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Sabato 01 FEBBRAIO 2020
Aggressioni ai sanitari. “Ecco come le sconfiggeremo”: intervista al DG  della Asl Napoli 1 Centro, Verdoliva

Ambulanze dotate di telecamere e di Gps e un pulsante My day che lancia l’allarme alla centrale operativa, ma anche Ps dotati di sistemi di allert collegati con le forze dell’ordine. Queste le armi per contrastare le aggressioni messe in campo dalla Asl Napoli 1 Centro. Un esempio esportabile in ogni realtà per  il Dg della Azienda più grande di Europa,

“Guardiamo alla Asl Napoli 1 Centro come la prima azienda italiana che ha tutelato i propri operatori dalle aggressioni con azioni concrete, e non come una realtà che si è dovuta dotare di sistemi di sorveglianza perché opera e vive in un ambiente ‘particolare’. Smettiamola di vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto”.
 
Cala la sua carta e rilancia Ciro Verdoliva, da un anno prima Commissario straordinario e poi Direttore generale della Asl più grande di Europa. Un’Azienda che vanta ben 11 distretti, isola di Capri compresa, 5 presidi ospedalieri e 3 intermedi, 68mila interventi annui del 118 (186 al giorno) e più di 1.900 chiamate di emergenza al giorno, ma anche quella con un altissimo numero di aggressioni al personale sanitario.
 
In questa intervista a tutto campo ha sfoderato gli assi nella manica che la Asl Napoli 1 Centro sta giocando nella difficile partita per contrastare l’escalation di aggressioni: ambulanze dotate di telecamere e di Gps per essere localizzate e un pulsante My day che lancia l’allarme alla centrale operativa. Ma anche Pronto soccorso dotati di sistemi di allert collegati con le forze dell’ordine. E ha raccontato quando realizzato in un anno di difficile lavoro e quanto ancora c’è da portare a casa.
 
Dottor Verdoliva, le violenze su medici e operatori sanitari non conoscono confini. Tutte le Regioni sono colpite ma, dati alla mano, la Asl Napoli 1 Centro è sicuramente uno dei fronti più caldi. I pronto soccorso in particolare sono i più bersagliati. Quali sono le cause? L’offerta non riesce a soddisfare l’utenza e questo porta ad una esacerbazione dei comportamenti o il Sud paga altro?
In primis c’è un problema culturale, che credo sia comune a molte aree del Paese. Mi spiego, a Napoli, ad esempio, abbiamo un’offerta fin troppo strutturata, sulla città insistono 5 presidi ospedalieri, più due Aziende ospedaliere, il Cardarelli e quella dei Colli e due strutture accreditate con il Ssr. Quindi non è questo il problema. Il vero nodo è che l’utenza si rivolge al pronto soccorso come se fosse una prestazione sanitaria a gettone gratuito. Lo vedono come una porta sempre aperta, pretendono di essere visitati immediatamente, non comprendendo che non si segue un ordine cronologico di arrivo, ma di gravità. E quando non trovano risposte immediate reagiscono. Basta guardare i nostri dati di accesso: abbiamo Ps che arrivano a 90mila accessi all’anno con una percentuale di dimessi nelle prime 6-7 ore che sfiora il 70%. Insomma accessi inappropriati sui quali è indubbio che occorra intervenire anche perché gli operatori sanitari ne pagano le conseguenze. A questo poi si aggiunge una peculiarità tutta napoletana. I presidi ospedalieri della Asl che dirigo, il San Paolo, Il San Giovanni Bosco, l’Ospedale del Mare e il Pellegrini sono situati in aree socialmente delicate con una presenza di malavita di un certo spessore. Gli utenti che si rivolgono agli ospedali sono cresciuti in questo humus e reagiscono seguendo codici comportamentali ai quali sono abituati. Non è quindi un problema di scolarizzazione ma socio culturale.
 
Quali soluzioni avete adottato per prevenire le aggressioni agli operatori sanitari?
La prima leva sulla quale abbiamo agito è stata quella dell’informazione. Il nervosismo cresce quando le persone non capiscono quello che sta accadendo dopo la porta di accesso al Ps. Abbiamo quindi istallato dei monitor che forniscono dati sul numero delle persone presenti in quel momento, distinte per codice di gravità e tipologia. All’interno c’è poi un ulteriore monitor con le iniziali dei pazienti che indica tutti i tempi di attesa. Questo aiuta a fornire notizie soprattutto agli accompagnatori, più agitati ed ansiosi dei pazienti, e dai quali spesso arrivano le aggressioni.
Ma questo sicuramente non basta. Abbiamo messo in campo altri sistemi di allert.
 
Quali?
Le aggressioni avvengono nei Ps, ma anche negli ambulatori, nei reparti, in strada sulle ambulanze. Dovevamo quindi dare risposte su più fronti. Anche perché la presenza di un drappello di polizia negli ospedali, logisticamente difficile da realizzare, non poteva essere l’unica soluzione. Attraverso l’impegno del presidente De Luca e del Prefetto abbiamo quindi stretto un rapporto diretto con le forze dell’ordine. Senza passare attraverso i numeri unici del 112 e 113 abbiamo attivato pulsanti My day collegati con le sale operative della polizia di Stato e del comando provinciale dei carabinieri di Napoli. Dal 10 gennaio è già stato utilizzato una decina di volte con una risposta immediata da parte delle forze dell’Ordine.
Abbiamo poi iniziato a mettere in campo ulteriori misure che sono da un lato un deterrente ma anche uno strumento utile per individuare più agevolmente i responsabili di eventuali aggressioni. Stiamo infatti attrezzando i Ps con impianti di video sorveglianza più performanti e entro il mese di marzo puntiamo a coprire tutte le strutture. Non solo, stiamo dotando tutte le nostre ambulanze con 4 telecamere posizionate sui lati del veicolo per avere una visione a 360 gradi di quello che accade. Le telecamere sono dotate di sistema Gps per essere costantemente rintracciate e le immagini saranno memorizzate su Cloud per 7 giorni. Siamo partiti il 15 febbraio con la prima autoambulanze e nei prossimi due mesi doteremo di telecamere tutti gli automezzi, circa 43 compresi quelli di secondo soccorso. Anche sulle ambulanze abbiamo istallato il pulsante “allarme my day” che consente all’autista di allertare le forze dell’ordine. Infine, abbiamo anche attivato una telecamera a bordo uomo.
 
Napoli come esempio da seguire?
Ma certamente. Smettiamola di vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto. Più che guardare alla Asl Napoli 1 Centro come un’azienda che si è dovuta dotare di sistemi di sorveglianza perché opera e vive in un ambiente “particolare” vorremmo che venisse considerata come la prima azienda italiana che ha pensato di tutelare i propri operatori con sistemi performanti. E li ha realizzati. E poi quello che abbiamo messo in piedi è un sistema acquistato attraverso la piattaforma Consip con player di livello, quindi facilmente esportabile.
 
Le misure messe in campo sono quindi una riposta immediata al problema, ma a suo parere non crede che bisognerebbe intervenire a monte? E se sì, come?
La Campania, in realtà, già da tempo ha intrapreso questo percorso che ci ha portato all’uscita dal commissariamento. L’esacerbazione delle violenze sugli operatori ha sicuramente tante concause, un tessuto sociale difficile da gestire, ma anche lunghe liste di attesa e la cronica carenza di personale, solo per citarne alcune. In Regione su input del Governatore De Luca abbiamo lavorato sulle liste di attesa raggiungendo risultati importanti. Con l’uscita dal commissariamento la Campania ha potuto aprire le porte a nuove assunzioni. La Asl Napoli 1 Centro da sola ha messo in campo 567 nuovi infermieri e 248 Oss al netto dei pensionati. Un risultato importante che contribuirà ad abbassare il livello di stress che i nostri operatori vivono da decenni e anche quello di aggressività da parte degli utenti. Ma attendiamo ancora le azioni legislative il cui iter – stancamente – va avanti in Parlamento da anni; mi riferisco al riconoscimento per gli operatori sanitari di pubblico ufficiale e al procedimento d’ufficio (senza attendere la querela di parte) in caso di aggressione.
 
La Campania è uscita dal Commissariamento, ma obiettivamente le strutture sanitarie di Napoli presentano “cronicizzazioni” che richiedono un lungo percorso di cura. Quali sono le sue previsioni?
Una sanità di eccellenza deve basarsi su impegno costante e maniacale rispetto ai processi assistenziale, ma è indiscusso che una prestazione in un contenitore vetusto non è accettabile. Dopo un decennio di immobilità, un anno fa la Regione è riuscita a portare in cassa 1 miliardo e 80 milioni di euro grazie ai fondi ex articolo 20. Ora la Asl può contare, tra fondi ex articolo 20 e europei, su circa 250milioni di euro che ci consentiranno di mettere mano ai nostri “contenitori”. Che tra l’altro sono tesori unici al mondo, penso al Complesso degli Incurabili, della Santissima Annunziata, all’ospedale dei Pellegrini della Pignasecca. Luoghi che coniugano storia professionale e arte e possono fregiarsi di grandissime figure professionali, due su tutte Giuseppe Moscati e Antonio Cardarelli. E questo non lo possiamo e non lo dobbiamo dimenticare.
 
Cosa sta facendo per rendere attraente la Asl Napoli 1 Centro ed evitare che i concorsi rimangano deserti e anche arrestare la fuga dei medici verso il privato?
Dobbiamo fare uscire all’esterno quanto di buono ha la sanità campana e quanto di buono fa la nostra Asl. Ci sono detrattori che hanno veicolato un’immagine negativa. È una guerra quotidiana, ogni giorno usciamo sui media perché magari manca un disinfettante per un gastroscopio, che non deve avvenire sia ben inteso, ma mai che emerga quanto di positivo viene realizzato. Allora dobbiamo fare un’operazione verità.
 
Come?
Dicendo sia le cose che non vanno, ma anche quelle che vanno. Il San Giovanni Bosco è conosciuto in Italia come l’ospedale delle formiche e invece non è così. Si dimentica quanto abbiamo fatto contro la camorra, che abbiamo attivato il triage che non esisteva, riattivato una sala parto ferma da un anno, e reso l’emodinamica operativa h24, prima funzionava solo 6 ore al giorno. Abbiamo sostituito per ben due volte la direzione sanitaria e amministrativa e oggi è un ospedale che può confrontarsi con altre strutture. Per questo realizzeremo dei video della durata di 15 minuti dove presenteremo, per ogni struttura, l’impegno dei nostri operatori, non nascondendo nulla ma facendo emergere le professionalità. Non posso dimenticare che al Pellegrini abbiamo un Pronto soccorso oculistico unico a Napoli e una chirurgia della mano tra le migliori in Italia.
Che proprio il San Giovanni Bosco ha una Pronto soccorso che risponde in modo forte e con passione, una cardiologia e una chirurgia di eccellenza. Che lì realizzeremo una week surgery sulla scia di quanto ho realizzato al Cardarelli, un’esperienza positiva che ha prodotto grandi soddisfazioni per operatori, pazienti e accompagnatori. È stato un inizio difficile, ma conto di portare a casa il rilancio della Asl Napoli 1 Centro; del resto è il mandato che mi è stato conferito dal Presidente De Luca: ridare dignità alle donne e uomini che si impegnano per essere, ogni giorno, “al lavoro per garantire salute” e riconquistare la fiducia degli utenti.
 
Ester Maragò

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