che in alcuni animali questo messaggio non arrivava alla giusta parte del cervello.
La colpa sarebbe di una mutazione gene Bdnf (Brain-derived neurotrophic factor gene), già collegato all’aumento di peso sia negli animali che nell’uomo. I topi che presentavano un’alterazione di questo gene, mangiavano infatti fino all’80% di cibo in più rispetto al normale. “Se c’è un problema con questo gene, i neuroni non riescono a comunicare correttamente tra di loro, e i segnali della leptina e dell’insulina sono inefficaci”, ha spiegato Baoji Xu, docente che ha lavorato allo studio. “In questo modo la sensazione di appetito non viene modificata e di conseguenza il paziente continua a mangiare”.
Aver fatto questa scoperta, secondo i ricercatori, potrebbe aiutare a sviluppare strategie in grado di aiutare il cervello a controllare l’assunzione di cibo. “Ad esempio – ha spiegato ancora Xu – si potrebbero sintetizzare dei farmaci capaci di aumentare l’espressione della proteina Bdnf collegata al gene in questione”.
 
Anche perché di solito la genetica nei problemi di peso viene sottostimata, secondo gli esperti. “I geni hanno un ruolo sorprendente, che spesso non viene preso abbastanza in considerazione”, ha detto alla Bbc Sadaf Farooqi, ricercatrice dell’Università di Cambridge, commentando la scoperta. “In realtà tra il 40 e il 70 per cento delle differenze di peso tra due persone possono essere ricondotte a differenze genetiche”.
Ma gli scienziati invitano comunque alla cautela, poiché seppure questa ricerca sia importante, è solo un primo passo, e va confermata. “Era già dimostrato che la completa assenza del gene Bdnf portasse ad una forma di obesità grave, seppure finora non fosse mai stato spiegato perché”, ha detto ancora la docente. “Tuttavia questo risultato per ora è stato verificato solo sui topi e mai sugli esseri umani. La mutazione potrebbe anche essere troppo rara sull’organismo dell’uomo per incidere sulla diffusione dell’obesità. Questo andrà verificato in ulteriori studi”.
 
Laura Berardi

© RIPRODUZIONE RISERVATA