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Giovedì 22 MARZO 2012
The Lancet. E se fosse vero che l’aspirina cura il cancro?

Tre studi appena pubblicati (su Lancet e Lancet Oncology) sembrano avvalorare la tesi che possa prevenire i tumori. Dati che scuotono la comunità accademica, che vuole conferme, ma già si lascia affascinare dall’idea di aver trovato il modo di ridurre le morti dovute al cancro.

Sono addirittura tre gli studi usciti questa settimana che sembrano aggiungere ulteriori conferme all’effetto antitumorale dell’aspirina. Tutti pubblicati tra The Lancet e The Lancet Oncology e condotti da ricercatori della Oxford University, gli studi sembrano dimostrare come assumere una dose ridotta del diffusissimo ed economico farmaco ogni giorno non solo prevenga l’insorgenza delle neoplasie a breve e lungo termine, ma ne limiti anche la diffusione nel corpo, e lo sviluppo di metastasi. Gli esperti sono comunque cauti e ricordano: “Non ci sono ancora prove sufficienti per arrivare a prescrivere l’aspirina come farmaco antitumorale, anche perché l’uso continuato può portare ad effetti collaterali anche gravi, come emorragie interne”.
 
Peter Rothwell, co-autore di tutti gli studi, aveva già scritto insieme al suo team uno studio che indicava come l’assunzione di acido acetilsalicilico a lungo termine sembrasse ridurre il rischio di sviluppare cancro al colon-retto e altre forme comuni di tumore. Al momento della pubblicazione molti ricercatori ed esperti avevano sollevato dubbi e paure, soprattutto legate al fatto che tra gli effetti collaterali del medicinale che rende il sangue più fluido, ci fossero anche gravi emorragie allo stomaco.
Questi ultimi tre studi sembrano invece rafforzare l’idea che l’aspirina possa essere un’arma utile contro il cancro. Le ricerche del team di Oxford dimostrano infatti come assumere ogni giorno piccole dosi di aspirina (una quantità compresa tra i 75 e i 300 mg), possa ridurre il rischio di sviluppare tumori di un quarto, scendendo da 12 casi ogni mille pazienti a 9. Più precisamente i numeri scendono del 23% negli uomini e del 25% nelle donne.
Il rischio, inoltre, sembrerebbe continuare a diminuire nel tempo, risultando minore del 15% entro i primi cinque anni, ma addirittura del 37% oltre questo termine. “Ancor più incredibile, e da sottolineare, è il risultato rispetto al solo cancro esofageo, per il quale secondo i nostri dati risultano il 75% di casi in meno nelle persone che assumono aspirina. E ancora, nel caso del cancro al colon-retto, uno dei più comuni al giorno d’oggi, il rischio sembra diminuire di percentuali che oscillano tra il 40 e il 50 per cento a seguito di assunzione continuata dell’antinfiammatorio”, ha detto Rothwell.
Per arrivare a dare questi dati i ricercatori hanno analizzato i risultati di 51 trial diversi, che complessivamente hanno coinvolto più di 77 mila pazienti.
 
L’aspirina non sembra però solo ridurre il rischio di sviluppare cancro, ma anche quello che si presentino metastasi. Un altro degli studi dimostrerebbe infatti che nei pazienti che assumono dosi giornaliere del farmaco, la possibilità che il tumore dopo sei anni e mezzo abbia generato metastasi scende del 36%, che diventa addirittura il 46% nel caso del solo adenocarcinoma. Questi dati sono stati estrapolati dai risultati di cinque grandi trial randomizzati, condotti su un campione di 17285 pazienti inglesi.
In numeri assoluti questo significa che ogni cinque pazienti trattati con aspirina, si potrebbe prevenire grazie al farmaco in media un cancro metastatico. La capacità di rallentare lo sviluppo di metastasi, secondo i ricercatori, potrebbe essere collegata all’azione sulle piastrine, riconosciute come veicolo di distribuzione del cancro all’interno dell’organismo.
Senza contare che, allo stesso tempo, il medicinale riduce anche il rischio di attacchi cardiaci e ictus.
Ma gli esperti  inducono comunque alla cautela,perché tra gli effetti collaterali dell’aspirina ce ne sono anche di gravi, compresa la possibilità che si verifichino emorragie interne molto estese, nonché altri effetti di più lieve entità. Studi passati, in particolare, avevano dimostrato come l’assunzione continuata del farmaco su persone sane potesse provocare più danni che benefici.
 
Chiaramente la ricerca ha comunque scosso la comunità accademica.“È tempo di cominciare a ripensare il ruolo dell’aspirina”, ha affermato Rothwell. “Il nostro studio dimostra che le proprietà del farmaco potrebbero essere utili nella lotta al cancro tanto quanto nella lotta alle patologie cardiovascolari, se non di più. E questo cambia drasticamente i termini dell’equazione”.
Il lavoro sembra in effetti aver rimescolato le carte, visto che anche i più cauti e chi fa critiche riconosce comunque la portata delle possibili ripercussioni. “Credo che una grande scoperta sia stata fatta, ma voglio essere cauto, senza esagerare”, ha dettoOtis W. Brawley, vice-presidente esecutivo dell’American Cancer Society. “Non mi sembra ancora il caso di dire a tutti che bisogna prendere una cardioaspirina al giorno per prevenire il cancro”.
“Nonostante alcuni limiti dello studio, la ricerca sicuramente aumenta il livello di eccitazione nell’aria”, ha commentato anche Andrew T. Chan, docente della Harvard Medical School, in una nota scritta pubblicata sempre su The Lancet. I dubbi sollevati da questo ricercatore consistono per lo più nel fatto che tra tutti i dati considerati da Rothwell, mancano quelli di due importanti ricerche americane che avevano dimostrato come la stessa correlazione trovata oggi, ma relativa all’uso di aspirina un giorno sì e uno no invece che giornaliero, in realtà non esistesse. Altro dubbio è avanzato rispetto al fatto che alcuni degli studi considerati nella review si potessero considerare di qualità non alta. Ma Chan e Nancy Cook, co-autrice del commento, aggiungono anche che “a prescindere da queste obiezioni, il team ha mostrato in maniera piuttosto convincente come l’aspirina sembri ridurre l’incidenza del cancro, nonché la probabilità di morire a causa di esso”.
 
Insomma, pur con tutte le cautele del caso, queste ricerche della Oxford University, sembrano proprio aver convinto almeno parte della comunità accademica che la relazione possa esistere veramente. Non resta dunque che aspettare e vedere se tutto ciò sarà confermato.
 
Laura Berardi

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